I molti problemi del PNRR, in ordine

Nel dibattito tra Corte dei conti e governo si è perso di vista il quadro generale, fatto di ritardi e difficoltà strutturali

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(Roberto Monaldo / LaPresse)
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Negli ultimi giorni sono aumentate le tensioni tra il governo e la Corte dei conti sui controlli del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza con cui il governo intende spendere i finanziamenti europei del bando Next Generation EU, chiamato anche Recovery Fund. Lunedì il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ha chiesto il voto di fiducia per approvare il cosiddetto “decreto PA”, un decreto-legge sulla pubblica amministrazione che teoricamente non c’entra nulla con il PNRR, ma che in realtà contiene un emendamento per limitare il potere di controllo della Corte dei conti sul piano.

Secondo l’opposizione il voto di fiducia è un segnale evidente dell’insofferenza del governo nei confronti dei controlli sulla gestione del PNRR, mentre la maggioranza e in parte Azione e Italia Viva sostengono che sia opportuno snellire le procedure, se si vuole portare a termine il piano. Lo scontro tra la Corte dei conti e il governo ha contribuito a spostare l’attenzione da una questione centrale che gli stessi magistrati hanno evidenziato più volte negli ultimi mesi, e cioè che il PNRR ha un sacco di problemi. Molti sono emersi sui giornali nel corso di queste settimane, ma sempre in maniera frammentata, e farsi un’idea generale non è facile vista la complessità dell’argomento.

Il piano dell’Italia prevede in tutto finanziamenti per 221,1 miliardi di euro, di cui 190,5 miliardi dal Recovery Fund (fra sussidi e prestiti a basso tasso d’interesse) e 30,6 miliardi di risorse economiche interne. Semplificando molto, i problemi del PNRR possono essere ricondotti a due categorie: quelli strutturali e quelli puntuali legati ai singoli progetti. Per come è stato pensato il piano, i due ordini di difficoltà sono collegati e spesso sono l’uno la conseguenza dell’altro.

Il governo si è mostrato particolarmente insofferente nei confronti della Corte dei conti, quando lo scorso 25 maggio quest’ultima ha pubblicato il Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica. Tra le altre cose il documento mostra che finora sono stati spesi meno soldi del previsto per finanziare i progetti.

Lo scostamento tra spesa attesa ed effettiva è particolarmente grave nel 2023: secondo i dati diffusi dalla Corte dei conti, tra l’1 gennaio e il 12 maggio sono stati spesi un miliardo e 155 milioni di euro sui 33,8 previsti entro la fine dell’anno. Nei prossimi sette mesi e mezzo, quindi, l’Italia dovrebbe spendere la quasi totalità della cifra, cioè 32,7 miliardi di euro. La mancata spesa è una questione centrale, perché è un chiaro sintomo delle difficoltà: se non si spendono i soldi nei tempi previsti significa che molti progetti sono in ritardo o addirittura fermi. In totale sono stati spesi 25,7 miliardi di euro, il 13,8 per cento di tutti i soldi messi a disposizione del PNRR, che deve essere completato entro il 2026.

Nel PNRR ci sono grandi progetti nazionali, di cui sono responsabili i ministeri, e progetti più piccoli proposti da enti locali come le regioni, le province e i comuni. Gli enti locali partecipano ai bandi proposti dai ministeri per ottenere i fondi: bisogna presentare un progetto più o meno dettagliato con una serie di documenti e previsioni sulle spese. Una volta che il ministero assegna i fondi, gli enti locali devono indire gare di appalto per selezionare l’impresa a cui vengono affidati i lavori. Tutti i passaggi devono essere comunicati anche nella fase dei lavori, soprattutto quanti soldi vengono spesi e come. La cosiddetta rendicontazione è un impegno obbligatorio se si vogliono ricevere i fondi, così come la fine dei lavori entro il 2026. Per dirla in maniera semplice, il PNRR impone qualche incombenza burocratica in più rispetto alla normale gestione di un progetto.

Uno dei problemi strutturali che i soldi del PNRR non possono risolvere è la cronica lentezza della pubblica amministrazione nella realizzazione dei progetti. Il piano è iniziato come se in Italia le cose funzionassero bene, non tenendo conto del ritardo con cui i ministeri gestiscono i bandi, della scarsa preparazione di chi lavora per gli enti locali, della tendenza tipica di produrre norme, circolari, FAQ (le risposte a una serie di domande frequenti) e circolari esplicative delle FAQ che rallentano tutto il processo. In una situazione già complessa il PNRR ha introdotto nuove regole da rispettare con scadenze molto stringenti, senza dare il tempo ai funzionari ministeriali e locali di assimilarle.

Di questi problemi generali parla anche la Terza relazione sullo stato di avanzamento del PNRR, un documento con cui il governo elenca tutte le difficoltà e i ritardi del piano.

Quasi tutti i comuni italiani partecipano in qualche modo al piano e in poco tempo hanno iniziato a gestire molti più progetti e soldi rispetto agli anni precedenti, spesso oltre le loro capacità: i comuni, si legge nella relazione, al momento gestiscono il 47 per cento dei soldi del PNRR, ma lo fanno lentamente a causa della mancanza di competenze gestionali e tecniche soprattutto nelle regioni del Sud.

I bandi pubblicati negli ultimi due anni per reclutare professionisti e risolvere questa carenza non sono andati a buon fine: hanno partecipato pochi architetti, ingegneri e geometri perché le assunzioni offerte sono solo temporanee, legate al completamento del PNRR. Lo ha segnalato di recente anche la Corte dei conti che ha giudicato l’apparato amministrativo pubblico «inefficiente, afflitto da carenza di personale e da una inadeguata competenza tecnica, da una mancanza di coordinamento tra diverse amministrazioni e livelli di governo».

Ci sono poi altre questioni strutturali che non dipendono direttamente dalla pubblica amministrazione o dal governo, ma che hanno un certo impatto sul piano. La crisi energetica causata dall’invasione russa in Ucraina ha alimentato l’inflazione che a sua volta ha sollecitato una reazione delle banche centrali: il risultato è stato un aumento dei prezzi dell’energia, dei beni agricoli e industriali. L’aumento dei prezzi si riflette direttamente sui costi dei progetti del PNRR: secondo le stime del governo, nel 2026 i rincari sarebbero tra l’8 e il 10 per cento rispetto al previsto.

Un altro problema è la difficoltà di trovare in poco tempo figure professionali qualificate nei settori di riferimento dei progetti, per esempio nei servizi sanitari e sociali, nell’innovazione tecnologica e nella transizione digitale, oltre a operai specializzati nelle costruzioni. Se si costruiscono nuovi ospedali, per esempio, bisogna avere la certezza che ci siano abbastanza medici e infermieri per farli funzionare, e abbastanza operai specializzati per costruirli. Nella relazione si legge che le difficoltà nel trovare i lavoratori rischiano «di pregiudicare l’attuazione del Piano per la mancanza del personale necessario».

La lentezza della pubblica amministrazione, l’aumento dei prezzi e la difficoltà di trovare personale si riflettono in modo concreto sui progetti e sulle loro scadenze che l’Italia deve rispettare per ricevere i soldi dalla Commissione Europea. Negli ultimi mesi le relazioni della Corte dei conti hanno contribuito a rilevare alcuni problemi puntuali sui singoli progetti. Tuttavia il governo vuole limitare i poteri della Corte escludendo la possibilità che possa esercitare il cosiddetto controllo concomitante, cioè le verifiche fatte parallelamente all’avanzamento dei progetti.

– Leggi anche: Cosa fa la Corte dei conti

Tra i casi più noti c’è il bando per la costruzione di nuovi asili nido e scuole per l’infanzia, considerato uno dei più importanti. In totale il PNRR ha stanziato 4,6 miliardi di euro per costruire 1.857 nuovi asili nido e 333 scuole materne. L’obiettivo dichiarato in fase di negoziazione del piano è di garantire complessivamente 264.480 nuovi posti entro la fine del 2025.

La costruzione di nuovi asili nido è molto attesa perché i posti gestiti dai comuni attualmente non bastano ad accogliere tutti i bambini e le bambine, le graduatorie per l’assegnazione seguono criteri tortuosi e le alternative private sono costose. Il risultato è che ogni anno le famiglie fanno una gran fatica a trovare posti a prezzi accessibili. Questa incertezza rende difficile l’organizzazione della vita familiare e lavorativa di milioni di persone, specialmente per le donne che sono spesso costrette a dover scegliere tra lavoro e accudimento dei figli.

Già nella fase dei bandi si è capito che sarebbe stato complicato rispettare gli obiettivi: ne sono serviti quattro per assegnare tutti i soldi, con conseguenti ritardi rispetto alle previsioni. Entro il 30 giugno 2023 i comuni dovrebbero aver aggiudicato i lavori alle imprese, ma molti sono in ritardo e non riusciranno a rispettare la scadenza.

Un altro capitolo a rischio riguarda la costruzione di opere idriche come dighe e canali, una serie di interventi pensati soprattutto per limitare gli sprechi d’acqua e ridurre il rischio di allagamenti. La Corte dei conti ha segnalato molti progetti che potrebbero non essere realizzati entro il 2026. In un’articolata delibera pubblicata a metà aprile i magistrati contabili hanno rilevato errori di impostazione, sottovalutazioni e rincari che rischiano di rendere le opere idriche molto meno ambiziose del previsto.

Di fatto il governo se l’è presa con la Corte dei conti per i controlli che rallenterebbero la realizzazione del piano, eppure la Corte ha segnalato solo una piccola parte dei problemi: in realtà ce ne sono di più, e non hanno niente a che vedere con i controlli della Corte. Nell’appendice della relazione sullo stato di attuazione del PNRR, realizzata dallo stesso governo, è stato inserito uno schema con i progetti a rischio, ben 59, quasi tutti molto importanti e attesi.

Finora nessuno, ad eccezione del governo, aveva accesso a informazioni puntuali sui ritardi del PNRR. La scarsa trasparenza è un altro dei limiti di impostazione del piano e riguarda tutti i governi che l’hanno gestito finora. L’assenza di dati affidabili, anzi in alcuni casi l’assenza totale di dati, non ha permesso di controllare in modo dettagliato come stessero andando le cose, se i progetti fossero a buon punto e se l’Italia stesse rispettando le scadenze.

Negli ultimi due anni diverse organizzazioni si sono mosse per chiedere la pubblicazione di dati che consentirebbero di favorire un dibattito più informato su un piano così importante per il paese. La fondazione Openpolis, che tra le altre cose si occupa di controllare come vengono spesi i soldi pubblici, ha presentato al ministero una richiesta di accesso agli atti per ottenere dati puntuali sul PNRR, per esempio quanti progetti sono stati approvati e a che punto sono, quanti soldi sono stati investiti e in che settore, tra le altre cose. «Il ministero ci ha risposto dicendo che non esistevano dati» dice Vincenzo Smaldore, responsabile dei contenuti della fondazione. «Pensavamo fosse una risposta spiegabile con la solita scarsa trasparenza, invece ha sollevato un’altra grave questione: nemmeno il decisore politico ha dati affidabili per capire come sta andando il PNRR».

Questo problema è stato ammesso dallo stesso governo nella relazione sullo stato di attuazione del piano. La mancanza di dati è dovuta principalmente alla gestione approssimativa del sistema informatico chiamato ReGis. È una sorta di sistema gestionale, aperto dal novembre del 2022, attraverso cui le amministrazioni inviano tutte le informazioni e i dati relativi ai progetti del PNRR. È uno strumento gestito dalla ragioneria dello Stato che consente di tenere sotto controllo l’avanzamento delle opere e soprattutto le spese. I comuni caricano nel sistema informatico i giustificativi di spesa che vengono controllati dai ministeri almeno una volta al mese. Se alcune spese risultano non giustificate, i soldi non vengono concessi, ma i comuni possono presentare delle osservazioni per motivare la richiesta. In questo modo si limita il rischio di spese eccessive o non direttamente collegate al PNRR.

Come ha denunciato l’ANCI, l’associazione dei comuni italiani, il sistema è lento e si blocca in continuazione, inoltre la documentazione è poco chiara ed è stata cambiata più volte negli ultimi mesi. Il risultato è che i dati inseriti sono pasticciati, mancano informazioni essenziali, ci sono errori eclatanti come l’attribuzione di progetti comunali ai ministeri. «Lo stesso ministero dell’Economia e delle Finanze ha preso una posizione pubblica dicendo che i dati del ReGis non si possono utilizzare perché ci sono troppi errori di compilazione» dice Smaldore. Quasi tutte le relazioni della Corte dei conti sono state basate proprio sui dati del ReGis.

Tutti questi problemi hanno portato il governo a chiedere alla Commissione Europea di rinegoziare il PNRR, cioè di cambiare gli obiettivi e le scadenze, un passaggio che la relazione sullo stato di attuazione del piano definisce «ineludibile». Si sono già tenuti alcuni incontri tra funzionari italiani ed europei per capire quali modifiche fare: al momento c’è solo la certezza che il PNRR debba essere ripensato nel suo complesso.

«La richiesta di pagamento della quarta rata sarà presentata in linea con i tempi di questo processo» dice la relazione, annunciando una sorta di sospensione del piano in vista della ridefinizione complessiva, che con ogni probabilità sarà complicata. Senza dati attendibili o comunque non completi, infatti, sarà difficile prevedere se le modifiche ai progetti saranno compatibili con gli obiettivi generali del piano, in particolare la destinazione del 40 per cento dei soldi al Sud e gli incentivi per favorire l’occupazione femminile e giovanile.