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  • Venerdì 5 maggio 2023

Il collettivo che fa gli striscioni degli antifascisti radicali nelle proteste in Francia

Si chiama Black Lines: gli striscioni arrivano ai manifestanti senza essere commissionati e da un pezzo sono presi di mira dalla polizia

Uno striscione di Black Lines con la scritta "49.3 populaire". È un riferimento all’articolo 49.3 della Costituzione tramite il quale è stata approvata la contestata riforma delle pensioni, e che permette di forzare l’approvazione di un testo senza passare dal voto dei deputati. Parigi, 27 ottobre 2022 (AP Photo/Thibault Camus)
Uno striscione di Black Lines con la scritta "49.3 populaire". È un riferimento all’articolo 49.3 della Costituzione tramite il quale è stata approvata la contestata riforma delle pensioni, e che permette di forzare l’approvazione di un testo senza passare dal voto dei deputati. Parigi, 27 ottobre 2022 (AP Photo/Thibault Camus)
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Il quotidiano francese Le Monde ha raccontato la storia degli striscioni che si sono visti nelle ultime settimane davanti ad alcune parti dei cortei di protesta contro la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron. Gli striscioni sono del collettivo Black Lines che dal 2018 ha riunito più di trecento artisti, street artist e graffitisti. Finora ha realizzato soprattutto grandi murales che hanno per temi la giustizia sociale e climatica, l’antifascismo, l’antirazzismo e l’anticapitalismo, ma da tempo produce anche gli striscioni che sono portati in corteo da quelli che Le Monde definisce genericamente “black bloc”, movimenti informali e autonomi di antifascisti che praticano azioni radicali. Gli striscioni firmati da Black Lines spesso vengono sequestrati dalla polizia che poi con quegli striscioni si fa delle foto, come se fossero trofei.

“Nous vivons pour marcher sur la tête des rois”, “Viviamo per camminare sulla testa dei re”, diceva lo striscione in bianco e nero in testa alla manifestazione di Parigi di giovedì 16 febbraio. Largo dieci metri, riprendeva una citazione dall’Enrico IV di Shakespeare, e mostrava un uomo accovacciato e incappucciato. Altri slogan dicevano “Notre révolte ne peut être dissoute” (“La nostra rivolta non può essere dissolta”), “Qui sème la hess récolte le zbeul” (“Chi semina miseria raccoglie tempesta”), e “Qu’un seul tienne, les autres suivront” (“Basta che uno solo resista, gli altri lo seguiranno”), che è anche il titolo di un film francese del 2009 della regista Léa Fehner.

Le frasi sono accompagnate da disegni di militanti, uomini e donne, con il passamontagna, che si scontrano con la polizia, e spesso sono presenti degli animali.

Manifestazione a Parigi per il primo maggio, Francia (AP Photo/Lewis Joly)

A fare gli striscioni, spiega Le Monde nell’articolo che è stato condiviso sui social anche dal collettivo, sono una quindicina di artisti e artiste che hanno tra i 18 e i 60 anni. C’è Veneno, che lavora tra la Francia e il Messico e la cui opera più conosciuta e condivisa è quella di due militanti che si baciano tenendo stretta un’arma. Ci sono due fratelli cileni e c’è Vinci, che realizzava già degli striscioni per il movimento Giustizia per Adama (Adama Traoré, morto a 24 anni nel luglio del 2016 due ore dopo essere stato arrestato da tre poliziotti francesi che lo avevano bloccato a terra schiacciandolo con il loro peso).

 

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Infine, c’è Itvan Kebadian. Ha 37 anni, ha fatto la scuola di Belle Arti a Bourges e a Nantes ed è oggi un artista riconosciuto, con una galleria parigina che lo rappresenta. Black Lines è iniziato con lui.

Itvan Kebadian è figlio del regista francese di origine armena Jacques Kebadian, assistente alla regia di Robert Bresson, trotskista, e tra i fondatori del collettivo ARC, Atelier de Recherche Cinématographique, che ha realizzato alcuni dei film simbolo del Maggio francese, quella rivolta sociale, politica, culturale e anche filosofica contro il capitalismo, l’imperialismo e il potere gollista che, partita nel 1968 dalle università di Parigi e dalle fabbriche, contagiò poi tutto il paese, e non solo.

Nell’aprile del 2018 Jacques Kebadian portò per la prima volta Itvan e i suoi fratellastri a Yerevan, la capitale dell’Armenia. In quei giorni la popolazione stava protestando in quella che sarebbe poi stata chiamata “la rivoluzione di velluto”, che riuscì a far destituire Serzh Sargsyan, al potere da dieci anni e accusato di aver trasformato l’Armenia in un regime autoritario. In quei giorni cadeva l’anniversario del genocidio armeno e secondo Itvan Kebadian fu anche per quel motivo che la repressione dell’esercito fu moderata, contribuendo al successo del movimento.

«In quel momento», dice Kebadian a Le Monde, «ho capito che non sono i rapporti di forza, ma i rapporti simbolici a fare le rivoluzioni». Nell’aprile del 2018 la Francia si preparava a celebrare l’anniversario del Maggio francese e fu in quell’occasione che si formò Black Lines.

 

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Nel maggio del 1968 gli artisti e le artiste ebbero un ruolo fondamentale. L’Ecole des Beaux Arts di Parigi, vicino alla Sorbona, venne occupata e lì nacque l’Atelier Populaire, che divenne un luogo di attività politica e artistica a sostegno della contestazione. Erano prodotti dall’Atelier Populaire i manifesti che venivano distribuiti alle manifestazioni, che erano appesi sui muri della città, delle fabbriche, sulle barricate e che diventarono poi l’immagine stessa della rivolta. «I poster prodotti da Atelier Populaire sono armi a servizio della lotta e sono una parte inseparabile di essa. Il loro posto è nei luoghi del conflitto, vale a dire nelle strade e sui muri delle fabbriche», diceva una delle dichiarazioni dell’Atelier.

Da quell’esperienza nacquero altri gruppi e collettivi artistici, come l’équipe Grapus, che teneva insieme impegno politico, sociale e culturale, e che di fatto anche Black Lines continua a portare avanti.

Per il cinquantesimo anniversario del maggio ’68 i movimenti autonomi, radicali e antifascisti di tutta Europa parteciparono a un corteo a Parigi: «Tutte queste persone non si conoscevano e si ritrovavano attraverso la forza simbolica di una “divisa”», racconta Itvan Kebadian, facendo riferimento all’estetica dei cosiddetti black bloc, al colore nero e ai passamontagna che li contraddistinguono. «I loro striscioni, uno dopo l’altro, mi hanno fatto pensare a muri dipinti». Ed ebbe così inizio il lavoro del collettivo.

 

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Kebadian ha anche spiegato come funziona il rapporto del collettivo con i militanti e le militanti. Gli striscioni non vengono commissionati, arrivano ai cortei senza che chi li porta sappia quali messaggi contengono. Arrivano attraverso una serie di passaggi che rendono molto difficile individuarne autori, autrici, destinatari e luoghi di produzione.

Quando uno striscione è finito, dice Kebadian, viene avvolto nella carta da pacchi. «Ci divertiamo, mettiamo della carta da pacchi di Barbie, con dei nastri, tutto è un atto artistico». Quando i vari movimenti (gli antifa o la Jeune Garde Antifasciste) vengono a ritirarli («e spesso è un intermediario» a farlo) non sanno cosa stanno prendendo, né chi ha fatto gli striscioni: «La catena è discontinua. Quel che c’è di bello è che si rinnova di continuo. Cambia chi disegna gli striscioni, chi li trasporta, chi li tiene alle manifestazioni, e anche i luoghi in cui finiscono dopo». Kebadian dice che per lui l’arte «è come il giullare di corte, può allo stesso tempo stare nei bassifondi e dire al monarca che è brutto. Essere al centro di questo conflitto, come una pellicola sottile, questo è il posto dell’artista».

Manifestazione di protesta a Parigi, 21 gennaio 2023 (AP Photo/Lewis Joly)

La polizia ha capito subito il ruolo svolto da questi striscioni, che dal 2018 sono stati presenti in vari momenti di protesta che si sono svolti in Francia, compreso quello dei “gilet gialli”.

Dal terzo anno di mobilitazione dei “gilet gialli”, ha spiegato un militante, la polizia «li caricava sistematicamente. Li individuava e, all’improvviso, caricava da due direzioni separate per isolarli e prenderli». Sui social circolano parecchie fotografie che prendono in giro questi poliziotti che, dopo i cortei, si fotografano con gli striscioni sequestrati ai manifestanti come fossero dei trofei. Degli ottanta striscioni fatti finora da Black Lines, una cinquantina è stata requisita o distrutta.

 

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Itvan Kebadian ha detto che dall’inizio di marzo la repressione della polizia si è ulteriormente inasprita: «Prima, non appena qualcuno lasciava cadere lo striscione, c’era qualcuno che lo sostituiva. Oggi, invece, la gente esita davanti alle cariche».

Un murale di Black Lines che rappresenta l’ex pugile francese Christophe Dettinger che nel 2019 durante le proteste dei “gilet gialli” si era scontrato con la polizia, Parigi, 31 gennaio 2019 (AP Photo/Michel Euler)

La polizia conosce bene il collettivo. In una nota dei servizi di sicurezza e informazione del ministero dell’Interno francese di qualche tempo fa si dice che l’obiettivo dei suoi membri era «creare un blocco antifascista di “gilet gialli”. Principalmente a Parigi ma anche in Belgio». Seguiva un intero elenco di paesi in cui Black Lines aveva realizzato delle opere.

Tra le azioni di contrasto diretto fatte dalla polizia contro il collettivo, Kebadian ha citato l’interruzione della fornitura della tela che Black Lines utilizza per gli striscioni. Proveniva dagli scarti di un’azienda che la produce a chilometri, dice, ma il suo direttore dall’oggi al domani ha ordinato di rendere tali scarti non più reperibili. «Dopodiché» conclude «sarebbe davvero il massimo se nel paese di Charlie (Charlie Hebdo, settimanale satirico francese, ndr) e della libertà di espressione i graffiti finissero dietro le sbarre».

 

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