Catania è una città importante per i narcos sudamericani

L'ultimo carico di cocaina è stato sequestrato questa settimana, ma è da tempo un punto di arrivo del traffico proveniente dall'America Latina

Il carico di cocaina recuperato al largo di Catania (© Cover Images via ZUMA Press)
Il carico di cocaina recuperato al largo di Catania (© Cover Images via ZUMA Press)
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Questa settimana al largo di Catania, in Sicilia, è stato recuperato in mare un carico di due tonnellate di cocaina. Erano 70 pacchi legati tra loro con delle reti che galleggiavano, e al centro c’era un segnalatore luminoso. La Guardia di Finanza ha spiegato che è stato «uno dei sequestri più ingenti mai effettuati nel territorio nazionale» e che il carico, una volta sul mercato, avrebbe fatto guadagnare ai trafficanti circa 400 milioni di euro. I 70 pacchi contenevano 1.600 panetti di cocaina conservata dentro imballaggi impermeabili.

Catania, sia per le rotte navali sia per quelle aeree, è diventata da tempo un importante punto di arrivo di grandi carichi di stupefacenti che seguono le rotte di collegamento tra Sud America, Nord Africa e Sicilia. Per quanto riguarda il traffico che avviene via mare i pacchi di stupefacenti vengono lasciati al largo, quindi le coordinate che segnalano l’esatta posizione del carico vengono inviate a chi deve recuperarlo. Dalla costa poi si muovono motoscafi d’altura, cioè in grado di andare in alto mare, che portano a termine l’operazione in breve tempo e con pochi rischi.

Tuttavia non è solo questo il metodo usato dalle bande criminali che commerciano stupefacenti. A ottobre del 2022 centodieci chili di cocaina sono stati sequestrati nel porto di Catania, all’interno di un container di frutta tropicale che proveniva dall’Ecuador. Altri carichi sono stati intercettati anche all’aeroporto catanese di Fontanarossa.

Già nel 2021 la Direzione investigativa antimafia (Dia) scriveva nel suo rapporto semestrale che operazioni di polizia avevano consentito «di focalizzare come la provincia etnea [di Catania, ndr] sia diventata un hub cruciale per l’importazione della droga dal Sud America. La struttura criminale, ben organizzata e collegata al cartello di Sinaloa, oltre al traffico di stupefacenti, era dedita alla realizzazione di molteplici reati satellite attraverso un gruppo attivo in Italia, Spagna ed America Latina». Secondo la Dia è quindi «ragionevole chiedersi se le consorterie mafiose siciliane, capillarmente presenti nel territorio ed insinuate in tutti i meccanismi produttivi legali e illegali, possano accettare l’attività di gruppi criminali dediti a illeciti che coincidano con i loro interessi tipici». In pratica secondo la Dia esiste un’alleanza tra cosche mafiose siciliane e narcotrafficanti sudamericani.

La mafia catanese ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più importante in Cosa Nostra, la mafia siciliana, sfruttando l’indebolimento delle cosche palermitane. La mafia catanese si è alleata con alcune ‘ndrine calabresi, con clan camorristici, con gruppi criminali albanesi. E al termine di questa catena criminale ci sono anche gruppi di narcos sudamericani, in particolare il cartello messicano di Sinaloa, una delle più potenti organizzazioni criminali del mondo che dal Messico ha esteso la sua influenza in tutto il Sud America e in Europa.

Secondo la Dia a gestire i rapporti con le altre organizzazioni criminali e quindi a essersi imposti nelle rotte del narcotraffico sono le famiglie mafiose da sempre egemoni nel territorio catanese: i Santapaola, gli Ercolano, i Mazzei, i La Rocca, i Lamacca. Secondo Carmelo Zuccaro, procuratore distrettuale antimafia di Catania, i Santapaola-Ercolano «si rapportano con sodalizi mafiosi ad essa contrapposti nello stesso territorio», in certi casi arrivando «ad accordi spartitori nella gestione delle attività illecite e, più in generale, nelle infiltrazioni del tessuto imprenditoriale».

Alla parte opposta del patto criminale c’è il cartello di Sinaloa. Fondato negli anni Sessanta, si impose come organizzazione dominante nel traffico di droga negli anni Ottanta e Novanta quando era comandata da Ernesto Fonseca Carrillo, detto “Don Neto”, Miguel Angel Felix Gallardo, detto “El Jefe de Jefes”, Amado Carrillo Fuentes, detto “El Señor de los Cielos”, e soprattutto da Joaquin Archivaldo Guzman Loera, detto “El Chapo”, i cui figli continuano ad avere ruoli importanti nell’organizzazione criminale. Ora a capo dell’organizzazione c’è Ismael Zambada Garcia, detto “El Mayo” o “Don Ismael”. Secondo il sito di giornalismo investigativo InSight Crime, “El Mayo” iniziò a commerciare droga alla fine degli anni Settanta. È l’ultimo narcotrafficante rimasto della cosiddetta “vecchia guardia”, il più longevo tra i capi ancora liberi.

Non è però “El Mayo” in persona a essersi alleato con la mafia catanese. A farlo è stato il suo luogotenente, José Angel Rivera Zazueta, detto “El Flaco”. Nel 2019 la sua presenza fu segnalata a Catania, si spostò quindi a Roma e infine tornò in Messico. Subito dopo, secondo la ricostruzione della Guardia di Finanza, a Catania arrivarono due suoi emissari: Daniel Esteban Ortega Ubeda, detto “Tito”, 35 anni, e Felix Ruben Villagran Lopez, detto “Felix”, 48 anni. Sempre secondo la Guardia di Finanza i due emissari lavoravano a stretto contatto con un messicano in Colombia, Luis Fernando Morales Hernandez, detto “El Suegro”, incaricato di preparare i carichi che dalla Colombia erano destinati all’aeroporto di Catania. Qui c’era un uomo di fiducia del cartello, chiamato dai narcotrafficanti “Don Señor”.

Tutte le comunicazioni tra i due emissari arrivati a Catania dalla Colombia, “Don Señor” e i vertici dell’organizzazione erano intercettate. I due emissari a Catania nelle conversazioni telefoniche si rivolgevano al “Flaco” chiamandolo «mio signore». Il piano, che venne scoperto dalla Guardia di Finanza nel 2019, prevedeva che un aereo privato partito da Città del Messico facesse scalo a Cartagena, in Colombia, dove sarebbe stata caricata la droga, per poi volare a Catania facendo una sosta per rifornimento a Capo Verde. Il carico previsto era di circa 300 chili di cocaina.

La spedizione partì a ottobre del 2019 in seguito a una serie di ritardi per problemi organizzativi, e consisteva in 406 chili di cocaina. Fu però una cosiddetta consegna controllata: significa che l’intera spedizione dalla Colombia a Catania era seguita dalla Guardia di Finanza, in collaborazione con la polizia antidroga colombiana.

Una volta arrivato a Catania il carico venne spostato in un magazzino in periferia che era stato individuato da “Don Señor”. A quest’ultimo vennero consegnati 32 panetti di droga come pagamento. Tra i compratori che attendevano l’arrivo della droga c’era un broker italiano, un intermediario, detto “Charlie”. Il suo nome è Mauro Da Fiume, era già comparso nei documenti di altre inchieste perché legato alla famiglia ‘ndranghetista dei Piromalli. Il soprannome deriva da una società di import-export che Da Fiume gestiva a Barcellona, la Charlie Export. Da Fiume e gli inviati del “Flaco” per conto del cartello di Sinaloa dovevano incontrarsi a Verona, poi l’incontro fu spostato a Milano. Fu a quel punto che la Guardia di Finanza intervenne, arrestando sia Da Fiume che gli emissari del cartello messicano a febbraio del 2020.

Non si è mai saputo per conto di chi stesse acquistando la droga Da Fiume. Ma quegli arresti non hanno interrotto il traffico di droga in arrivo dal Sudamerica a Catania, ancora considerata un punto d’arrivo privilegiato dalle organizzazioni criminali dell’America Latina.