Il primo videogioco di massa compie cinquant’anni

Pong, il semplicissimo gioco che simula su schermo una partita di ping pong, uscì il 29 novembre 1972 e fece la storia

(Rob Boudon / ANSA)
(Rob Boudon / ANSA)
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Dalle app per smartphone come Candy Crush agli e-sport ultracompetitivi con montepremi da milioni di euro, negli ultimi decenni giocare ai videogiochi è diventata un’attività molto comune. Secondo IIDEA, l’associazione di categoria dell’industria videoludica in Italia, solo nel nostro paese sono almeno 16,7 milioni le persone che ci giocano regolarmente. Nel 2020, il settore è diventato per la prima volta talmente redditizio da superare sia il cinema che gli sport in termini di entrate.

Secondo esperti e amanti del genere, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile se non fosse stato per Pong, un gioco prodotto dall’azienda americana di videogiochi Atari uscito esattamente cinquant’anni fa, il 29 novembre 1972.

Pong è un gioco ormai classico e semplicissimo: su una schermata nera, un quadrato bianco (che sarebbe una palla) rimbalza tra due barre, che i giocatori possono muovere solo verticalmente, in su o in giù. Si può giocare da soli contro il computer o in due, uno contro l’altro. Il meccanismo è quello del ping pong e l’obiettivo è parare la palla e rispedirla all’altra racchetta. È possibile dare un po’ di effetto al tiro colpendo la palla con l’angolo della barra. La palla può rimbalzare sui lati superiori e inferiori dello schermo, ma il primo che non riesce a prenderla perde. Man mano, il gioco diventa più complesso: la palla va più veloce, la barra diventa più piccola. Una partita normale tra giocatori inesperti non dura più di tre minuti.

L’ingegnere di Atari che lo programmò, il ventiquattrenne Al Alcorn, non aveva alcuna esperienza in materia di design di videogiochi e il fondatore dell’azienda, Nolan Bushnell, lo sfidò a creare «il gioco più semplice possibile». Così, Alcorn comprò una TV in bianco e nero da 75 dollari su cui installò il gioco, amplificò i toni integrati nella TV per creare degli effetti sonori e piazzò il risultato all’interno di una cabina perché fosse possibile giocarci in piedi. L’idea di monetizzare il videogioco chiedendo un quarto di dollaro per farlo partire fu di Bushnell, e fece la fortuna dell’azienda.

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Abituati come siamo a videogiochi dalla grafica avanzatissima e dalle storie complesse, Pong potrebbe sembrare una cosa da poco, ma all’epoca fu una vera innovazione: non era il primo videogioco in assoluto, ma fu il primo ad essere accessibile alle masse.

La prima grossa cabina di legno su cui era possibile giocare fu installata in un locale di Sunnyvale, in California. Secondo la storia che è poi stata diffusa, il proprietario chiamò Alcorn dopo una settimana perché venisse ad aggiustare la cabina dal momento che i troppi quarti di dollaro delle persone che l’avevano provato stavano bloccando il meccanismo. La domanda superò presto l’offerta: «c’era un problema di approvvigionamento. Avevamo pochissimi soldi e nessuna fabbrica, quindi produrre abbastanza cabine all’inizio è stata la nostra più grande sfida», ha recentemente raccontato Bushnell al Guardian.

Entro il novembre del 1972, però, Pong era pronto per essere ufficialmente commercializzato e fu subito un grosso successo: presto moltissimi bar, bowling e sale gioco che fino ad allora avevano ospitato sistemi di intrattenimento meccanici come i flipper cominciarono ad acquistare una cabina. Era un fenomeno sociale, che permetteva per la prima volta a tantissime persone di giocare una contro l’altra. «Era il modo ideale di rompere il ghiaccio. Molte persone mi hanno detto che è stato così che hanno incontrato i loro partner», dice Bushnell.

La console per giocare a Pong da casa. (Atari)

Dal punto di vista tecnico, Pong fu anche il primo gioco a sfruttare una tecnologia che era già molto presente nelle case delle persone: i televisori. Nel 1975, Atari cominciò a vendere una versione del gioco che potesse essere giocata sulla TV di casa attraverso una console a batteria dal costo di 79 dollari. Era composta di una scatola con altoparlante, delle manopole per permettere ai due giocatori di controllare le barre, un pulsante di avvio del gioco e un interruttore per spegnere e accendere la console. Il tutto era collegato a un quadro elettrico separato, da connettere al terminale dell’antenna del televisore. In questo modo, la televisione smise di essere un oggetto passivo da cui si potevano soltanto recepire informazioni e diventò la piattaforma interattiva che per molti è tuttora.

Le console di Atari furono a lungo le più popolari sul mercato fino a quando non furono soppiantate dalla giapponese Nintendo. L’azienda statunitense, però, aveva già fatto la storia. «Non credo di esagerare se dico che [Pong, ndr] è il titolo che ha dato davvero il via all’intera industria dei videogiochi», ha detto Trip Hawkins, il fondatore di Electronic Arts, che produce giochi come FIFA, Battlefield e The Sims. «Anche se dopo un po’ i videogiochi arcade [quelli a gettoni posti all’interno di un cabinato] smisero di essere nuovi e cool, e i videogiochi cominciarono ad essere una cosa da nerd».

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Ancora oggi, gli omaggi a Pong nella cultura pop e nell’arte contemporanea abbondano. Nel 2006, una pubblicità di American Express mostrava il tennista Andy Roddick impegnato in una partita a tennis contro la barra bianca del videogioco. Nel 1999, l’artista Pierre Huyghe creò l’Atari Light, installazione artistica interattiva che permetteva agli spettatori di giocare a Pong su un soffitto, stesi a terra oppure in piedi: l’opera ebbe enorme successo e fu in seguito esposta anche alla Biennale di Venezia. Una delle cabine originali è tutt’ora esposta al Museum of Modern Art di New York. E un mese fa, una startup australiana ha insegnato a DishBrain – un chip biologico per computer fatto di una combinazione di neuroni e silicio – a giocare a Pong con successo.

David J Malan e Colton Ogden, istruttori del corso gratuito di informatica di Harvard, hanno detto al Guardian che Pong è usato ancora oggi per insegnare ai principianti a programmare. «Implementarlo è un rito di passaggio. (…) Gli studenti traggono soddisfazione dalla possibilità di far funzionare una cosa semplice e completa come Pong da soli».