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  • Domenica 12 febbraio 2023

La Chiesa cattolica non se la passa bene in Nicaragua

La condanna a 26 anni di carcere di un vescovo è l'episodio più grave della repressione portata avanti dal regime di Daniel Ortega

Una grande bandiera del Nicaragua sul tetto della cattedrale di Managua, sotto una statua della Madonna
Una grande bandiera del Nicaragua sul tetto della cattedrale di Managua, sotto una statua della Madonna, e un manifestante, il 30 maggio 2019 (AP Photo/Alfredo Zuniga, File, LaPresse)
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Venerdì in Nicaragua un vescovo cattolico è stato condannato a 26 anni e quattro mesi di carcere per una serie di accuse, tra cui quelle di alto tradimento e di diffusione di notizie false. Il vescovo si chiama Rolando Álvarez e si trova in carcere dallo scorso agosto: era stato arrestato insieme ad altri quattro preti, due seminaristi e un cameraman durante una protesta organizzata nella sede della sua diocesi a Matagalpa, nel centro del paese, per opporsi alla chiusura di una serie di media cattolici. La sua storia è finora la ripercussione più grave del pessimo rapporto tra la Chiesa cattolica e il regime del presidente Daniel Ortega nel piccolo paese centramericano.

Ortega ha 77 anni ed è lo storico leader del Fronte di Liberazione Sandinista, l’organizzazione socialista protagonista dell’ultima rivoluzione armata dell’America Latina che nel 1979 mise fine alla dittatura di Anastasio Somoza. Venne eletto presidente del Nicaragua nel 1985, governandolo fino al 1990. Dopo aver perso le elezioni di quell’anno e le due successive, fu rieletto nel 2006 ed è presidente dal gennaio del 2007, in modo sempre più autoritario.

Prima di tornare al potere aveva cercato di avvicinarsi alla Chiesa cattolica anche politicamente: nel 2005 aveva sposato con rito religioso la sua compagna, l’attuale vicepresidente Rosario Murillo, e l’anno successivo aveva sostenuto una legge che vietava l’aborto in Nicaragua in tutte le circostanze, ben vista dalla Chiesa. Dopo essere tornato presidente però ha invertito questa tendenza, inimicandosi non solo la Chiesa ma anche buona parte della popolazione.

La situazione si è aggravata in modo particolare dal 2018, quando ci furono grosse proteste violente contro le politiche di Ortega, durante le quali furono uccise circa 300 persone. In quel periodo i parroci aprirono le porte delle chiese ai manifestanti inseguiti dalla polizia e la Conferenza episcopale nicaraguense, l’organo che riunisce i vescovi del paese, si propose come mediatrice tra manifestanti e regime. Successivamente però abbandonò questo tentativo, accusando di cattiva fede il governo, che da parte sua represse duramente le proteste imprigionando tantissimi dissidenti e chiudendo più di tremila ong e più di 50 testate giornalistiche.

Una manifestazione antigovernativa in sostegno dei vescovi del Nicaragua a Managua, il 28 luglio 2018

Una manifestazione antigovernativa in sostegno dei vescovi del Nicaragua a Managua, il 28 luglio 2018 (AP Photo/Alfredo Zuniga, File, LaPresse)

Da allora Ortega accusa la Chiesa di attentare al suo potere e nel tempo ha espulso dal Nicaragua ordini religiosi e missionari e ha chiuso radio e televisioni cattoliche. Sia Ortega che Murillo hanno più volte accusato i vescovi di essere «terroristi», e la polizia sorveglia le processioni religiose e organizza ronde fuori dalle chiese. Lo scorso marzo l’ambasciatore del Vaticano Waldemar Sommertag è stato espulso dal paese e a settembre Ortega ha definito la Chiesa una «dittatura perfetta» dato che il papa non viene eletto dai fedeli.

Nonostante la repressione il clero ha comunque cercato di sostenere le famiglie dei prigionieri politici e criticare la repressione del regime.

Álvarez, che ha 56 anni, avrebbe dovuto essere tra gli oltre 200 prigionieri politici che giovedì sono stati liberati e poi mandati in aereo negli Stati Uniti grazie a un accordo con le autorità americane. Il vescovo ha però rifiutato di andare in esilio: in passato, prima del suo arresto, si era già rifiutato di lasciare il paese per sfuggire a eventuali incarcerazioni. Gli altri uomini che erano stati arrestati insieme a lui invece sono tutti stati liberati e imbarcati sul volo per Washington.

Da programma il processo ad Álvarez si sarebbe dovuto tenere alla fine di marzo, ma dopo il suo rifiuto di partire per gli Stati Uniti è stato anticipato, non è chiaro il perché. Oltre alla condanna al carcere Álvarez è stato anche privato della cittadinanza nicaraguense. Silvio José Báez, un altro vescovo nicaraguense che attualmente vive a Miami, negli Stati Uniti, ha commentato il processo scrivendo su Twitter che «l’odio della dittatura» contro Álvarez è «irrazionale e fuori controllo».

Domenica papa Francesco, che negli ultimi anni è stato abbastanza reticente sulla situazione in Nicaragua, ha chiesto ai fedeli cattolici di pregare per Álvarez.