In Emilia-Romagna gli interventi urgenti dopo l’alluvione non sono finiti

Serve ristabilire la rete stradale, mettere in sicurezza i fiumi, intervenire sulle scuole: i sindaci chiedono fondi immediati al governo

Una strada nel comune ravennate di Casola Valsenio, in una foto del 22 maggio (ANSA/ UFFICIO STAMPA COMUNE)
Una strada nel comune ravennate di Casola Valsenio, in una foto del 22 maggio (ANSA/ UFFICIO STAMPA COMUNE)

Giovedì era attesa la nomina del commissario straordinario per l’Emilia-Romagna, poco più di un mese dopo l’alluvione che ha colpito un’ampia zona della regione, dalla provincia di Bologna fino alle coste romagnole. Ma gran parte delle decisioni che doveva prendere il Consiglio dei ministri è stata rinviata a causa di impegni personali della presidente Giorgia Meloni e la nomina è stata rimandata, probabilmente a martedì prossimo. Non hanno ancora avuto risposta quindi le reiterate richieste dei sindaci dei comuni interessati, che negli ultimi giorni avevano causato anche qualche attrito e qualche polemica fra gli enti locali e il governo. L’altra questione rimasta da risolvere è quella dei fondi da sbloccare, considerata altrettanto urgente per poter gestire la fase successiva all’emergenza.

Il commissario straordinario è una figura prevista da una legge del 1988, e dispone di poteri speciali per un periodo limitato di tempo: per esempio può agire in deroga alla normativa in vigore in materia di contratti pubblici, in modo da operare più rapidamente per assegnare i lavori in appalto. È una figura che viene nominata dal presidente della Repubblica su indicazione del governo, e che può risultare essenziale in contesti di emergenza, come appunto i disastri naturali. Il commissario può quindi accorciare i tempi burocratici per lavori che non possono aspettare: in Romagna ce ne sono ancora molti.

Enzo Lattuca è sindaco di Cesena e presidente della provincia di Forlì-Cesena e ha partecipato ai due incontri di giugno fra enti locali e governo. Dice: «In questa fase possiamo dire che l’emergenza sia superata, perché le funzionalità della città sono state ripristinate. Esiste però tutta una serie di problemi e di urgenze che devono essere risolte in questi mesi, prima dell’autunno».

La prima questione è quella relativa alle strade che portano verso le colline o le zone appenniniche. L’ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna nei giorni appena successivi all’alluvione contò più di mille frane in 54 comuni, 305 delle quali «significative»: il conto è in continuo aggiornamento, perché sono stati registrati smottamenti e frane anche recentemente.

A più di un mese di distanza ci sono centri abitati, frazioni, singole case e aziende agricole ancora isolate, cioè non raggiungibili in auto. Gli interventi più urgenti riguardano proprio un primo ripristino della transitabilità: sistemare le strade anche in modo temporaneo, per permettere il passaggio dei veicoli. Poi bisognerà intervenire in modo più completo, per recuperare le strade intere, in sicurezza.

Solo nella provincia di Forlì-Cesena gli interventi da fare sono più di mille: ad oggi non sono finanziati, non sono stati stanziati fondi nel cosiddetto “Decreto alluvione”, il decreto-legge n. 61/2023.

L’asfalto di un parcheggio di Castel Bolognese (ANSA/EMANUELE VALERI)

È uno dei motivi per cui mercoledì al termine della Conferenza unificata (un organo di coordinamento fra Stato centrale, regioni, province e comuni) Antonio Decaro e Michele de Pascale, rispettivamente presidente delle associazioni dei comuni (ANCI) e delle province (UPI), hanno espresso parere negativo sul Decreto alluvione, dicendo che non contiene «nemmeno le risorse necessarie per le ulteriori opere urgenti di messa in sicurezza».

La seconda urgenza è relativa ai corsi d’acqua: nell’area sono esondati 23 fiumi, con molteplici rotture degli argini e necessarie opere di manutenzione ordinaria e straordinaria. I corsi dei fiumi, ma anche dei canali, vanno ripuliti dai detriti, mentre in molti punti gli argini vanno rinforzati quando non ricostruiti in toto.

Luca Della Godenza è il sindaco di Castel Bolognese, comune della provincia di Ravenna travolto a maggio dalla piena del torrente Senio: «I fiumi devono tornare a portare giù dell’acqua, e non delle ansie e delle paure come adesso. Gli interventi sui fiumi devono prima riportare indietro gli argini e le strutture alla situazione precedente al 2 maggio, cioè alla prima alluvione, e poi consegnarci una progettualità che garantisca una sicurezza maggiore». Al momento le molte “falle” nel sistema di contenimento dei fiumi rischiano di causare nuovi danni anche in caso di semplici forti temporali, o comunque di eventi di entità minore rispetto a quelli di maggio. La manutenzione della rete dei fiumi e dei corsi d’acqua maggiori è di competenza della Regione.

I lavori nei pressi degli argini del torrente Idice, a Molinella, tra Bologna e Ferrara (ANSA/EMANUELE VALERI)

Altri interventi sono relativi alle strutture pubbliche danneggiate nei vari comuni: gli uffici, i teatri, le strutture sportive, ma soprattutto le scuole: una gran parte delle strutture scolastiche dei comuni colpiti dall’alluvione ha impianti elettrici e soprattutto termici non più funzionanti. Dice Della Godenza: «I mesi da utilizzare sono questi, luglio e agosto. Quattro delle cinque scuole di Castello non hanno il riscaldamento funzionante, va riparato per garantirlo nella stagione autunnale e invernale. Abbiamo 26 milioni di euro di danni stimati solo al patrimonio pubblico: c’è anche da ripristinare l’efficienza del sistema fognario e della rete scolante, e l’asfalto delle strade è molto danneggiato dalle piogge e da mesi di passaggi di mezzi iper-pesanti».

I conti diventano più complessi e ancora più provvisori quando si parla di danni ai privati, alle abitazioni, alle attività commerciali e alle imprese. Uno degli interventi coperti dai fondi del Decreto alluvione è  il “contributo di autonoma sistemazione”, che prevede un assegno mensile a chi ha la casa inagibile e ha dovuto trovare una sistemazione alternativa: chi ancora oggi è sfollato è spesso ospitato da amici o parenti, in condizioni a volte stabili, a volte forzatamente temporanee; altri vivono in strutture pubbliche o fornite da reti di assistenza religiose o private.

Un’altra parte dei primi 245 milioni arrivati dallo Stato sono stati destinati al “contributo di immediato sostegno”: per la riparazione dei danni delle abitazioni sono erogati 3000 euro a inizio lavori senza necessità di perizia, che diventano 5000 a saldo. Non è al momento coperto dai fondi un contributo simile per le imprese, che può arrivare a 20.000 euro, così come è ancora più complesso il discorso riguardo alle aziende agricole, che in alcuni casi hanno avuto danni a lungo termine (è il caso degli alberi da frutta).

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Dice il sindaco di Cesena Lattuca: «Per l’estensione dei danni questa alluvione è assimilabile a un terremoto, ma nel 90 per cento dei casi gli interventi necessari sono di tipo molto diverso. Non serve costruire strutture temporanee, ma bisogna accelerare sugli indennizzi e sui finanziamenti per i lavori straordinari: nella maggior parte dei casi non riguardano la tenuta strutturale degli edifici, ma il rifacimento di pavimenti, intonaci, impianti elettrici, sanitari, porte».

Chi ha risparmi propri, fra privati e aziende, può permettersi di iniziare i lavori e poi aspettare i rimborsi, chi non ne ha e non può accedere a prestiti rischia di rimanere bloccato, o con una casa inagibile. Un situazione simile riguarda comuni e enti locali: in queste settimane hanno operato “fuori budget”, cioè stanziando fondi che non erano previsti a bilancio (contando sui futuri aiuti statali). Ma alcuni dei comuni, soprattutto quelli più piccoli e con una situazione economica meno solida, hanno anticipato che nelle prossime settimane potrebbero essere costretti a interrompere i lavori perché non più in grado di pagarli.

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