La surreale polemica sulle croci in cima alle montagne

L'hanno montata Santanchè e Salvini travisando completamente le opinioni espresse da alcuni esponenti del CAI

La croce vicino alla cima del Mairspitze, in Austria, il 23 agosto 2022 (Sean Gallup/Getty Images)
La croce vicino alla cima del Mairspitze, in Austria, il 23 agosto 2022 (Sean Gallup/Getty Images)
Caricamento player

Nel weekend si è sviluppata una discussione che ha coinvolto il Club Alpino Italiano (CAI), la principale associazione italiana dedicata all’alpinismo e alla montagna, e diversi esponenti politici di destra in seguito a un grande equivoco che riguarda le “croci di vetta”, cioè le croci in legno, metallo o pietra presenti su buona parte delle cime delle Alpi e degli Appennini. La ministra del Turismo Daniela Santanchè e il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini hanno montato una polemica opponendosi all’ipotesi che il CAI rimuovesse le croci dalle cime delle montagne: ipotesi che non solo è falsa, ma era stata anzi chiaramente esclusa dagli interessati.

La scorsa settimana durante la presentazione di un libro lo scrittore Marco Albino Ferrari, direttore editoriale e responsabile delle attività culturali del Club Alpino Italiano (CAI), aveva sostenuto l’opportunità di non erigere nuove croci in cima alle montagne, da qui in avanti, dicendo chiaramente però che non si dovrebbero rimuovere quelle esistenti. Questa posizione era stata poi riportata venerdì in un articolo sul portale del CAI Lo Scarpone, nel quale si diceva che era «condivisa pienamente» dall’associazione. Quell’articolo però è stato ripreso con titoli un po’ equivoci da alcune testate, che poi sono stati citati con toni scandalizzati da diversi politici che hanno quindi costruito un ciclo di polemiche e reazioni su una notizia platealmente falsa. Alla fine è dovuto intervenire di nuovo il CAI, che di fatto si è dissociato dalle opinioni di Ferrari e di chi aveva scritto l’articolo sullo Scarpone (opinioni che, comunque, non prevedevano di rimuovere le croci).

L’usanza di erigere le croci sulle montagne con il significato moderno nacque alla fine del Settecento per celebrare e ricordare imprese alpinistiche e al tempo stesso dare una forma concreta a preghiere cattoliche. Da decenni tuttavia c’è un dibattito su queste installazioni: in parte perché la croce non è un simbolo laico e universale, che accomuna chiunque frequenti le montagne, ma solo delle religioni cristiane; e in parte per via della sempre maggiore attenzione al rispetto delle montagne come ambienti naturali, da preservare liberi da nuove infrastrutture e monumenti umani.

Il libro dalla cui presentazione è nata la polemica era Croci di vetta in Appennino (Ciampi Editore, 2022) della storica dell’arte Ines Millesimi, un saggio che mappa e racconta le storie delle 68 croci presenti sulle cime degli Appennini sopra i duemila metri di altezza. La presentazione si è tenuta giovedì dall’Università Cattolica di Milano e oltre a Ferrari è intervenuto il sacerdote Melchor Sánchez de Toca y Alameda, sottosegretario del dicastero per la Cultura e l’Educazione del Vaticano.

Commentando la polemica su Facebook, Millesimi ha ribadito che nessuno durante la presentazione ha detto di voler rimuovere le croci di vetta. Ha accusato i politici di aver strumentalizzato il dibattito e ha sottolineato che il CAI si occupa della manutenzione delle croci di vetta che hanno subito danni a causa delle condizioni meteorologiche. Millesimi ha anche raccontato di aver parlato del proprio lavoro in molti contesti vicini alla Chiesa cattolica, oltre che in Vaticano, e che Sánchez era concorde con l’opinione condivisa da lei e Ferrari, e cioè che non andrebbero erette nuove croci, lasciando lì dove sono quelle già esistenti.

La presentazione e la proposta sono state riassunte in un articolo sullo Scarpone firmato dall’antropologo Pietro Lacasella, responsabile dei contenuti della testata. Nell’articolo peraltro veniva espresso un giudizio chiaramente negativo sull’ipotesi di rimuovere le croci.

Al convegno si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime.

Tesi, questa, condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano. Il CAI guarda infatti con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, …). Questo perché – è giusto evidenziarlo una volta di più – rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza.

Alcune altre testate hanno ripreso il dibattito, citando correttamente la posizione del CAI nei loro articoli ma usando titoli ambigui: «Montagna, il Cai: “Stop alle croci sulle vette, sono anacronistiche e divisive”» ha scritto TGCOM, «Basta croci sulle vette delle montagne: la crociata al contrario del Cai» il Quotidiano Nazionale. È a partire da queste notizie che è intervenuta la politica, attribuendo al CAI intenzioni che erano state chiaramente escluse.

«Resto basita dalla decisione del CAI di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al ministero», ha detto Santanchè alle agenzie di stampa domenica: «Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l’identità del territorio, il suo rispetto». Salvini ha pubblicato invece sulla sua pagina Facebook un’immagine che riprendendo il titolo dell’articolo di TGCOM24 faceva fraintendere la posizione del CAI e ha scritto: «Penso che la proposta di “vietare” il Crocifisso in montagna perché “divisivo e anacronistico” sia una sciocchezza, senza cuore e senza senso, che nega la nostra Storia, la nostra cultura, il nostro passato e il nostro futuro». A un congresso di partito in Piemonte, domenica, ha addirittura detto: «Dovrete passare sul mio corpo per togliere un solo crocifisso da una vetta alpina, senza se e senza ma».

Alla fine è intervenuto il presidente generale del CAI Antonio Montani, che ha replicato alle parole di Santanchè, Salvini e altri politici della maggioranza di governo scusandosi con la ministra «per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa» e chiarendo che non esiste una posizione ufficiale del CAI sulle croci in vetta, ma che «quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro». Salvini ha commentato: «Scelta di buonsenso del Cai che, dopo il nostro appello, fa dietrofront sullo stop alle croci in cima alle montagne. Bene così!».

Tra i vari articoli usciti sulla polemica peraltro alcuni hanno scritto che le guide alpine di Alagna, comune della provincia di Vercelli che si trova sotto il Monte Rosa, la seconda montagna più alta delle Alpi, avrebbero «già cominciato a rimuovere» le croci di vetta «per ammassarle in un memoriale». Anche quest’informazione è falsa: le guide di Alagna non hanno affatto rimosso croci di vetta, né creato un memoriale. Al contrario, nel 2020 si sono occupate di ripristinare quella della Punta Dufour del Monte Rosa, che era crollata.

In un’intervista al Corriere della Sera il capoguida di Alagna Andrea Enzio aveva parlato invece di un memoriale per ospitare le lapidi e altri simboli religiosi che le famiglie di persone morte in montagna avevano disposto di propria iniziativa lungo i sentieri, ma non si riferiva alle croci di vetta: «Su alcune vie di salita al Monte Rosa si trovano 3-4 lapidi proprio in mezzo al percorso: non vogliamo toglierle e non vogliamo mancare di rispetto a nessuno. Vogliamo solo invitare chi ne vuole mettere di nuove, di posizionarle in un memoriale. Non vogliamo vietare niente. È solo un suggerimento che diamo, insieme al Comune, per non disseminare la montagna di “ricordi”».