• Italia
  • Venerdì 9 dicembre 2022

Un’attivista e una giornalista si sono autodenunciate per l’aiuto a un suicidio assistito

Felicetta Maltese dell'Associazione Luca Coscioni e Chiara Lalli hanno accompagnato in una clinica svizzera un uomo malato di sclerosi multipla

Da sinistra la giornalista Chiara Lalli, l'attivista Felicetta Maltese, l'avvocata Filomena Gallo e Marco Cappato alla stazione dei carabinieri di Santa Maria Novella a Firenze, 9 dicembre 2022 (ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI)
Da sinistra la giornalista Chiara Lalli, l'attivista Felicetta Maltese, l'avvocata Filomena Gallo e Marco Cappato alla stazione dei carabinieri di Santa Maria Novella a Firenze, 9 dicembre 2022 (ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI)
Caricamento player

Venerdì a Firenze Marco Cappato, politico e attivista dell’Associazione Luca Coscioni, si è di nuovo autodenunciato per aver aiutato una persona a compiere un suicidio assistito. Si sono autodenunciate anche Chiara Lalli, giornalista e bioeticista, e Felicetta Maltese, iscritta all’Associazione Luca Coscioni e attivista della campagna Eutanasia Legale, che con Cappato hanno aiutato a raggiungere una clinica svizzera Massimiliano, un uomo di 44 anni della provincia di Livorno, affetto da sclerosi multipla e paralizzato in gran parte del corpo, che in Italia non poteva accedere al suicidio assistito. Lalli e Maltese hanno fisicamente accompagnato Massimiliano in Svizzera, mentre Cappato come legale rappresentante dell’Associazione Soccorso Civile ha organizzato e finanziato il viaggio.

Massimiliano è morto l’8 dicembre, nel modo che ha scelto, e Lalli e Maltese rischiano 12 anni di carcere per averlo aiutato a farlo. Il reato sarebbe di istigazione o aiuto al suicidio: l’articolo 580 del codice penale italiano punisce «chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione».

In alcuni casi l’aiuto al suicidio assistito è stato depenalizzato da una sentenza del 2019 della Corte Costituzionale, che riguardava Cappato per il caso di Fabiano Antoniani, detto dj Fabo, ma il caso di Massimiliano non rientra tra questi. La sentenza infatti dice che non è sempre punibile chi aiuta una persona a suicidarsi se la persona in questione è «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli» ma affetta «da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche» che considera «intollerabili», e se tale persona è tenuta «in vita da trattamenti di sostegno vitale».

Le condizioni di Massimiliano erano diverse: l’uomo aveva una patologia irreversibile, ma non aveva diritto all’accesso al suicidio assistito in Italia perché non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, uno dei requisiti elencati come necessari dalla Corte Costituzionale per accedere alla pratica. Per questo, Lalli e Maltese rischiano di essere indagate e di dover affrontare un processo, e così l’Associazione Soccorso Civile, di cui fanno parte, oltre a Cappato, Mina Welby e Gustavo Fraticelli.

Cappato è già indagato, a Milano, per aver aiutato a compiere un suicidio assistito altre due persone le cui condizioni erano diverse da quelle citate nella sentenza della Corte Costituzionale. Ad agosto aveva accompagnato in Svizzera Elena, una donna di 69 anni affetta da un tumore ai polmoni in stadio avanzato e incurabile; a novembre aveva fatto lo stesso con Romano, un uomo di 82 anni malato di Parkinson.

Oggi dopo l’autodenuncia a Firenze Cappato ha detto che l’Associazione Soccorso Civile si è già presa l’impegno di portare in Svizzera altre due persone intenzionate a compiere un suicidio assistito: ci sono altri quattro volontari disposti ad affrontare conseguenze penali che si sono resi disponibili ad accompagnarle. «Chiediamo a rischio della nostra libertà che lo stato italiano la smetta di girare la testa dall’altra parte», ha anche detto Cappato, chiedendo che venga fatta una legge sul suicidio assistito come già chiesto dalla Corte Costituzionale.