Perché l’Italia è contraria al divieto di vendita di auto a benzina e diesel dal 2035

È una misura europea che il governo italiano, assieme ad altri paesi come la Germania, vorrebbe ostacolare

(AP Photo/Michael Sohn)
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Alcuni stati membri dell’Unione europea, tra cui l’Italia, l’Ungheria e con buone probabilità la Germania, intendono ostacolare l’entrata in vigore della normativa sul divieto di vendere nuove auto e veicoli commerciali a benzina e diesel a partire dal 2035. La misura punta a favorire la diffusione di veicoli elettrici in ottica di maggiore sostenibilità ambientale. La legge è stata approvata a metà febbraio dal Parlamento europeo e deve superare un ultimo passaggio formale e politico nel prossimo Consiglio dell’Unione europea del 7 marzo, il cui risultato positivo però non sembra più così scontato.

Mercoledì si sarebbe dovuta tenere una riunione del Coreper, l’organo composto dagli ambasciatori degli stati membri presso l’Unione europea che prepara a livello politico tutte le riunioni del Consiglio dell’Unione europea: l’incontro avrebbe dovuto preparare il terreno per il via libera definitivo alla normativa sulle auto, ma ieri l’Italia ha annunciato l’intenzione di votare contro, portandosi dietro anche la posizione più moderata ma comunque piuttosto scettica della Germania. I due paesi sono non a caso tra i maggiori produttori di auto europei e la riunione è stata posticipata per dare più spazio alle negoziazioni informali. Non è soltanto un rinvio, ma comporta la riapertura di una discussione che le istituzioni europee consideravano ormai chiusa.

Il divieto di vendita dei veicoli a benzina e diesel fa parte di un ambizioso progetto contro il cambiamento climatico, chiamato “Fit for 55” (“Pronti per il 55”), che era stato presentato dalla Commissione europea nel luglio del 2021. Il piano è composto di diverse iniziative che mirano a ridurre entro il 2030 le emissioni inquinanti del 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, e poi a raggiungere la cosiddetta neutralità carbonica entro il 2050.

L’obiettivo è estremamente ambizioso, ma molti sono preoccupati dell’effettiva sostenibilità e fattibilità del progetto. Le posizioni sul divieto specifico di produrre e commercializzare veicoli con motori tradizionali a partire dal 2035 sono piuttosto polarizzate: c’è chi ritiene che sia un passaggio importante e inevitabile per arrivare alla neutralità carbonica e c’è chi invece teme che il divieto sia troppo stringente e repentino, e che finirà per rivelarsi dannoso per l’industria dell’auto europea e per i suoi oltre due milioni di dipendenti.

In una nota il ministero italiano dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha spiegato la decisione di votare contro l’entrata in vigore del divieto: «pur condividendo gli obiettivi di decarbonizzazione, l’Italia sostiene che i target ambientali vadano perseguiti attraverso “una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa”, pianificata e guidata con grande attenzione, per evitare ripercussioni negative per il paese sia sotto l’aspetto occupazionale che produttivo. L’Italia ritiene inoltre […] che la scelta dell’elettrico non debba rappresentare, nella fase di transizione, l’unica via per arrivare a zero emissioni».

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La preoccupazione sull’elettrico risiede nel fatto che oggi le auto elettriche sono ancora piuttosto costose e il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, nella stessa nota, afferma che «l’utilizzo di carburanti rinnovabili, compatibili con i motori termici contribuirà a una riduzione delle emissioni senza richiedere inattuabili sacrifici economici ai cittadini». La posizione dell’Italia riflette quella espressa dai partiti che costituiscono l’attuale maggioranza di governo (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) durante la votazione di qualche settimana fa al Parlamento europeo.

La Germania ha una posizione simile. Il ministro tedesco dei Trasporti Volker Wissing, per esempio, chiede da tempo una regolamentazione dei cosiddetti e-fuel, ossia particolari combustibili di origine sintetica (quindi non derivanti per esempio dal petrolio) prodotti con tecnologie alimentate con fonti rinnovabili, in modo da ridurre le emissioni. In questo modo si potrebbe continuare a usare auto con motori a combustione, che comunque resteranno in circolazione ancora per molto anche in caso di entrata in vigore del divieto di produzione e vendita nel 2035. «Anche dopo il 2035, i veicoli che funzionano in modo climaticamente neutro con #eFuels devono essere immatricolati. Più trasparenza, meno divieti inutili», dice Wissing.

Effettivamente la normativa europea vede come unica alternativa dopo il 2035 quella delle auto elettriche e al momento non sono tenute in conto altre soluzioni, come quelle degli e-fuel. La Commissione europea non è riuscita finora a fare una proposta che tenga conto anche di questo tipo di soluzioni e questo ha spinto la Germania verso un atteggiamento critico sul divieto. Il tema non è marginale perché dal 2035 sarà solo vietata la vendita di veicoli a benzina e diesel, ma quelli già in circolazione resteranno su strada.

La scelta delle istituzioni europee di puntare sull’elettrico deriva da una questione di convenienza ma anche dallo stato della ricerca: secondo alcuni risultati, riportati in un articolo con le risposte alle domande più comuni su questo argomento, è meno costoso usare un veicolo elettrico invece di uno alimentato a idrogeno o con gli e-fuel, che sono costosi e che in ogni caso richiedono un processo di produzione con un consumo notevole di energia. La ricerca sull’idrogeno e sugli e-fuel, inoltre, è molto indietro: mentre le auto elettriche sono già una realtà piuttosto consolidata, benché di nicchia e costosa, le auto alimentate a e-fuel e quelle a idrogeno sono poco più che prototipi.

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Resta il fatto che le auto elettriche sono ancora poco diffuse, sia per il loro costo che per la presenza di infrastrutture, come le colonnine di ricarica, poco capillari sul territorio. Uno studio di Acea, l’associazione europea dei maggiori produttori di auto, mostra come le vendite di auto elettriche siano positivamente correlate con la presenza di colonnine sul territorio.

Tutte le considerazioni critiche verso il divieto, anche quelle più pragmatiche, si scontrano però con i numeri e l’urgenza di combattere il cambiamento climatico: l’Unione europea è la terza produttrice mondiale di CO2 e le automobili rappresentano il 12 per cento di tutte le emissioni, mentre l’intero settore dei trasporti è responsabile di un quarto del totale.

I sostenitori del divieto puntano sul fatto che in pochi anni il progresso tecnologico verso l’elettrico è stato molto veloce e che da qui al 2035 l’industria dell’auto, con una scadenza così perentoria e gli incentivi introdotti dall’Unione europea e dai singoli paesi membri, sarà in grado di compiere la transizione. I grossi produttori di auto da tempo stanno andando in questa direzione. Il divieto li ha preoccupati, ma le reazioni più contrarie alla misura sono venute più dalla politica che dalle case automobilistiche. Un esempio virtuoso è il caso di Volskwagen: l’azienda si è data come termine ultimo il 2033 per arrivare a una produzione completamente elettrica.

Per quanto riguarda le infrastrutture, è vero che al momento sono ancora molto poche nei paesi dove le auto elettriche sono ancora poco diffuse (Germania e Paesi Bassi da soli hanno quasi la metà delle colonnine di ricarica dell’intera Unione europea), ma il ritmo di crescita è elevato: per esempio negli ultimi due anni la presenza di colonnine in Italia è quasi raddoppiata, anche se con notevoli differenze tra regione e regione.

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