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  • Giovedì 20 luglio 2023

Gli attacchi della Russia contro i porti ucraini

Sono ricominciati dopo la decisione del governo russo di ritirarsi dall'accordo sul grano e di imporre un blocco navale: le conseguenze si stanno già vedendo

Una nave arriva nel porto di Odessa, in Ucraina, ad aprile del 2023 (Yulii Zozulia/Ukrinform via ZUMA Press Wire via ANSA)
Una nave arriva nel porto di Odessa, in Ucraina, ad aprile del 2023 (Yulii Zozulia/Ukrinform via ZUMA Press Wire via ANSA)
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Negli ultimi giorni la Russia ha bombardato diversi porti ucraini e imposto un blocco navale per impedire alle navi di attraccare o di partire per altre destinazioni: è una novità rispetto a quanto successo per mesi, quando era in vigore il cosiddetto accordo sul grano, quello che da luglio del 2022 permetteva alle navi cariche di cereali ucraini di lasciare l’Ucraina in sicurezza nonostante la guerra. Lunedì però, alla scadenza dell’accordo, la Russia aveva deciso di non rinnovarlo, forse come ritorsione per le esplosioni sul ponte che collega l’Ucraina alla penisola di Crimea, annessa alla Russia nel 2014 (il governo russo, che lo considera un attacco ucraino, non ha confermato che le due cose siano collegate, anche se molti analisti lo credono): da allora la Russia ha ricominciato ad attaccare i porti e a bloccare di fatto il traffico marittimo da e per l’Ucraina.

L’accordo sul grano era stata considerata un’importante vittoria per l’Ucraina, ma non solo. L’Ucraina è infatti uno dei principali esportatori al mondo di grano e altre derrate alimentari. Nei primi mesi dell’invasione russa le esportazioni erano state bloccate, provocando una crisi alimentare molto grave in vari paesi del mondo, soprattutto in Medio Oriente e Africa. Il blocco nei primi mesi della guerra aveva anche fatto marcire enormi quantità di grano e altri cereali che erano pronti per l’esportazione, ma poi l’accordo aveva risolto in parte la crisi, permettendo alle esportazioni di ripartire.

La decisione della Russia di non rinnovare l’accordo sul grano, che scadeva lo scorso lunedì, ha portato governi stranieri e organizzazioni internazionali a esprimere preoccupazioni per una nuova crisi alimentare, oltre che per un possibile rialzo dei prezzi dei cereali (il governo del Kenya ha definito la decisione della Russia «una pugnalata nella schiena»). E in effetti si sta già osservando un aumento dei prezzi: secondo dati citati da BBC e relativi a borse europee, mercoledì i prezzi del grano sono mediamente cresciuti dell’8,2 per cento rispetto al giorno precedente, raggiungendo i 253,75 euro a tonnellata, mentre quelli del mais sono cresciuti mediamente del 5,4 per cento.

Dati relativi alle borse statunitensi hanno invece registrato un aumento medio del prezzo del grano dell’8,5 per cento nella giornata di mercoledì, il più alto aumento giornaliero dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Anche per questo il governo ucraino ha accusato la Russia di stare usando le risorse alimentari come strumento di guerra.

I bombardamenti russi sui porti ucraini degli ultimi giorni si sono concentrati soprattutto tra martedì e mercoledì, con decine di missili e droni lanciati su alcuni dei principali porti che permettono l’accesso dell’Ucraina al Mar Nero. Il porto di Odessa, uno di quelli inclusi nell’accordo sul grano, è stato bombardato per due notti consecutive. Sono stati bombardati anche il porto di Mykolaiv e quello di Chornomorsk, in tutti questi casi danneggiando importanti infrastrutture necessarie a stoccare i cereali o a esportarli.

Tra le altre cose sono stati danneggiati serbatoi, attrezzature per gestire i carichi di cereali e magazzini. A Odessa, secondo quanto detto dal governo locale, sono stati feriti diversi civili. Il ministro dell’Agricoltura ucraino, Mykola Solskyi, ha detto che a Chornomorsk ci vorrà almeno un anno per riparare i danni provocati dai bombardamenti, e che nei bombardamenti sono state distrutte circa 60mila tonnellate di cereali che erano in attesa di essere spedite all’estero.

La Russia ha negato che i suoi attacchi fossero in qualche modo collegati alla sua decisione di ritirarsi dall’accordo sul grano. Ha sostenuto invece di voler prendere di mira alcune strutture che secondo il governo russo sarebbero usate per produrre le armi con cui l’Ucraina avrebbe provocato le esplosioni sul ponte della Crimea: cioè, secondo la Russia, i «droni marini», imbarcazioni senza pilota che esplodono quando raggiungono un obiettivo, in modo simile ad alcuni tipi di droni volanti.

Il blocco navale sui porti ucraini è stato imposto mercoledì: con un comunicato pubblicato sul proprio profilo Telegram, il ministero della Difesa russo ha detto che a partire dal 20 luglio «tutte le navi dirette verso i porti ucraini sul mar Nero saranno considerate come potenziali veicoli di carichi militari». Il ministero ha aggiunto che «di conseguenza i paesi di bandiera delle navi in transito saranno considerati coinvolti nel conflitto ucraino» al fianco dell’Ucraina. La Russia ha inoltre dichiarato «temporaneamente pericolose» le acque internazionali all’interno del mar Nero, e ha infine fatto sapere di aver già revocato le garanzie di sicurezza relative alle imbarcazioni in transito in tutte queste aree.

Il governo russo, in altre parole, ha tentato di distruggere le principali infrastrutture dei porti ucraini e allo stesso tempo vietato il transito delle imbarcazioni al loro interno, aggiungendo al proprio ritiro dall’accordo sul grano altre azioni per impedire fisicamente all’Ucraina queste esportazioni.