Al Consiglio europeo Ungheria e Polonia si sono messe di traverso

Si sono lamentate per la riforma sull'immigrazione approvata senza di loro: e Giorgia Meloni ora si trova in una posizione difficile

Giorgia Meloni parla coi giornalisti prima dell'inizio della riunione del Consiglio europeo (AP Photo/Virginia Mayo)
Giorgia Meloni parla coi giornalisti prima dell'inizio della riunione del Consiglio europeo (AP Photo/Virginia Mayo)
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Giovedì è stata la prima giornata di riunione del Consiglio europeo, l’organo che raggruppa i principali capi di stato e di governo dell’Unione Europea. Ci si aspettava che si potesse raggiungere con facilità un accordo sul documento conclusivo della riunione, in cui di solito vengono definiti gli obiettivi dell’Unione per i mesi successivi e le azioni da intraprendere, e invece ogni decisione è stata rimandata alla seconda e ultima giornata del Consiglio, venerdì.

Il motivo del mancato accordo è stata soprattutto l’opposizione dei paesi più conservatori, Ungheria e Polonia, che hanno a lungo protestato per il patto sulla riforma del regolamento di Dublino che era stato elaborato dai ministri dell’Interno dell’Unione Europea tre settimane fa. La riunione del Consiglio europeo si è prolungata fino a oltre l’una di notte dopo ore di stallo, in cui i due paesi si sono rifiutati di sottoscrivere qualsiasi documento conclusivo se non fossero state affrontate le loro perplessità sulle questioni migratorie: e la parte più consistente del documento riguardava proprio quelle.

Al termine della riunione ci sono state dichiarazioni poco ottimiste sulla possibilità che le due parti arrivino a una sintesi. Il primo ministro belga Alexander De Croo ha detto: «Speriamo che la notte porti qualche consiglio».

In tutto questo la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, si è trovata in una posizione complicata: nelle istituzioni europee Meloni è sempre stata una storica alleata del cosiddetto “fronte conservatore” composto da Ungheria e Polonia con i rispettivi primi ministri, Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki, ma al momento si dice soddisfatta dell’accordo raggiunto sulla riforma del regolamento di Dublino. Diversi analisti e corrispondenti dei giornali internazionali nelle istituzioni europee hanno anzi descritto Meloni come la vera vincitrice dell’accordo sulla riforma, anche perché molte sue richieste sono state accontentate anche a discapito dei suoi storici alleati europei.

È la prima volta che si crea una frattura tra Meloni e i paesi del fronte conservatore europeo, nonostante in Italia la presidente del Consiglio porti avanti comunque una retorica anti-immigrazione molto simile a quella di Ungheria e Polonia.

Il regolamento di Dublino è la norma europea che regola la gestione di migranti e richiedenti asilo: la riforma approvata a inizio giugno prevede che in caso di ingenti arrivi di richiedenti asilo una quota venga trasferita in altri paesi. Non tutti però parteciperanno a questi ricollocamenti, i governi potranno scegliere di pagare una certa cifra per ogni richiedente asilo che non accoglieranno.

Gli attuali governi di Polonia e Ungheria sono storicamente ostili alla migrazione dal Nord Africa e dal Medio Oriente, e su questa ostilità hanno costruito una parte importante della propria propaganda interna: sono perciò molto contrari a qualsiasi forma di ricollocamento obbligatorio e hanno annunciato di non essere disposti a cooperare, nonostante l’attuale riforma dovrebbe essere più accettabile rispetto alla proposta che era stata fatta nel 2018, in cui i ricollocamenti erano obbligatori per tutti i paesi dell’Unione.

Per entrare in vigore la riforma dovrà prima passare dall’approvazione del Parlamento europeo: ci sarà tempo fino ai primi mesi del 2024.

– Leggi anche: I governi europei hanno trovato un accordo sulla riforma del Regolamento di Dublino

Al termine della riunione di giovedì il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, ha detto che il vero motivo per cui Ungheria e Polonia si sono opposte alla riforma è che non gli è piaciuto il modo in cui è stata decisa: l’accordo infatti era stato raggiunto con un voto a maggioranza qualificata, quindi non tutti i paesi avevano votato a favore. Negli anni scorsi si riteneva che sulla riforma di Dublino, come su tutte le riforme più importanti, il Consiglio si dovesse esprimere all’unanimità, ma dopo anni di negoziati senza soluzioni si era deciso di procedere diversamente.

«Il problema oggi non era il patto sulla migrazione, ma il fatto che Ungheria e Polonia non abbiano apprezzato il modo in cui era stato deciso», ha detto Rutte. Secondo lui sarebbero «così arrabbiati» che avrebbero detto di non voler più raggiungere «alcuna conclusione» sull’immigrazione. Al termine della riunione del Consiglio europeo il consigliere politico di Orbán, Balázs Orbán, ha riassunto le discussioni con un breve tweet: «Lotta pesante contro le forze pro-migrazione di Bruxelles!».