I ritardi del PNRR con gli asili nido non sono stati recuperati

La scadenza per l'assegnazione dei lavori era già stata spostata al 31 maggio, ma molti comuni non riusciranno a rispettarla

asilo nido
(Unsplash/Jelleke Vanooteghem)
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Entro il 31 maggio i comuni che hanno chiesto i fondi del PNRR per la costruzione di asili nido e scuole dell’infanzia dovranno aver aggiudicato i lavori alle imprese. Lo scorso dicembre questa scadenza era già stata spostata rispetto al 31 marzo, data prevista in origine dal piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma a poco più di un mese dal termine moltissimi comuni non sembrano aver recuperato i ritardi e le difficoltà burocratiche accumulate negli ultimi due anni. Nonostante le tante proroghe concesse dopo le sollecitazioni arrivate negli ultimi mesi, i problemi non sono stati risolti.

Il 31 maggio era considerato un termine ragionevole in vista del 30 giugno, giorno entro cui il governo deve rispettare una serie di obiettivi per poi richiedere la quarta tranche dei fondi, pari a 16 miliardi di euro.

Tra gli obiettivi c’è anche l’aggiudicazione dei lavori per la costruzione degli asili nido. In totale il PNRR ha stanziato 4,6 miliardi di euro per quella che è considerata una delle misure economiche più importanti del piano: dovrebbero essere costruiti 1.857 nuovi asili nido e 333 scuole materne. L’obiettivo dichiarato in fase di negoziazione del piano è di garantire complessivamente 264.480 nuovi posti entro la fine del 2025.

La costruzione di nuovi asili nido è molto attesa perché i posti gestiti dai comuni attualmente non bastano ad accogliere tutti i bambini, e le graduatorie per l’assegnazione hanno criteri complessi e le alternative private sono costose. Il risultato è che ogni anno le famiglie fanno molta fatica a trovare posti a prezzi accessibili. Questa incertezza rende difficile l’organizzazione della vita familiare e lavorativa di milioni di persone. Ad essere penalizzate sono soprattutto le donne, che sono spesso costrette a dover scegliere tra lavoro e accudimento dei figli.

I 264.480 nuovi posti rappresenterebbero un aumento significativo delle disponibilità. Secondo gli ultimi dati dell’ISTAT, infatti, in Italia al 31 dicembre 2020 erano attivi 350.670 posti, di cui circa la metà (49%) all’interno di strutture pubbliche. Rispetto all’anno precedente c’è stato un calo di 10.600 posti, il 2,9 per cento in meno.

L’aumento dei posti è necessario soprattutto nei comuni del sud, dove l’offerta è storicamente più scarsa. Come si può osservare nella mappa, il numero dei posti disponibili in proporzione è molto più alto nelle regioni del nord. Secondo l’obiettivo fissato nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona, gli stati europei devono avere almeno 33 posti disponibili ogni 100 bambini. Al momento l’Italia ne ha 27,2.

Nonostante i tanti soldi messi a disposizione dal piano, nella fase iniziale dei bandi il ministero dell’Istruzione aveva ricevuto molti meno progetti rispetto al previsto.

In totale sono serviti quattro bandi per assegnare tutti i soldi. Il primo si era concluso il 28 febbraio 2022 con risultati poco soddisfacenti: erano state presentate 953 domande e assegnati 1,2 miliardi. Il ministero era stato costretto a prorogarlo e a fissare una nuova scadenza al 31 marzo sollecitando i comuni a farsi avanti. Con il secondo bando i risultati erano stati migliori, ma il problema della mancata assegnazione dei soldi a disposizione non era stato risolto: erano state presentate 1.676 domande per 2 miliardi di euro. I 400 milioni rimanenti erano stati assegnati con un decreto ministeriale. Per altri 70 milioni era servito un ulteriore bando, in sostanza il quarto, dedicato esplicitamente a comuni delle regioni del sud: lo scorso anno a fine maggio erano arrivate altre 74 domande per gli ultimi 80 milioni di euro.

Negli ultimi mesi, inoltre, sono state presentate 600 richieste di modifica dei progetti per via del rincaro dei materiali e dell’energia che ha costretto i comuni a rivedere i piani economici.

Nonostante le sollecitazioni del ministero, molti comuni non hanno comunque partecipato ai bandi. È una scelta molto criticata dall’ufficio parlamentare di bilancio (UPB) in una relazione pubblicata lo scorso novembre. «Nonostante le ingenti risorse destinate alla fascia di età 0-3 anni, lo scenario che si delinea mostra che parte delle debolezze strutturali che caratterizzano l’offerta del servizio potrebbero restare irrisolte», si legge nel report. «Un numero consistente di comuni con offerta assente o marginale non ha, infatti, partecipato ai bandi».

Secondo Andrea Gavosto, direttore della fondazione Agnelli, la mancata partecipazione di molti comuni dimostra che c’è stato troppo ottimismo sulla possibilità di superare diffidenze storiche e culturali, soprattutto nei comuni del sud. «Al sud molte famiglie pensano che sia meglio mandare i bambini a scuola dopo i due anni», ha detto Gavosto a Repubblica. «Le poche famiglie che mandano i bambini al nido utilizzano le strutture private, che hanno fatto resistenza al PNRR. Senza contare che uno studio dimostra che da qui al 2026 ci sarà un fabbisogno di altre 40 mila educatrici, e non sarà facile trovarle».

Un altro problema, che riguarda tutti i progetti del PNRR e non soltanto gli asili nido, è la carenza di tecnici e dipendenti comunali. Negli ultimi mesi il governo ha messo a disposizione soldi per assumere architetti, ingegneri e geometri. Molte di queste posizioni, tuttavia, non sono molto appetibili perché precarie in quanto legate al PNRR che deve concludersi entro il 2026. Senza tecnici è complicato portare avanti i progetti e soprattutto rispettare le scadenze imposte dal piano. Il governo ha attivato un accordo con Invitalia, azienda partecipata dal ministero dell’Economia, per aiutare i comuni nelle procedure: sono arrivate 362 richieste.

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C’è anche una questione più burocratica e tuttavia non secondaria. Nelle ultime settimane l’ANCI, l’associazione dei comuni italiani, ha segnalato più volte un malfunzionamento del sistema informatico sviluppato dai ministeri per ricevere la documentazione dei progetti del PNRR dai comuni. Secondo i sindaci il sistema, che si chiama ReGis, è molto lento e si blocca in continuazione. Come notato dal Sole 24 Ore, secondo l’ultimo aggiornamento sono stati chiusi 19 progetti per lavori nelle scuole sui 6.910 registrati nel ReGis. Ma non è chiaro se un numero così basso sia attribuibile ai ritardi dei comuni o ai problemi informatici del sistema. Senza un osservatorio affidabile sullo stato di ogni singolo progetto è complicato stimare se le scadenze saranno rispettate.

Alla fine di marzo il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva detto di aver chiesto alla Commissione europea una proroga di sei mesi rispetto ai tempi previsti per l’aggiudicazione dei lavori. «Scontiamo ritardi rilevanti perché il governo precedente non aveva predisposto procedure semplificate, che ora abbiamo attivato», ha detto Valditara. Finora però la richiesta di proroga non ha avuto risposte: la scadenza è rimasta al 31 maggio.

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