Il governo vuole mandare via i rifugiati dai centri di accoglienza straordinari per migranti

Forse a causa del sovraffollamento delle strutture: è una decisione che potrebbe lasciare molte persone senza un posto dove stare

Il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi (ANSA/CESARE ABBATE)
Il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi (ANSA/CESARE ABBATE)

Il 7 agosto il ministero dell’Interno ha inviato una circolare ai prefetti in cui chiede di mandare via da alcuni centri di accoglienza i migranti che hanno ottenuto una protezione internazionale, cioè quelli a cui è stata riconosciuta la possibilità di rimanere in Italia per via delle condizioni di grave difficoltà da cui provengono. I centri in questione sono i CAS, i centri di accoglienza straordinaria, che in teoria servono alla prima accoglienza dei richiedenti asilo ma che in pratica finiscono per ospitarli molto più a lungo, a volte anche per anni. Nella circolare il ministero spiega che nei CAS serve spazio per accogliere i migranti arrivati nell’ultimo periodo, dato che quasi ovunque i posti sono esauriti da settimane.

Per legge però l’Italia dovrebbe garantire alle persone che hanno ottenuto una forma di protezione internazionale – per semplicità li si possono definire “rifugiati” – il soggiorno nelle proprie strutture di accoglienza, almeno finché non ricevono fisicamente il permesso di soggiorno. Quest’ultima è una pratica per cui i tempi d’attesa possono essere anche lunghi. In seguito i rifugiati vengono trasferiti in centri di quella che viene chiamata “seconda accoglienza”, dove in teoria è previsto un percorso di inserimento sociale e orientamento lavorativo.

Con la nuova circolare del ministero chi ha ottenuto una protezione internazionale sarà così costretto a uscire dalle strutture di accoglienza in modo improvviso, verosimilmente senza sapere dove andare. «Migliaia di persone, pur avendo diritto all’accoglienza, dalla mattina alla sera si ritroveranno per strada», ha detto Filippo Miraglia, responsabile immigrazione della rete di circoli ARCI. Le strutture di seconda accoglienza – che fanno parte del sistema di accoglienza integrata (SAI) – spesso infatti non hanno posto e non sono in grado di accogliere grandi numeri di persone in così poco tempo.

La notizia della circolare è stata data venerdì mattina da Repubblica, che ne ha citato alcune parti. Il ministero dell’Interno ha confermato al Post il contenuto del documento.

Non sempre le persone che hanno ottenuto una forma di protezione internazionale sono pienamente inserite e integrate. Molte di loro non hanno ancora fisicamente ricevuto il permesso di soggiorno: di conseguenza non possono ottenere legalmente un lavoro o affittare un posto per dormire, ammesso che abbiano i soldi per farlo. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che non conoscono bene l’italiano, anche perché le misure sulla gestione dell’accoglienza introdotte dal governo negli ultimi mesi hanno fortemente ridotto o del tutto eliminato alcuni servizi che prima venivano offerti alle persone nei centri d’accoglienza: come appunto i corsi di lingua italiana, o i servizi di assistenza psicologica e di orientamento legale.

Secondo Repubblica nella circolare il ministero ha motivato la decisione spiegando che è necessario liberare una parte dei posti nei centri d’accoglienza per assicurarli alle persone migranti arrivate più recentemente. Dall’inizio dell’estate gli arrivi di migranti via mare sono molto aumentati, soprattutto dalla Tunisia, ed è noto ormai da diverse settimane che non ci sono più posti disponibili nei CAS, che a dispetto della straordinarietà a cui fa riferimento il nome attualmente sono la principale forma di accoglienza in Italia. Secondo i dati più recenti del ministero dell’Interno, dal primo gennaio al 10 di agosto del 2023 sono arrivati in Italia circa 95mila migranti: più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 e circa il triplo del 2021.

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Non è ancora chiaro se le espulsioni dai centri d’accoglienza siano già iniziate, né quante persone coinvolgeranno complessivamente. Verosimilmente però si parla di migliaia di persone. Nel 2022 in Italia sono stati riconosciuti diversi tipi di protezione internazionale a quasi 20mila persone: non è detto che siano tutte nei CAS, ma è un numero utile per avere la dimensione del fenomeno. A giugno i posti complessivi nei CAS erano circa 83mila.

Il sistema di accoglienza in Italia, spiegato
Quando sbarcano in Italia i migranti vengono portati nei cosiddetti hotspot, centri di prima assistenza dove vengono identificati e ricevono le prime cure. Dopo avere manifestato la volontà di chiedere una forma di protezione internazionale – lo fanno praticamente tutti, perché altrimenti verrebbero trasferiti nei controversi centri di permanenza per i rimpatri – vengono inviati al sistema di accoglienza, una rete di strutture pubbliche finanziata dal ministero dell’Interno e affidata alle prefetture e agli enti locali, che a loro volta ne assegnano la gestione ad associazioni o cooperative attraverso dei bandi.

Tutte le persone straniere che entrano in Italia hanno diritto a chiedere allo stato protezione internazionale. La domanda viene esaminata dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, un ufficio presente nelle prefetture italiane. A seconda dei casi può riconoscere vari tipi di protezione internazionale, fra cui l’asilo politico e la “protezione sussidiaria”. Fino ad alcuni mesi fa esisteva anche un altro tipo di protezione, la “protezione speciale”, che aveva requisiti assai meno rigidi e veniva garantita a persone che provenivano da contesti complessi ma difficilmente inquadrabili nei rigidi parametri delle altre. La “protezione speciale” è stata sostanzialmente abolita con il cosiddetto “decreto Cutro” approvato a marzo dal governo, per ragioni che il governo Meloni non ha mai spiegato del tutto (dall’inizio del suo mandato il governo ha approvato diverse misure per impedire e rendere più complicato l’arrivo di richiedenti asilo in Italia). Nel 2022 più della metà delle persone che avevano ottenuto una protezione internazionale lo aveva fatto grazie alla protezione speciale.

I migranti in attesa di una risposta sulla protezione internazionale dovrebbero in teoria essere ospitati in strutture pubbliche apposite, i CARA, che però hanno pochissimi posti. Nella pratica quasi tutta la gestione dell’accoglienza è demandata ai CAS, che sono edifici privati o alberghi utilizzati per sopperire alla mancanza di posti nelle strutture pubbliche. La gestione dei CAS è affidata alle prefetture, che cercano le strutture private e si servono delle associazioni o delle cooperative per l’assistenza. Lo stato di regola si limita a pagare il vitto e l’alloggio, senza alcun riferimento alla formazione o all’inserimento sociale, con il risultato che questi centri diventano di fatto dei dormitori e poco più.

Chi ottiene una protezione internazionale dovrebbe poi finire nel sistema di accoglienza integrata (SAI), il livello secondario di accoglienza fatto di strutture gestite dagli enti locali, dove sono previsti percorsi per favorire l’integrazione delle persone ospitate. Le persone che saranno coinvolte nelle espulsioni dai CAS previste dalla circolare del ministero dell’Interno dovrebbero finire in questi centri, ma nella pratica per il momento finiranno in strada e non è chiaro tra quanto tempo potranno essere accolte in queste strutture.

I posti nei centri del SAI sono poche migliaia, da sempre inferiori al numero di persone che ne avrebbero diritto. E in generale l’organizzazione è molto carente e caotica: nelle ultime settimane ci sono state molte dispute tra le prefetture che gestiscono i CAS e i Comuni che gestiscono il SAI. A Vicenza ci sono stati casi in cui la prefettura ha abbandonato dei migranti davanti ai municipi senza alcuna spiegazione.

Fino a prima del decreto Cutro poteva accedere al SAI anche chi aveva solo fatto domanda d’asilo, cioè di protezione internazionale: ora può farlo solo chi ha già ottenuto una forma di protezione internazionale oltre ad alcune categorie specifiche di richiedenti asilo, come i minori stranieri non accompagnati o quelli provenienti da Ucraina e Afghanistan. In questo modo la gran parte dei migranti che arrivano in Italia continua a stare nei CAS, che però non hanno più posto.