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  • Domenica 5 marzo 2023

La morte di Stalin dopo giorni di agonia, settant’anni fa

Il dittatore sovietico fu colpito da un ictus ma per due giorni non fu visitato: morì il 5 marzo del 1953, aprendo una guerra di successione

Celebrazioni sulla piazza Rossa in occasione del 70° anniversario della morte di Stalin (AP Photo/ Alexander Zemlianichenko)
Celebrazioni sulla piazza Rossa in occasione del 70° anniversario della morte di Stalin (AP Photo/ Alexander Zemlianichenko)
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Settant’anni fa, alle 21:50 del 5 marzo 1953, Josip Stalin fu dichiarato morto: il dittatore sovietico era stato colpito più di cinque giorni prima da un ictus emorragico nell’emisfero cerebrale sinistro. Per quasi un’intera giornata rimase sul pavimento della sua stanza nella casa di campagna fuori Mosca, senza che nessuno osasse entrare per il timore di disturbarlo. Per un’altra mezza giornata restò sul divano della stessa stanza, senza che intervenissero medici: si pensava che fossero gli effetti di un eccesso di alcol. L’annuncio ufficiale della sua morte fu dato il giorno dopo, il 6 marzo.

Anche a causa dei ritardi nelle cure, per anni si è speculato sulle cause della morte di Stalin, segretario generale del Partito comunista sovietico.

Alcuni storici avevano teorizzato un avvelenamento: l’ipotesi, poi smentita da successivi studi, era stata alimentata anche da un racconto sui suoi ultimi istanti di vita riferito dalla figlia Svetlana, esule negli Stati Uniti dal 1967. Nella sua autobiografia, la donna scrisse che poche ore prima di morire Stalin aveva mostrato segni di recupero, si era alzato a sedere dal letto su cui era sdraiato e aveva indicato, guardandoli con odio, gli altri importanti rappresentanti del partito presenti al capezzale. In realtà il corpo di Stalin fu sottoposto a un’accurata autopsia da parte di nove medici prima dell’imbalsamazione e i referti, molto studiati in seguito, confermano gli effetti dell’ictus emorragico come causa della morte.

Nel 1953 Stalin aveva 75 anni e governava da quasi 30 l’Unione Sovietica: era segretario del partito dal 1922 e dopo la morte di Lenin, avvenuta nel 1924, aveva accentrato progressivamente su di sé il potere. Negli ultimi anni le sue condizioni di salute erano peggiorate: era affetto da paranoia, diagnosticata da un medico che morì poche settimane dopo in circostanze mai chiarite, e passava sempre più tempo nella casa di campagna, una “dacia” a Kuntsevo, fuori Mosca, dove invitava spesso alcuni dei suoi alleati più stretti (per controllarli, secondo alcune interpretazioni).

Josip Stalin in una foto del 1950 (AP Photo/File)

Accadde anche il 28 febbraio del 1953: a Kuntsevo con Stalin c’erano fra gli altri Georgy Malenkov, suo vice e poi brevemente suo erede dopo la morte; il capo della “polizia segreta” (quella che in seguito sarebbe diventata il KGB) Lavrenti Beria; il ministro della Difesa Nikolai Bulganin; l’ex ministro degli Esteri Vyacheslav Molotov; il capo del Partito comunista a Mosca Nikita Kruscev. Come spesso succedeva in quelle occasioni, il gruppo si trattenne fino a tarda notte, intorno alle 4, per una serata di discussioni accompagnata da molto alcol. Il giorno seguente nessuno degli invitati ricevette una chiamata da Stalin, come era consuetudine: la sua camera rimase chiusa e il personale di servizio rispettò gli ordini di non disturbarlo. Solo in tarda serata una governante si decise a entrare, trovando Stalin sdraiato sul pavimento: respirava a fatica, mostrava segni di incontinenza e non rispondeva ai tentativi di svegliarlo.

Secondo alcune ricostruzioni Stalin rimase incosciente e secondo altre no, ma non era in grado di esprimersi in modo comprensibile. Fu chiamato il capo dei servizi segreti Beria, che interpretò il suo stato come un effetto dell’ubriachezza e ordinò che venisse lasciato dormire. Solo nella tarda mattinata successiva furono avvertiti i medici: riscontrarono la paralisi di metà del corpo, una forte pressione sanguigna e in generale condizioni di salute preoccupanti.

Per alcuni giorni Stalin fu lasciato a completo riposo: gli veniva data da mangiare della zuppa con un cucchiaio e gli furono applicate otto sanguisughe, probabilmente nell’intento di far scendere la pressione. Le condizioni però peggiorarono con il passare dei giorni, e il 4 marzo fu necessario somministrargli dell’ossigeno. Morì probabilmente nella mattina del 5 marzo, ma la registrazione ufficiale del decesso avvenne solo alle 21:50 e fu comunicata al paese il giorno dopo (il 2 marzo era stato segnalato pubblicamente l’ictus, postdatandolo di un giorno).

Stalin non aveva indicato un erede designato, per cui di pari passo con l’organizzazione dei funerali cominciarono le dure lotte politiche all’interno della cerchia ristretta del Comitato Centrale per la sua successione. Beria provò a imporsi ma fu fatto arrestare e ucciso. Con un sottile lavoro di alleanze e di progressiva eliminazione dei rivali, Kruscev sarebbe diventato il nuovo leader dell’Unione Sovietica a partire dal 1956. Qualche anno dopo sempre Kruscev procedette all’opera di cosiddetta destalinizzazione del paese, rinnegando ufficialmente molte delle scelte politiche e ideologiche del predecessore, di cui fu ridimensionata la figura e furono sottolineati gli eccessi.

La bara di Stalin portata dal figlio e da importanti rappresentanti del Partito. (AP Photo)

Prima però, c’erano state le grandi celebrazioni per il funerale di Stalin: il suo corpo fu esposto nella Sala delle Colonne del Cremlino a Mosca e un’enorme folla partecipò al corteo funebre. In quell’occasione ci furono molti morti, schiacciati dalla folla. Le stime ufficiali di qualche anno dopo parlarono di oltre un centinaio di morti, ma secondo altri storici furono un numero molto superiore.

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