Exxon sapeva del riscaldamento globale fin dagli anni Settanta

La compagnia petrolifera aveva sviluppato modelli precisi sulle cause dell’aumento della temperatura, nonostante le negasse pubblicamente

Una raffineria di Exxon Mobil in Montana, Stati Uniti (AP Photo/Matthew Brown, File)
Una raffineria di Exxon Mobil in Montana, Stati Uniti (AP Photo/Matthew Brown, File)
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Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Science e basato su documenti interni della compagnia petrolifera Exxon rivela che l’azienda aveva a disposizione sin dagli anni Settanta un modello piuttosto accurato sugli effetti a lungo termine dei combustibili fossili sul clima.

Per conto di Exxon alcuni ricercatori avevano previsto il riscaldamento globale, in misure simili a quelle effettivamente riscontrate finora. Oltre ad avere ignorato per decenni quei documenti senza renderli pubblici, l’azienda aveva a lungo contestato gli studi sul cambiamento climatico definendoli fino al 2013 «troppo incerti» e battendosi per evitare ogni limitazione all’uso dei combustibili fossili.

Il nuovo studio pubblicato su Science, una delle più importanti riviste scientifiche al mondo, è stato condotto da un gruppo di ricerca dell’Università di Harvard e dell’Istituto Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico e guidato da Geoffrey Supran. Quest’ultimo ha definito le conclusioni dello studio e alcuni grafici originali degli anni Settanta in esso contenuti la «pistola fumante», ossia la prova definitiva che Exxon fosse a conoscenza degli effetti a lungo termine dell’uso dei combustibili fossili, a cominciare proprio dal petrolio e dal carbone.

Non solo nel corso degli anni Exxon «sapeva qualcosa» sulle cause del riscaldamento globale che ufficialmente negava, ma ha avuto a disposizione modelli e risultati scientifici prima dei ricercatori indipendenti.

Uno dei grafici “interni” e la sovrapposizione con i dati reali (Supran et al.)

Gli oltre cento documenti e ricerche, condotte da dipendenti della stessa Exxon o commissionate dall’azienda petrolifera a ricercatori esterni fra il 1977 e il 2003, prevedevano un aumento della temperatura media globale di circa 0,2 °C ogni dieci anni come effetto delle emissioni di gas serra riconducibili alla combustione di petrolio e carbone. Le analisi smentivano la teoria, che all’epoca aveva un certo sostegno, che il pianeta potesse andare incontro a una nuova glaciazione e invece prevedevano in modo piuttosto accurato un riscaldamento influenzato dalle attività umane e «indotto dall’anidride carbonica». Gli scienziati della compagnia avevano indicato anche i primi anni del Duemila come la data in cui gli effetti sarebbero stati universalmente riconosciuti e “scoperti” dal grande pubblico e indicavano una quota di utilizzo di combustibili fossili sotto cui sarebbe stato necessario rimanere per evitare un aumento della temperatura media globale superiore ai 2 °C.

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Lo studio definisce i risultati a disposizione di Exxon in quegli anni più accurati e completi rispetto a quelli con cui gli scienziati della NASA, e in particolare James Hansen, avvertirono il mondo dei rischi anni più tardi, nel 1988. Non è la prima pubblicazione che evidenzia come le grandi società petrolifere e aziende energetiche fossero a conoscenza degli effetti sulle temperature globali della combustione di petrolio e carbone: l’esistenza di ricerche interne in questo senso fin dagli anni Cinquanta dello scorso secolo è già stata dimostrata, ma questo studio presenta risultati più completi e circostanziati.

Exxon è una delle più grandi compagnie petrolifere al mondo ed è proprietaria, fra gli altri, del marchio Esso con cui è sul mercato in Italia. Giovedì ha smentito queste conclusioni, contattata da BBC News: «La questione è già stata presentata più volte e in ogni occasione la nostra risposta è la stessa: chi dice che “Exxon sapeva” sostiene conclusioni errate».

Exxon, così come altre grandi aziende del settore, per decenni ha respinto le conclusioni scientifiche sul riscaldamento globale causato dalle attività umane, definendole ora “speculative”, ora “cattiva scienza” e osteggiando fino a pochi anni fa ogni regolamentazione delle emissioni. Lo studio dell’Università di Harvard rivela invece che internamente la compagnia usava gli stessi modelli ed era a conoscenza degli effetti a lungo termine.