• Mondo
  • Lunedì 15 maggio 2023

Ancora non sappiamo la ragione del grosso aumento di esportazioni italiane in Cina

In molti avevano parlato della diffusione di un “farmaco contro il coronavirus”, ma le aziende che lo producono smentiscono

di Mariasole Lisciandro

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)
Caricamento player

Negli ultimi giorni ha ottenuto molto risalto un grosso e inatteso aumento delle esportazioni italiane in Cina negli scorsi mesi: hanno raggiunto i 3 miliardi di euro a febbraio, il 62 per cento in più rispetto a febbraio 2022 e quasi il doppio rispetto a dicembre 2022. Un aumento così improvviso e di queste dimensioni, che nei grafici è rappresentato da un picco praticamente verticale, ha sorpreso gli analisti, che hanno iniziato a indagare sulle cause.

Scomponendo i dati, cioè guardando settore per settore, si nota che il grosso aumento si deve soprattutto alle esportazioni italiane di farmaci. Alcuni analisti hanno avanzato motivazioni piuttosto sorprendenti: l’aumento sarebbe dovuto a un acquisto massiccio di un farmaco per malattie del fegato, che secondo alcuni studi avrebbe anche l’effetto di prevenire il contagio da coronavirus. Questa ipotesi però è decisamente improbabile, poiché le aziende coinvolte nella produzione e nella vendita del farmaco smentiscono di avere avuto grossi aumenti degli ordini.

Il principio attivo di questo farmaco si chiama UDCA ed è prodotto a livello mondiale dall’azienda ICE Pharma, con sede a Reggio Emilia. Il Post ha contattato ICE Pharma e l’azienda ha risposto di non avere registrato negli ultimi mesi aumenti degli ordini di dimensioni tali da giustificare da soli l’enorme crescita delle esportazioni italiane verso la Cina. Bisogna considerare però che ICE Pharma vende soltanto il principio attivo del farmaco, e non ha il diretto controllo su dove poi sia venduto il farmaco finito. Per questo il Post ha sentito anche quattro aziende italiane che vendono farmaci contenenti il principio attivo UDCA: anche loro non hanno un riscontro di questo presunto aumento delle vendite in Cina.

È quindi piuttosto improbabile che l’enorme aumento delle esportazioni italiane verso la Cina sia tutto o in gran parte attribuibile a UDCA: se effettivamente le vendite del farmaco fossero aumentate così eccezionalmente, anche chi produce il principio attivo come ICE Pharma o chi vende il farmaco che contiene questo principio attivo avrebbe dovuto vedere un incremento di vendite corrispondente, che secondo i diretti interessati non c’è stato.

L’ipotesi era circolata molto sulla stampa e sui social media ed era stata ritenuta plausibile, dato che le rigide restrizioni cinesi sono finite ma l’immunizzazione della popolazione non ha avuto molto successo perché i vaccini cinesi – gli unici autorizzati dal governo – hanno una buona efficacia ma non al livello dei vaccini a mRNA occidentali, come quelli delle aziende Pfizer e Moderna.

Era comunque solo una fra le tante possibili spiegazioni, che però ha trovato grande seguito. Robin Brooks, presidente dell’Istituto di Finanza Internazionale ed ex economista del Fondo Monetario Internazionale, è stato il primo a dare questa interpretazione: dal momento che l’aumento è solamente guidato dalle esportazioni di farmaci, secondo lui doveva trattarsi del farmaco UDCA, che i medici cinesi starebbero prescrivendo ai pazienti che temono il contagio, dopo che la Cina ha abbandonato la sua politica di restrizioni molto dure, la cosiddetta politica “zero Covid”.

Quella dell’aumento delle vendite di UDCA era però soltanto una delle tante interpretazioni possibili, benché quella che è circolata maggiormente.

Peter Ceretti, analista della società di consulenza internazionale Eurasia Group ed esperto delle dinamiche macroeconomiche italiane che parla a titolo personale, ha detto che il punto a favore di questa teoria era dato sicuramente dalle tempistiche: il picco di nuovi casi di coronavirus è stato verso la fine dell’autunno scorso e le esportazioni di farmaci dall’Italia alla Cina hanno iniziato ad aumentare proprio da dicembre. Secondo Ceretti «questa coincidenza c’è, però non è del tutto chiaro se il prodotto principale venduto sia il farmaco UDCA».

Ci possono essere infatti anche altre dinamiche che spiegano questo aumento improvviso delle esportazioni: «Gran parte delle esportazioni a gennaio erano riesportazioni [ossia merci importate dall’Italia e poi esportate in Cina, una pratica piuttosto comune nelle aziende multinazionali, ndr], circa il 44 per cento, mentre la restante parte sono esportazioni dirette», dice Ceretti. Quindi potrebbero essere anche solo in parte esportazioni dell’azienda che produce il farmaco UDCA (ma non si sa in che misura) e secondo Ceretti «le riesportazioni potrebbero essere legate alle attività di trasferimenti di merci delle multinazionali farmaceutiche».

Un altro indizio in questa direzione è dato dal fatto che «dai dati Eurostat si vede che da metà del 2022 c’è stato un aumento considerevole delle importazioni italiane dalla Germania di farmaci confezionati per la vendita al dettaglio». Per cui, secondo Ceretti, è probabile che ci siano stati movimenti delle multinazionali farmaceutiche tedesche che hanno anche succursali in Italia.

In generale si tratta però sempre di ipotesi e non c’è certezza di nessuna di queste dinamiche. Secondo Ceretti la risposta più probabile a perché le esportazioni italiane in Cina siano aumentate così tanto è quindi una combinazione di fattori: «È possibile che il farmaco UDCA abbia avuto un ruolo importante, ma è più plausibile che a questo aumento abbia contribuito un insieme di ragioni», come quella legata al movimento di merci delle multinazionali.

C’è poi anche un altro tipo di cautela da avere con questi dati: sebbene i dati forniti da ISTAT ed Eurostat siano affidabili, non si trova alcun riscontro di questo aumento nei dati sulle importazioni cinesi, che riportano al contrario una tendenza in linea con il passato.

Secondo Ceretti «può capitare che i dati cinesi non siano del tutto paragonabili con quelli degli altri paesi. Quando ci sono discrepanze nei valori possono esserci varie ragioni: la lentezza nella registrazione degli ordini da parte delle società importatrici, il fatto che questi ordini possono essere stati registrati in varie valute, in euro, in dollari o in renminbi [la valuta cinese, ndr], e infine un diverso tipo di classificazione delle merci tra Italia e Cina. Ognuno di questi tre fattori non spiega però una differenza così grande, che è effettivamente molto strana. Magari nei prossimi mesi ci saranno delle correzioni ai dati cinesi, cosa che avviene piuttosto spesso», dice Ceretti.