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  • Venerdì 14 luglio 2023

Quanto costa un articolo “in trasferta” del Post

Un po' di spiegazioni su cosa è stato reso possibile da abbonati e abbonate del Post

Un giornalista del Post a Lugo, in provincia di Ravenna, dopo l'alluvione di maggio
Un giornalista del Post a Lugo, in provincia di Ravenna, dopo l'alluvione di maggio
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Negli ultimi anni la crescita del Post, dovuta in gran parte all’introduzione di un sistema di abbonamenti a partire dal 2019, ha permesso al giornale di fare più cose rispetto a prima e di fare meglio quelle che già faceva. Si sono ampliate sia la redazione del Post che le strutture dell’azienda che si occupa di attività non strettamente giornalistiche, a loro volta aumentate: tra le altre cose, da qualche tempo il Post ha una nuova app per gli smartphone, pubblica con cadenza trimestrale una rivista cartacea, Cose spiegate bene, ha intensificato il suo impegno sugli eventi pubblici, gestisce con continuità quotidiana le necessità e richieste dei suoi abbonati, ed è una vivace piattaforma di podcast.

Ma sono aumentate anche le cose che il Post fa in relazione alla sua attività principale, ossia la produzione di articoli sul sito. Nel 2010 il Post nacque come aggregatore di notizie, a cui aggiungeva un lavoro – che allora veniva chiamato di curation – di spiegazione, arricchimento e contestualizzazione delle informazioni raccolte altrove con attenzione e cura particolari. Col tempo e con le maggiori risorse raccolte grazie agli abbonati e alle abbonate è poi stato possibile far crescere anche la produzione di giornalismo più “originale”: che investe in reporting e nella raccolta di dati, notizie e informazioni anche “sul campo” quando quelle a disposizione non sono sufficienti o quando individua storie poco raccontate.

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Per un’azienda giornalistica è un’attività che comporta costi rilevanti, e che molte testate tradizionali hanno dovuto ridimensionare in questi anni, approfittando a loro volta della grande quota di informazioni e notizie accessibili su internet. Per il Post che ha fatto un percorso inverso è invece un’altra esperienza preziosa da condividere con chi concorre a sostenerla e a renderla possibile, contribuendo col proprio abbonamento. Per avere un’idea più definita dei costi del lavoro giornalistico in generale, e per figurarsi le sue misure – assai maggiori – anche all’interno di aziende e testate più grandi e importanti.

Nei primi 5 mesi del 2023 i giornalisti del Post sono andati in trasferta come inviati una ventina di volte, di cui circa un quarto all’estero, con costi complessivi per l’azienda di oltre 48mila euro. Alcune volte i giornalisti inviati sono partiti da soli, altre è stato opportuno che partissero due persone, una delle quali più specializzata nella realizzazione di fotografie e video.

Tolto il costo per il Post della retribuzione dei giornalisti, i costi in più possono comprendere il viaggio e in generale gli spostamenti durante il periodo della trasferta, l’eventuale noleggio di mezzi di trasporto, il rimborso chilometrico e i pedaggi per chi usa la propria auto, il pernottamento in hotel e i pasti. Gli spostamenti rappresentano poco più della metà della spesa per le trasferte, mentre “vitto e alloggio” coprono la parte restante, quindi poco meno della metà.

Le trasferte in Italia generalmente hanno costi minori: una redattrice che aveva seguito le conseguenze dell’alluvione a Faenza, all’inizio di maggio, aveva speso poco più di un centinaio di euro tra viaggio in auto, una notte in albergo e cibo. Un redattore che si occupa di sport ed era andato a Roma per seguire la partita di calcio femminile tra Roma e Barcellona aveva invece speso in tutto poco meno di 250 euro. Un altro che era stato tre giorni a Bolzano circa 350 euro.

Non ci sono regole specifiche sul limite dei costi che si possono sostenere, se non quelle di buon senso: i giornalisti che partono organizzano tutto o quasi in modo autonomo e cercano di spendere il meno possibile. In alcuni casi si è cercato di ottimizzare la presenza in un posto per produrre più contenuti: un redattore che era stato in Sicilia a dicembre del 2022, per esempio, in sei giorni aveva raccolto materiale in tre città diverse per scrivere quattro diversi contenuti originali, spendendo complessivamente meno di 600 euro.

Per i viaggi all’estero i costi sono più alti. Un redattore che era stato a Edimburgo per quattro giorni a maggio, scrivendo due articoli, aveva speso per esempio un migliaio di euro. Per seguire il ballottaggio delle elezioni in Turchia, il Post aveva mandato a Istanbul due persone per una settimana, spendendo complessivamente tra i 1.500 e i 2mila euro. In questo caso, per esempio, erano compresi fra i costi anche quelli per i visti (160 euro).

Un elemento da tenere in considerazione è che spesso l’esigenza di avere un inviato a seguire un certo avvenimento è immediata e improvvisa, non è possibile programmare la trasferta con anticipo, e quindi anche i costi sono necessariamente più alti di quelli di un viaggio programmato. Di questo fattore risentono soprattutto i voli: quelli di andata e ritorno per la Turchia, che erano stati prenotati con poco anticipo, erano costati 850 euro per due persone.

Quando si calcolano costi e benefici di una trasferta, al Post si valuta se il fatto di mandare un giornalista sia effettivamente un valore aggiunto al racconto di una certa storia o all’approfondimento di una certa notizia. L’obiettivo è sempre offrire contenuti di qualità ai lettori, tenendo conto allo stesso tempo della sostenibilità di questi contenuti per l’azienda. Valutare poi il ritorno più concreto di articoli di questo genere – cioè per esempio un aumento nel numero di persone abbonate, e quindi la loro sostenibilità – non è un’operazione immediata, ma ci sono anche altre conseguenze più indirette da tenere in considerazione, per esempio accrescere le competenze della redazione e la disponibilità di fonti, che possono tornare utili anche in un secondo momento. Ci sono poi i ricavi pubblicitari da considerare, ma su un singolo articolo sono piuttosto esigui, anche quando ottiene molte attenzioni e lettori.

Fino a 15-20 anni fa per i giornali era normale avere un gran numero di inviati, anche per seguire gli eventi più marginali o in cui era più difficile che la presenza di un giornalista rappresentasse davvero un valore aggiunto per il contenuto che sarebbe poi stato pubblicato. Lo si faceva in modo quasi automatico e senza grosse valutazioni sul rapporto tra i costi e i benefici della trasferta giornalistica, per un’abitudine acquisita in tempi di maggiore prosperità economica ma soprattutto perché non c’erano le opportunità attuali di internet e mandare qualcuno era pressoché l’unico modo per seguire e poi raccontare un avvenimento.

Nel frattempo però sono cambiate molte cose: oggi ci sono i mezzi per raggiungere in modo semplice e immediato notizie che accadono dall’altra parte del mondo, e non sempre un inviato ha accesso alle informazioni dei più esperti giornalisti del posto, i cui contributi spesso insostituibili si possono consultare anche dall’Italia. Allo stesso tempo per i giornali – con il declino dei ricavi pubblicitari – è diventato sempre più necessario razionalizzare i costi e scegliere con attenzione su cosa investire. Oggi in Italia solo i grandi giornali come Corriere della SeraRepubblica (e in misura un po’ minore altri come il Sole 24 Ore La Stampa) possono permettersi di inviare con regolarità i propri giornalisti a seguire avvenimenti sul campo, e comunque lo fanno meno rispetto al passato.

Gli “inviati” sono i giornalisti che vengono mandati in un posto appositamente per un certo avvenimento, o comunque per un servizio specifico: al momento il Post non ha invece “corrispondenti”, cioè giornalisti che risiedono stabilmente in un luogo diverso dalla sua sede principale (Milano) con il mandato di raccontare e “coprire” cosa succede in quel posto: questo ha anche a che fare con delle necessità di condivisione e sintonia quotidiane con gli approcci del Post al lavoro giornalistico, su cui la redazione cerca da tredici anni di mantenere una grande coerenza.

Fino a pochi anni fa il Post organizzava di rado trasferte giornalistiche, e lo faceva perlopiù in in occasioni particolari (una furono per esempio le grosse proteste in Catalogna dopo il referendum con cui nel 2017 la regione votò per la propria indipendenza dalla Spagna, senza poi riuscire effettivamente a ottenerla). La loro sostenibilità era inevitabilmente legata ai ricavi pubblicitari, e quindi i costi erano sempre superiori ai ricavi. Oggi, grazie ad abbonati e abbonate, quei costi possono essere sostenuti in termini di bilancio – arricchendo l’offerta giornalistica del Post e le opportunità di un’informazione più completa – perché sono un investimento nella loro soddisfazione e nella conservazione del loro sostegno.