La fine e il vuoto di “Succession”

È finita una delle serie più discusse e commentate degli ultimi anni, ma è difficile dire chi abbia vinto, pubblico compreso

(HBO)
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Domenica negli Stati Uniti è stata trasmessa da HBO l’ultima puntata di Succession (in Italia è disponibile su Sky Atlantic e Now TV), una delle serie televisive di maggiore successo degli ultimi anni, in grado di generare un seguito di spettatori relativamente contenuto ma al tempo stesso molto fedele e coinvolto. La serie non ha avuto l’enorme quantità di pubblico del più popolare e globale Game of Thrones, per intenderci, ma ha avuto una grande considerazione soprattutto da parte della critica per il modo in cui ha raccontato spesso satiricamente un pezzo della società occidentale e del nostro presente.

Ideata da Jesse Armstrong, famoso in particolare per la serie The Thick of It, Succession racconta le vicende della famiglia Roy che controlla Waystar-Royco, una grande azienda conglomerata nel settore dei media e dell’intrattenimento. L’intera serie è dedicata agli ultimi anni dell’anziano patriarca Logan Roy – molto influente e che con la sua azienda ha condizionato il mondo dell’informazione e della politica negli Stati Uniti – e ai figli Kendall, Shiv e Roman che si contendono il controllo dell’azienda facendo i conti con il difficilissimo rapporto col padre.

Da qui in poi molti spoiler.

Per quattro stagioni milioni di persone hanno seguito le vicende dei Roy, imparando a detestarli e compatirli spesso nello stesso momento, chiedendosi chi alla fine sarebbe diventato la nuova guida della grande azienda di famiglia. Già dalla prima puntata sembrava che l’eredità spettasse a Kendall, il fratello più anziano (se escludiamo Connor, avuto da Logan Roy con una precedente relazione), poi le cose si erano drammaticamente complicate con numerosi colpi di scena, ripensamenti e tradimenti.

Dopo la morte di Logan avvenuta all’inizio di questa stagione, alla fine dell’ultima puntata sembrava di nuovo che fosse Kendall a spuntarla, grazie all’ennesimo accordo raggiunto con gli altri due fratelli. Invece è andata a finire che Shiv ha tradito Kendall, votando a favore della vendita di Waystar-Royco a Lukas Matsson, il CEO svedese di una società tecnologica che aveva intanto scelto di affidare a Tom Wambsgans, il marito di Shiv, la guida della società appena acquisita, evitando che l’accordo venisse bloccato dal nuovo probabile presidente in pectore degli Stati Uniti, un conservatore apertamente sostenuto dall’emittente ATN di proprietà dei Roy.

Al termine di oltre 40 ore di serie, Kendall, Shiv e Roman hanno concluso la parabola della loro successione nel peggior modo possibile. Kendall non sarà mai CEO della società di famiglia, finita sotto il controllo di un’altra azienda. Roman rimarrà per sempre col rimorso di avere perso un’occasione a causa dei suoi problemi relazionali e degli abusi subiti; «Avresti potuto essere tu» è la frase che si sente ripetere più spesso. Shiv rimane incastrata in un matrimonio in crisi, incinta, con una relazione disfunzionale dove la carriera e l’opportunismo sono sempre venuti prima dei sentimenti. Nell’ultima loro scena insieme, Tom sale in auto e allunga la mano sul bracciolo verso Shiv, che la poggia mollemente e quasi disgustata su quella del marito che senza nessun particolare pregio  – e forse proprio per questo motivo – è appena diventato CEO della società che fino a qualche momento prima era la storia della famiglia Roy.

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Eppure è difficile provare pena o empatia per i personaggi di Succession, come sa bene chi ha seguito tutta la serie. Certo, le ambizioni dei tre fratelli si sono infrante, ma rimangono comunque le loro enormi ricchezze. Sono milionari se non miliardari che potranno condurre una vita agiata, tra costosi vestiti e cappellini da 500 euro, yacht, case sfarzose in ogni angolo del mondo, aerei privati, elicotteri e attici agli ultimi piani dei più esclusivi grattacieli di Manhattan. Ne sono talmente assuefatti da apparire del tutto indifferenti alla ricchezza che hanno intorno, e come hanno osservato in molti è probabilmente questo a frenare l’empatia nei loro confronti, ma al tempo stesso a nutrire una curiosità verso le loro vicende.

Questa strana attrazione era il frutto dell’abilità degli autori nel modulare momenti di pura umanità dei protagonisti ad altri di pura cattiveria, come ha scritto Alexis Soloski sul New York Times: «Per alcuni momenti, a volte addirittura per un intero episodio, la serie poteva indurre lo spettatore nell’orbita di un particolare personaggio, ma era poi sufficiente una frase o un’occhiata per rompere quell’attrazione, lasciando lo spettatore senza riferimenti».

Di solito nei romanzi, nei film e nelle serie televisive i personaggi crescono nel corso del racconto: le esperienze cambiano il loro modo di vedere le cose, imparano dai loro errori e ne comprendono le conseguenze, un po’ come succede nella vita. In Succession non accade nulla di tutto questo, anche per il modo in cui le vicende dell’intera serie narrano i fatti avvenuti nel corso di appena un anno o poco più (e nell’ultima stagione, ogni episodio racconta più o meno una o due giornate, tutte consecutive): succedono moltissime cose, ma la trama è pressoché assente e non porta i protagonisti da nessuna parte. Kendall vive nell’illusione di essere l’unico a poter colmare l’ingombrante eredità del padre nel primo episodio della prima stagione così come lo è negli ultimi minuti del finale della serie.

L’unico a cogliere questo senso di vuoto, che la serie trasmette efficacemente anche grazie ai personaggi comprimari tutti sempre solo attenti al loro tornaconto personale, sembra essere Roman dopo che Shiv ha tradito per l’ultima volta Kendall (prima ancora era stato il patriarca Logan Roy a dire ai propri figli la verità: «you are not serious people», non siete persone serie). Kendall è convinto ancora di poter sistemare le cose ed evitare la vendita di Waystar-Royco che gli farebbe perdere l’opportunità di diventare CEO, dice al fratello che c’è ancora la possibilità di far cambiare un voto nel consiglio di amministrazione, ma alle insistenze Roman risponde: «Santo Dio. Dai, non siamo niente. Okay? Non siamo proprio niente. Non siamo un cazzo, piantala! […] Noi siamo solo delle puttanate».

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È un raro momento di consapevolezza di sé che si infila nel nichilismo del personaggio, l’ennesima dimostrazione della mancata crescita dei protagonisti nel corso della storia. Nessuno sembra essere veramente consapevole delle implicazioni delle proprie decisioni per il prossimo, sia nei rapporti personali sia in prospettiva per la società.

Nemmeno per il paese, peraltro: ATN ha da poco aiutato un candidato filofascista a vincere le presidenziali negli Stati Uniti solo nella speranza che potesse bloccare la cessione dell’azienda, ci sono proteste di piazza e scontri per un’elezione contestata, ma niente di tutto questo sembra scalfire più di tanto i piani dei personaggi di Succession, qualsiasi ruolo abbiano. E così Willa, la moglie di Connor, ha tempo di avvisare il resto della famiglia della sua intenzione di riarredare la casa di Logan in cui vivrà col marito con un divano con la fodera maculata come la pelle delle mucche.

Come hanno segnalato vari critici, il grande interesse generato da Succession è derivato anche dalla capacità dei suoi autori di mostrare un mondo molto simile al nostro, ma al tempo stesso distante e più evanescente. Logan Roy ricordava solo in parte Rupert Murdoch, l’influente miliardario australiano che con l’emittente televisiva conservatrice Fox News condiziona fortemente il dibattito politico negli Stati Uniti da decenni. Quando nella serie il neoeletto presidente conservatore fa notare a Shiv che lui e suo padre avevano una «simpatia ideologica», Shiv prende le distanze rispondendogli: «Nah. Per lui contavano i soldi, vincere e spettegolare». Non c’erano davvero principi, come in un altro episodio Tom ricorda a Greg, il giovane cugino dei fratelli Roy che impara molto in fretta come sfruttare quel mondo sempre per tornaconto personale.

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Come ha scritto Michele L. Norris sul Washington Post, Succession funzionava anche perché mostrava spesso sotto traccia come le difficoltà dei fratelli Roy fossero sostanzialmente riconducibili al rapporto con loro padre, ai moltissimi traumi subiti e al modo in cui erano stati cresciuti: «Sono piccoli animali intrappolati in una gabbia con un padre predatore che preferirebbe schiacciare i propri figli anziché dar loro l’amore di cui disperatamente hanno bisogno. La morte improvvisa di Logan Roy doveva essere una sorpresa drammatica all’inizio di questa stagione finale; invece, è sembrato che finalmente un calcolo biliare fosse passato». Proprio attorno alla morte del padre avvengono le due scene che meglio delle altre mostrano questa palese anaffettività e alienazione dalla realtà: quando i tre non sanno cosa dire al padre morente dall’altra parte del telefono, e quando di nuovo non trovano nulla di sentito e significativo da dire al suo funerale.

Tutti questi elementi e molto altro, cui si aggiungono i meme online, i gruppi di discussione su Reddit e sui social, hanno fatto sì che Succession diventasse un fenomeno tipico dell’intrattenimento statunitense: una serie vista di per sé da un numero relativamente ristretto di persone, ma in grado di incuriosire quelle parti della società che sono poi più presenti nel dibattito pubblico, a partire dai giornalisti. Ciò ha contribuito, almeno inizialmente, a dare maggiore visibilità alla serie e ha infine avuto un ruolo nel renderla più conosciuta in un contesto ormai annacquato dall’enorme offerta delle piattaforme, con nuove serie in prima visione praticamente ogni settimana.

La morte di Logan Roy all’inizio dell’ultima stagione aveva suscitato molte perplessità, con la serie che perdeva il proprio personaggio più carismatico e complesso. Ma la sua scomparsa era funzionale a chiudere il tema della successione e amplificare quel senso di vuoto che aveva accompagnato le stagioni precedenti. Nel suo commento sul New York Times, Soloski ha concluso efficacemente ricordando che:

Forse non c’era migliore dimostrazione di quel vuoto di ciò che accade nell’episodio del funerale. Dopo gli elogi funebri, un corte di automobili accompagna il corpo di Logan attraverso le vie di Manhattan fino a un mausoleo acquistato da un ricco imprenditore di cibo per animali. Tutta quella ricchezza, tutto quel privilegio, che portano a un vuoto eterno. E la parte peggiore o la parte migliore: dovevi ridere.