«L’agendina telefonica che c’ha Gianni Minà è una cosa da invidiarlo»

Così Massimo Troisi sintetizzò con efficacia l'accesso alle grandi celebrità che aveva il giornalista morto ieri a 84 anni

 (AP Photo/Luca Bruno)
(AP Photo/Luca Bruno)
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Dopo la morte di Gianni Minà, avvenuta lunedì sera, sui social network è di nuovo circolata molto una sua foto in compagnia di Muhammad Ali, Robert De Niro, Sergio Leone e Gabriel García Márquez. Non è l’immagine di backstage di una trasmissione televisiva, ma venne scattata durante una cena informale, a Roma, da “Checco er Carettiere”.  Minà ha raccontato la storia di quella foto molte volte, magari romanzandola un pochino sui tempi, ma non sulla sostanza. Ali, pugile e personaggio leggendario, era lì per partecipare a una trasmissione di Minà, Blitz. Gli altri erano vecchie conoscenze della sua lunga carriera da giornalista, attirati dall’ospite illustre. Nel racconto di Minà tutto fu organizzato in poche ore, aggiungendo un commensale ogni volta che uno di loro chiamava per autoinvitarsi.

 

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La cena da “Checco er Carettiere” è emblematica dei rapporti intimi che Gianni Minà seppe costruirsi negli anni, da quando iniziò a Tuttosport e poi soprattutto dopo, nei decenni alla Rai. Gli incontri ufficiali erano occasioni per instaurare relazioni durature che gli hanno permesso di approfondire la conoscenza di grandi personaggi non solo dello sport e dello spettacolo, ma anche della politica e della storia, soprattutto latinoamericana. Di altre cene con personaggi illustri non ci sono testimonianze fotografiche, ma solo i racconti dello stesso Minà: una delle sue classiche frasi d’esordio, prima di raccontare un aneddoto o una confidenza, è stata poi citata e ripresa varie volte: «Eravamo io, Fidel Castro, Diego Armando Maradona, Teofilo Stevenson…».

Nei racconti di Minà i personaggi cambiavano ma erano sempre di alto livello, e le ambientazioni erano spesso cubane o sudamericane. Minà raccontò più volte la politica del continente, con documentari e reportage incentrati soprattutto sui suoi aspetti più rivoluzionari. Intervistò una prima volta il leader cubano Fidel Castro nel 1987, in un colloquio durato sedici ore e diventato poi un libro e un documentario: lo intervistò di nuovo dopo il crollo del Muro di Berlino, nel 1990, e lo incontrò molte altre volte. Quel legame con Cuba e la rivoluzione lo portò a conoscere bene i figli di Ernesto “Che” Guevara, ma anche a essere confidente dell’ex presidente venezuelano Hugo Chavez, dell’attuale presidente brasiliano Lula e del subcomandante Marcos, rivoluzionario zapatista messicano.

Minà realizzò per la Rai programmi che sarebbero diventati un pezzo di storia della televisione italiana, proprio per la sua capacità di includere personaggi di spessore, portandoli davanti alle telecamere per raccontarsi in nome di un rapporto che appariva personale, confidenziale: insomma, che non si limitava alla promozione di un libro o di un film in uscita.

Troisi fece una sintesi rimasta famosa di questa abilità di Minà, durante una trasmissione dedicata a Pino Daniele in cui fece un pezzo comico tutto incentrato sulla sua agenda telefonica: «È una cosa da invidiarlo, lui è uno che si mette là […] tà-tà-tà, e chiama a Cassius Clay, così, e non è che gli sbatte il telefono in faccia, no».

Gianni Minà cominciò occupandosi di sport e facendo ritratti dei grandi protagonisti durante gli eventi più importanti e di cui, in un certo senso, sposava la causa, diventandone tifoso, oltre che testimone della loro attività. I velocisti Pietro Mennea e Tommie Smith, e il pugile Nino Benvenuti sono i primi che raccontò in modo approfondito. Ali lo fece entrare nel suo spogliatoio dopo lo storico incontro con George Foreman a Kinshasa nel 1974, Diego Armando Maradona lo scelse fra tutti i giornalisti internazionali presenti ai Mondiali di calcio del 1994, quando fu fermato al controllo antidoping. Con Maradona ebbe un rapporto intimo che durò per decenni, grazie al quale fece anche documentari e lunghe interviste.

Ma una volta o l’altra quasi tutti i grandi personaggi dello sport, da Michel Platini a Marco Pantani, passando per Alberto Tomba, sono stati intervistati da Minà.

Oltre allo sport, Minà si occupò di cultura e politica in senso più ampio, diventando amico e confidente dei maggiori registi italiani, da Sergio Leone a Federico Fellini, e stranieri (Martin Scorsese, fra gli altri), ma anche di cantanti (Giorgio Gaber, Lucio Dalla, Pino Daniele, Ray Charles). Contribuì a far conoscere in Italia scrittori sudamericani che avrebbero mantenuto rapporti con lui anche quando la loro fama diventò mondiale: non solo Gabriel García Márquez, ma anche Jorge Amado ed Eduardo Galeano.

Per anni ci si è chiesti quale fosse il suo segreto, cosa lo portasse a ottenere un accesso così diretto alle celebrità. Minà era particolarmente abile nel costruire relazioni basate sul rispetto e sulla curiosità, sceglieva i personaggi di cui amava occuparsi e poi li accompagnava anche nei momenti più complessi della loro carriera, durante i quali sapeva porsi con garbo e in maniera non intrusiva.

I giornali prima e la Rai poi, in un periodo in cui le imprese editoriali non dovevano fare i conti con una costante crisi economica, gli diedero la possibilità di essere sempre presente ai grandi eventi sportivi, e di coltivare così i propri rapporti. Mixer, il programma di interviste condotto da Giovanni Minoli, e Blitz furono programmi che potevano contare su cospicui mezzi economici, e che potevano permettersi di invitare in studio personaggi internazionali. Una delle puntate di Blitz cominciò sul set di C’era una volta in America di Sergio Leone, dove Robert De Niro stava girando la scena finale del film.

Il prodotto finale delle interviste e degli incontri era sempre di alta qualità: Minà fu un grande documentarista, vinse premi internazionali e due Nastri d’argento in Italia. I grandi personaggi si affidavano a lui anche perché sapevano di potersi fidare, venivano trattati con rispetto e c’era qualche garanzia sul risultato finale. Col passare degli anni poi lo status di giornalista affermato e la reputazione di abile intervistatore di celebrità finì per autoalimentarsi, dandogli accesso a personaggi ancora più importanti, come papa Francesco e il Dalai Lama.