Le intelligenze artificiali sono una bolla?

Stanno attraendo attenzioni e investimenti come le criptovalute, ma sembrano destinate ad avere un ruolo assai più rilevante nel nostro futuro

di Pietro Minto

(DALL-E)
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Nei primi giorni di gennaio François Chollet, esperto francese di intelligenze artificiali che lavora per Google, ha discusso pubblicamente di quanto la retorica di queste settimane sulle intelligenze artificiali ricordi quella che negli anni scorsi ha interessato il settore delle criptovalute. «L’attuale clima attorno alle IA ha così tanti paralleli con il Web3 del 2021 da mettermi a disagio», ha scritto su Twitter, notando come molte persone si aspettino dalle intelligenze artificiali «un impatto in grado di alterare il corso della civiltà nel giro di due o tre anni». Anche se non c’è alcuna certezza al riguardo.

L’opinione di Chollet ha fatto molto discutere perché non veniva da una personalità poco affine o contraria allo sviluppo del settore ma da un esperto di apprendimento profondo (o deep learning, ambito di studio strettamente legato alle AI, in cui si espongono software a grandi quantità di dati, in modo che possano imparare a svolgere determinati compiti). Inoltre, l’ingegnere ha messo in guardia il suo stesso ambiente di ricerca dalle logiche dell’hype tecnologico – cioè dall’esagerato e spasmodico entusiasmo per le novità – che negli ultimi anni hanno interessato il Web3, termine che comprende criptovalute, NFT e metaverso. Negli ultimi anni, infatti, molte aziende, imprenditori e investitori hanno puntato molto su questi settori, presentandoli come le nuove frontiere del web e non solo.

A partire dalla primavera scorsa, però, il settore delle criptovalute ha cominciato a mostrare segni di profonda crisi. Da allora ha attraversato un periodo di scandali, dal crollo di Terra Luna (una particolare criptovaluta il cui valore dovrebbe essere più stabile, in questo caso legato a quello del dollaro statunitense) a quello di FTX, durante il quale il valore di Bitcoin, la criptovaluta più diffusa e usata, è sceso dai 56mila euro del novembre del 2021 ai 21mila euro di oggi, in quello che gli esperti del settore chiamano «crypto winter», l’inverno del settore.

Viste le assonanze tra crypto e IA, quindi, c’è chi teme che il grande entusiasmo generato da prodotti come ChatGPT, DALL-E, Midjourney AI e Stable Diffusion – le principali intelligenze artificiali con cui è possibile generare testi, immagini e video – possa portare a una conclusione simile a quella delle criptovalute. Lo scorso anno, secondo una stima del New York Times, il settore delle intelligenze artificiali avrebbe registrato 78 grandi accordi di investimenti per un totale di almeno 1,3 miliardi di dollari. Quest’anno si preannuncia ancora più attivo: solo negli ultimi giorni Microsoft ha ufficializzato un investimento da circa dieci miliardi di dollari in OpenAI, la società che ha sviluppato ChatGPT, e che già collabora con Microsoft.

Nonostante il giro d’affari e l’interesse generato sia per certi versi simile, però, molti osservatori ritengono che il fenomeno delle IA sia radicalmente diverso dalle criptovalute. Come ha spiegato Derek Thompson, giornalista dell’Atlantic, «il crypto era soldi senza alcuna utilità» mentre servizi come ChatGPT sono il contrario, ovvero «strumenti utili senza soldi, almeno per ora». Come visto, le cose stanno cambiando velocemente anche su questo fronte, ma le differenze continuano.

Secondo Thompson – e molti altri esperti del campo – molto spesso si usa il termine “intelligenze artificiali” in modo errato o per indicare una componente di un settore molto ampio. La tecnologia che al momento risulta essere rivoluzionaria è quella generativa, ovvero strumenti in grado di creare nuovi contenuti, ma le IA sono anche altro e ormai ci conviviamo da tempo: quando usiamo Instagram o YouTube, l’ordine con cui vediamo i contenuti nel nostro feed è deciso dalle intelligenze artificiali. In questo senso, ha spiegato Thompson, «le IA si sono già imposte in un modo in cui il crypto non è mai riuscito».

La natura complessa e controintuitiva della blockchain, la tecnologia su cui si basano criptovalute e NFT, non ha aiutato nella sua affermazione. La maggior parte delle discussioni legate alle sue applicazioni si basavano su tecnicismi o scenari lontani, che per concretizzarsi avrebbero richiesto una improbabile adozione di massa della stessa blockchain. Anche se viene spesso presentata come una tecnologia ancora acerba e migliorabile, infatti, l’invenzione della blockchain risale al 2008, ad opera dell’anonimo Satoshi Nakamoto. Sono passati ormai quindici anni da allora, gli stessi che ci separano dalla messa in vendita del primo iPhone (la differenza è di pochi mesi).

Si tratta di un lasso di tempo sufficiente a un prodotto veramente rivoluzionario per imporsi, conquistare il mercato e cambiare abitudini sociali, culturali, ed economiche. In tutti questi anni, però, i più zelanti profeti della blockchain non sono riusciti a proporre un’applicazione convincente, utile, ed esclusiva della tecnologia che non fosse legata alla mera speculazione. Già nel 2020, la BBC aveva notato come la blockchain «facesse fatica a trovare una funzione al di fuori del funzionamento delle criptovalute»; l’anno precedente, Wired l’aveva definita addirittura «inutile».

Alla luce di ciò, è evidente che le intelligenze artificiali generative come ChatGPT, pur non essendo spuntate dal nulla nel corso del 2022, abbiano in pochi mesi dimostrato un vasto potenziale dal punto di vista economico, culturale e sociale, come dimostrano le molte discussioni sui posti di lavoro – anche in ambito creativo e altamente specializzato – che potrebbero essere messi in crisi dalla loro implementazione su larga scala.

Ad accomunare i due fenomeni non è quindi un aspetto tecnologico quanto il cosiddetto «ciclo dell’hype» (o «dell’esagerazione»), una metodologia sviluppata dalla società di consulenza e analisi tecnologica Gartner per rappresentare graficamente lo sviluppo e l’adozione delle novità tecnologiche. Il ciclo consta di cinque fasi: l’Innesco iniziale, ovvero la presentazione della novità tecnologica, a cui segue l’interesse mediatico, grazie al quale si raggiunge il Picco delle aspettative esagerate, il momento di maggiore notorietà e ottimismo. Da qui si sprofonda nella Fossa della disillusione, quando la sperimentazione non produce i risultati sperati e il facile ottimismo lascia spazio alla delusione e all’abbandono di molti utenti e imprenditori. Si risale attraverso la Salita dell’illuminazione, quando i consumatori e gli investitori si rendono conto che la tecnologia può avere applicazioni in grado di renderla sostenibile anche economicamente, per arrivare all’Altopiano della produttività, quando la consapevolezza si diffonde e porta a un’adozione di massa.

(Wikipedia)

Non tutte le novità tecnologiche riescono a concludere il ciclo. In molti casi, un’applicazione reale e conveniente della tecnologia non esiste, o non è ancora possibile raggiungerla su larga scala. È il caso del metaverso, la commistione di realtà virtuale e social network proposta da Meta e altre aziende a partire dal 2021, che secondo alcuni esperti non sarebbe ancora sostenibile con il livello tecnologico odierno.

È anche a causa del ciclo dell’hype che le aziende digitali sono alla costante ricerca della “next big thing”, la prossima novità in grado di cambiare per sempre il settore (o il mondo intero). L’esempio perfetto del fenomeno è il celebre discorso di presentazione dell’iPhone da parte di Steve Jobs, nel 2007, un evento così importante da aver ispirato l’espressione “momento iPhone”, con cui si indica un singolo evento in grado di cambiare le sorti di un settore. Nelle ultime settimane, diverse pubblicazioni hanno definito il successo di ChatGPT «il momento iPhone delle IA»: anche l’analista di mercato Rowan Curran ha detto al sito VentureBeat che «l’unica cosa a cui si può paragonare» OpenAI è proprio il dispositivo di Apple. «La cosa davvero incredibile è che abbiamo una tecnologia che è utile oggi, progredisce velocemente e stiamo imparando a conoscere in tempo reale», ha spiegato.

Tuttavia, le IA sembrano seguire un andamento diverso dal ciclo tradizionale. Anche la diffusione di ChatGPT è stata particolare, lontana dal modello dell’hype proposto dalla Gartner: «In pochi giorni c’era un milione di utenti», ha spiegato Curran. «Anche se, poniamo, un quarto di loro erano in realtà doppioni, sono comunque centinaia di migliaia di cervelli umani che all’improvviso si son trovati a giocare con questa tecnologia», che è qualcosa di molto diverso dal solito. La sua natura peculiare è dimostrata anche dalle reazioni che ha provocato in molti utenti e curiosi, così sorpresi dal suo funzionamento da paragonarlo a un qualcosa di magico.

L’aura per certi versi davvero magica che circonda il settore è anche un fortunato incidente di marketing che contribuisce alla promozione di ChatGPT e prodotti simili. Lo stesso Jobs, presentando iPhone, aveva definito il funzionamento del dispositivo con parole simili: «Funziona come la magia». Quella delle IA, secondo il New York Magazine, viene raccontata come «una storia su tecnologie inevitabili che sono così trasformative, così incomprensibili e così imprevedibili da rigettare preventivamente l’umanità in uno stato di stupore e misticismo premoderno». Un fenomeno già studiato nel 2020 dai ricercatori Alexander Campolo e Kate Crawford, che notarono come i risultati positivi ottenuti dalla tecnologia del deep learning generavano «una profusione di dibattiti ottimisti che caratterizzavano questi sistemi come magici, facendo appello a forze misteriose e poteri superumani».

La stessa OpenAI, l’azienda che ha creato ChatGPT e DALL-E, fu fondata nel 2015 come una non profit con l’altisonante missione di promuovere e sviluppare un’intelligenza artificiale «amichevole», in modo che l’umanità potesse trarne beneficio. All’epoca il co-fondatore Sam Altman disse che l’avvento delle IA avrebbe causato «molto probabilmente la fine del mondo ma permetterà la nascita di grandi aziende», dimostrando di credere al potenziale sovraumano e magico di questa tecnologia. Nel 2019, OpenAI ha cambiato ragione societaria, diventando un’azienda a scopo di lucro il cui valore è oggi quotato attorno ai 29 miliardi di dollari.

Non tutti sono però convinti da come vengono descritti questi prodotti. Nei giorni scorsi Yann LeCun, responsabile delle divisione IA di Meta, il gruppo che comprende Facebook, Instagram e WhatsApp, ha dato un’intervista in cui ha definito ChatGPT «non particolarmente innovativa» e «nulla di rivoluzionario, anche se è così che viene vissuta dal pubblico». Dopo l’uscita dell’articolo, LeCun ha cercato di spiegarsi su Twitter, precisando di non voler criticare l’operato dell’azienda quanto di «correggere una percezione del pubblico e dei media che vedono ChatGPT come questa innovazione unica e incredibile avanti rispetto a tutto il resto. Non è davvero così».

Commentando la polemica, l’esperto di intelligenze artificiali Alberto Romero ha sottolineato come il fatto che le IA generative siano «tangibilmente utili» non renda il loro hype meno problematico, solo per via del confronto col Web3. Romero ha criticato soprattutto gli «influencer delle IA», personalità e investitori che tendono a esagerare e abbellire la verità, ricordando che «le esagerazioni che producono confusione sono molto più difficili da combattere delle bugie, che cadono sotto il loro stesso peso».