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  • Mercoledì 1 marzo 2023

Il ruolo di Netflix nella Formula 1 è diventato piuttosto ingombrante

La docuserie “Drive to Survive” fu un azzardo ed è stata un successo, ma dopo cinque stagioni si inizia a vedere qualche crepa

(Netflix)
(Netflix)

A pochi giorni dall’inizio del nuovo Mondiale di Formula 1, Netflix ha reso disponibile la quinta stagione della docuserie Formula 1: Drive to Survive, di cui già è stata confermata la sesta. Nel bene e nel male, in questi anni Drive to Survive è diventato un pezzo sempre più importante della Formula 1. Nel bene perché ha fatto conoscere questo sport a nuovi spettatori e in nuovi mercati, diventando un modello per altre serie sul tennis, sul golf, sul Tour de France o sul Sei Nazioni di rugby. Nel male perché alcuni la considerano troppo artefatta e artificiosamente drammatica, probabilmente anche perché nel frattempo i suoi protagonisti si sono resi conto della sua rilevanza.

La prima stagione di Drive to Survive arrivò nel 2019 e fu un discreto azzardo. Raccontava il dietro le quinte di uno sport storicamente molto riservato, dove da tempo a vincere erano quasi sempre gli stessi; per di più la prima stagione nemmeno aveva i diritti per mostrare le vicende di Mercedes e Ferrari, le scuderie più forti e note. Drive to Survive ha avuto successo perché ha quasi sempre schivato (o semplificato molto) i tecnicismi, per concentrarsi invece sul lato umano e drammatico: la serie non si cura granché di telemetrie o pneumatici da scegliere e punta invece molto su rivalità, invidie e rivincite, spesso dedicando più spazio a un significativo piazzamento in un certo Gran Premio anziché all’ennesima vittoria di una Red Bull o di una Mercedes.

Negli anni la serie ha spesso puntato su singole vicende di piloti o team principal, i “capi” di ognuna delle dieci scuderie che partecipano al Mondiale, con episodi tematici che in larga parte non seguono l’ordine degli eventi: lo scopo non è ri-raccontare un Mondiale, è trovarci dentro storie e personaggi a cui dedicare l’attenzione. «È perfino meglio della Formula 1» notò nel 2020 una recensione secondo cui, ben più di sorpassi o incidenti, a «raccontare davvero la storia di questo sport» era «tutto il suo contorno».

(Daniel Vojtech / Netflix)

Un primo problema, ora che Drive to Survive è arrivata alla quinta stagione, è che formato e meccanismo sono sempre quelli, e spesso anche i personaggi protagonisti. Come altre serie, anche non documentarie, c’è meno novità e manca l’effetto wow. Ed essendo documentaria, non è che la serie possa creare dal niente nuovi personaggi o archi narrativi: le scuderie sono sempre dieci, così come i loro capi, e i piloti sono sempre venti; da un lato c’è il rischio di ripetersi, dall’altro quello di esasperare vicende o caratteristiche personali.

Una seconda questione riguarda il fatto che ci sono sempre più critiche, anzitutto da parte di alcuni diretti interessati, sul fatto che Netflix sembri a volte voler piegare un po’ troppo la realtà alle sue necessità di racconto. Max Verstappen, il campione mondiale in carica, ha scelto di farsi intervistare solo da questa stagione, dopo che nel 2021 aveva detto che Drive to Survive creava «finte rivalità» e dopo averla paragonata al reality Al passo con i Kardashian. Toto Wolff, il team principal della Mercedes, ha parlato di «scene inventate» e il pilota francese Esteban Ocon ha citato il caso di una sua frase detta dopo un certo Gran Premio che viene montata come se fosse detta dopo un altro.

Inoltre ormai è ben chiaro a tutti i protagonisti di Drive to Survive, che talvolta ne parlano apertamente davanti alle telecamere, quanto la serie sia importante per la Formula 1. Con il dubbio che certe cose vengano fatte o dette a favore di Netflix, per assecondare certi approcci narrativi o incastrare più nettamente certe persone nella parte di determinati personaggi.

Nella seconda puntata dell’ultima stagione, per esempio, c’è una scena in cui dopo qualche Gran Premio i team principal sono riuniti dall’amministratore delegato della Formula 1 Stefano Domenicali per discutere delle prime conseguenze delle modifiche introdotte al regolamento, quelle che avevano portato ai radicali cambiamenti nella struttura delle monoposto. Nella scena si vede Wolff, in una posizione molto complicata per via delle difficoltà di Mercedes all’inizio della scorsa stagione, prendersela veementemente con i colleghi accusandoli di non tenere alla sicurezza dei piloti. Gli altri team principal reagiscono piuttosto male, e in diversi lo accusano di aver esagerato quello sfogo per via delle telecamere. Uno di loro addirittura propone di spegnerle, per rendere il confronto più onesto e sereno.

«Sembra tutto un po’ più messo in scena apposta», ha scritto il Telegraphsecondo cui la serie ha finito con l’avvicinarsi troppo al suo soggetto, che ne ha preso atto e ci si è adattato.

(Netflix)

Non è niente di nuovo: chi fa documentari ragiona da oltre un secolo su come l’osservazione cambia gli atteggiamenti dell’osservato, e la stessa cosa si dice quasi ogni volta che si parla delle differenze sociologiche tra il primo Grande Fratello e tutti quelli dopo; e succede a maggior ragione se gli spettatori di tutto questo sono milioni di persone in giro per il mondo. Ma Drive to Survive, così come altre simili serie sportive che arriveranno, specie quelle il cui punto di vista è su un intero sport o evento anziché su un solo atleta o su una singola squadra, dovranno gestire il problema di raccontare senza deformare troppo, con la consapevolezza che già solo per il fatto di essere lì a raccontare stanno comunque deformando e influenzando quello che accade. Dal punto di vista della Formula 1, visto il ritorno economico e di pubblico, difficilmente sarà un problema; per chi come Netflix produrrà serie di questo tipo potrebbe diventarlo.

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