Non sono tutte “challenge”

Le sfide virali condivise sui social e replicate da tantissime persone esistono da anni, ma i video di gruppi come “TheBorderline” sono un'altra cosa

(Uno screenshot del canale YouTube di MrBeast)
(Uno screenshot del canale YouTube di MrBeast)
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Nel provare a ricostruire le dinamiche dell’incidente automobilistico che la settimana scorsa ha causato la morte di un bambino di 5 anni a Casal Palocco, nella periferia di Roma, si è usato spesso un termine che nelle pagine di cronaca dei giornali torna ciclicamente: “challenge”, sfida. In questa definizione vengono fatte rientrare genericamente tutte quelle attività estreme o spericolate fatte solitamente da persone giovani allo scopo di essere riprese e pubblicate sui social per ottenere visualizzazioni o diventare virali. Come viene fatto notare da un po’ però sui giornali la parola “challenge” viene usata spesso a sproposito, con una connotazione negativa che suggerisce una correlazione diretta tra l’uso dei social e tragici casi di cronaca, anche quando non c’è o non è stata dimostrata.

Nel caso dell’incidente della scorsa settimana si è parlato di “challenge” perché a bordo di una delle due macchine coinvolte nell’incidente, un SUV Lamborghini, c’erano alcuni giovani youtuber autori del canale TheBorderline, che ha oltre 600mila iscritti e dal 2020 pubblica video di sfide e competizioni – chiamate da loro stessi “challenge” – seguendo un format di grande successo online. È probabile che nella Lamborghini fosse in corso una di queste sfide, ma non è ancora chiaro se e come possa aver causato l’incidente. Il solo impiego di questo termine però ha portato alla diffusione di allarmismi e conclusioni affrettate sulle responsabilità dell’accaduto.

Col termine “challenge online” ci si riferisce ad azioni di gruppo o anche individuali riprese in video, pubblicate e diventate in breve tempo virali, che finiscono per essere replicate migliaia di volte, coinvolgendo un numero elevatissimo di persone diverse tra loro, anche per stratificazione sociale e per provenienza. Tra le sfide più famose di questa categoria, che ha raggiunto la sua massima popolarità tra il 2012 e il 2016, rientrano per esempio la Ice Bucket Challenge, in cui bisognava riprendersi mentre ci si faceva versare un secchio di acqua gelida in testa, o la Mannequin challenge, in cui gruppi di persone intente in normali attività si immobilizzavano contemporaneamente per diversi secondi.

Oltre a sfide innocue come queste (da cui di fatto uscivano tutti “vincitori”), in quegli anni sono diventate virali anche challenge potenzialmente pericolose. Nella cronologia messa insieme dal sito del progetto italiano Mind the Challenge, nato per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema delle challenge online evitando bufale e sensazionalismi, si citano per esempio la Fire challenge, una sfida di resistenza al dolore causato dal fuoco, e molti esempi che prevedono di ingerire cibi o liquidi in combinazioni pericolose o in grandi quantità. In seguito ai casi di persone morte o rimaste ferite nel tentativo di replicare alcune di queste challenge, negli ultimi anni molte piattaforme social hanno introdotto regole di moderazione che limitano la diffusione di contenuti di questo tipo.

Negli ultimi anni le challenge hanno avuto sempre minor diffusione e oggi sono considerate in un certo senso superate. Video di persone che filmano se stesse mentre eseguono una coreografia virale compaiono quotidianamente su piattaforme come TikTok e molte diventano “di tendenza”, ma sono una cosa un po’ diversa dal fenomeno di massa che erano un tempo e sempre meno “sfidanti”.

L’abitudine dei giornali a creare sensazionalismo collegando casi di cronaca come incidenti, suicidi o comportamenti pericolosi di gruppo alle challenge online ha una storia piuttosto densa, e iniziò quasi dieci anni fa. Il caso più famoso fu quello della cosiddetta “Blue Whale”, una sfida con regole poco chiare nata in Russia, che ai tempi sembrava aver causato decine di suicidi e atti di autolesionismo in tutto il mondo. In Italia ne aveva parlato un servizio delle Iene con allarmismi che erano stati ripresi anche dai giornali, ma successivamente venne fuori che il caso era stato molto ingigantito, con l’effetto di creare disinformazione e, addirittura, emulazione.

La sfida che il gruppo di youtuber TheBorderline stava probabilmente facendo nella Lamborghini il giorno dell’incidente è una cosa diversa dalle challenge intese in questo senso. Il canale si ispira infatti a quello del popolare imprenditore statunitense MrBeast, tra gli youtuber con più visualizzazioni e iscritti al mondo. Generalmente MrBeast realizza video in cui lui o altre persone devono portare a termine sfide particolarmente ardue: per fare alcuni esempi, vivere per 100 giorni in un cerchio di prato, non mangiare cibi solidi per 30 giorni, essere sepolto vivo in una bara per 50 ore. Spesso questi video sono finanziati da sponsor che mettono in palio molti soldi per il superamento della sfida o per la messa in pratica di attività particolarmente costose, ricevendo in cambio visibilità per i propri servizi e prodotti.

Si tratta quindi di challenge molto diverse da quelle di cui abbiamo parlato fin qui. Non nascono infatti con l’obiettivo di spingere un gran numero di persone a fare qualcosa, ma come prodotti di intrattenimento volti a raggiungere grandi quantità di visualizzazioni e quindi un compenso da parte di YouTube o di aziende sponsor. Non è da escludere che alcuni di questi video possano portare gli youtuber a fare azioni sconsiderate o spingere le persone giovani che li vedono a voler replicare le stesse sfide e correre gli stessi rischi, ma sarebbe un effetto indiretto e comunque per quello che se ne sa non è il caso di TheBorderline.

Gli youtuber di TheBorderline, che pochi giorni dopo l’incidente hanno fatto sapere di aver deciso di interrompere la loro attività su YouTube, si ispiravano a MrBeast proponendo video simili, anche se con disponibilità economiche molto più limitate. Nell’ultimo anno avevano pubblicato un video intitolato “Vivo 50 ore in una macchina” e un altro “Vivo 50 ore in una Tesla”. Secondo alcune ricostruzioni, il giorno dell’incidente uno dei membri del gruppo aveva pubblicato un video sui social in cui diceva di trovarsi all’interno della Lamborghini, noleggiata, da più di un giorno.

Questi elementi rendono abbastanza probabile l’ipotesi che il gruppo stesse effettivamente girando il video di una nuova challenge da pubblicare sul proprio canale quando è avvenuto l’incidente. Non è chiaro però, e soprattutto non è stato dimostrato, se ci sia una correlazione tra questo e l’eventuale guida pericolosa che avrebbe portato all’incidente.