Come fanno i bambini a sapere le stesse filastrocche?

Esiste un folclore condiviso anche nell'infanzia, che diffonde giochi in modo sorprendentemente omogeneo nel tempo e nello spazio

folclore infantile
(A. R. Coster/Topical Press Agency/Getty Images)
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Molte persone adulte ricordano che uno dei primi e più popolari utilizzi non convenzionali delle calcolatrici tascabili a scuola non riguardava operazioni aritmetiche bensì una specie di gioco di prestigio. Girare sottosopra la calcolatrice permetteva di leggere sul display a cristalli liquidi certe parole formate da particolari serie di numeri (“0,7738135” diventava “SEIBELLO”, per esempio, e “1370705” “SOLOLEI”). Il gioco consisteva nel raccontare una storiella compiendo nel frattempo sulla calcolatrice operazioni attinenti al racconto e necessarie a ottenere come risultato la cifra che avrebbe generato lo stupore dei presenti, una volta girata la calcolatrice (“3 cannibali 100 anni fa mangiarono 14 uomini e 1 donna per 5 volte, cosa rimase? SOLOOSSI”, e cioè 15500705 letto sottosopra, risultato di 3100141 x 5).

Tendiamo a pensare che giochini come quello delle parole sulla calcolatrice siano esperienze circoscritte alla nostra infanzia e al luogo in cui siamo cresciuti, ma sono in realtà diffusi in modo equivalente anche in altri paesi. Sia questo gioco che molti altri risalenti a epoche più remote fanno parte di innumerevoli conoscenze, consuetudini e pratiche non rigidamente codificate ma apprese, diffuse e tramandate durante l’infanzia, spesso senza alcun intervento da parte degli adulti. È una categoria nota negli studi etnologici come folclore dei bambini (“childlore”, nella tradizione anglosassone), e comprende anche superstizioni, rituali e formule linguistiche associate appunto all’infanzia e poi assenti in età adulta.

Uno degli aspetti più sorprendenti e studiati del folclore dei bambini è la sua capacità di diffondersi nel tempo e nello spazio, seppur subendo continue contaminazioni e mutazioni. Esistono infatti schemi ricorrenti nel folclore di epoche, contesti linguistici e culture anche molto diverse e distanti tra loro. E una gran parte di queste pratiche e credenze è tramandata in modo prevalentemente orale, oppure tramite l’osservazione e imitazione dei comportamenti di altri bambini più grandi da parte di quelli più piccoli.

È così che si diffondono, per esempio, pratiche come quella di fiatare sulla punta degli aeroplanini di carta (forse per inumidirla e quindi appesantirla) prima di lanciarli. O superstizioni infantili come quella di non indicare l’arcobaleno altrimenti il dito con cui lo si indica non crescerà o si ricoprirà di verruche; o toccarsi il naso, o stringersi per i mignoli per esprimere un desiderio, quando due persone pronunciano casualmente la stessa parola nello stesso momento.

 

Una scena del film del 1961 “Il posto”, scritto e diretto da Ermanno Olmi, in cui due personaggi adulti fanno “flic o floc”

Ed è così che si diffondono anche giochi in cui una particolare attività è svolta pronunciando determinate filastrocche o formule linguistiche: battere le mani recitando “enzo lorenzo…” o “milichituli” (diffusa anche in in Spagna); oppure, in Italia, colpire un compagno con un pugnetto pronunciando la formula “macchina gialla senza ritorno” quando si vede passare una macchina gialla (una sorta di acchiapparello estemporaneo, o una variante del gioco “Ce l’hai”).

Ma «com’è possibile che così tanti bambini attraverso il tempo e lo spazio arrivino a conoscere esattamente le stesse cose?», si è chiesto l’Atlantic in un articolo recente, descrivendo questa forma di sapere condiviso tra i bambini come una sorta di «meme analogici», «micro frammenti di cultura che sembrano provenire da ogni luogo e da nessun luogo».

Secondo la maggior parte degli studiosi una caratteristica essenziale del folclore infantile nelle culture occidentali è che sia l’apprendimento che l’insegnamento di queste conoscenze avvengono all’interno dei gruppi di bambini, senza l’intervento diretto o la mediazione degli adulti. Il quartiere e la scuola sono di conseguenza i primi luoghi in cui questo sapere fatto di giochi, indovinelli, superstizioni e altre pratiche comincia a circolare tra coetanei, tramandato di generazione in generazione, fino agli anni della pubertà e dell’adolescenza, quando in genere tende a regredire.

All’interno delle famiglie un ruolo importante per la trasmissione nel corso del tempo è svolto dai fratelli e dalle sorelle maggiori, che rendono disponibili per quelli minori credenze e pratiche apprese nei propri gruppi scolastici o di altro tipo. E un altro fattore rilevante per la trasmissione – fattore in questo caso geografico – è la frequente presenza a scuola di un bambino o una bambina che arriva da un luogo più distante e porta con sé nuove credenze e conoscenze. Ma può anche capitare che il portatore di nuove tradizioni in famiglia sia magari un cugino o un altro parente che abita da un’altra parte.

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I coniugi britannici Iona e Peter Opie, morti rispettivamente nel 1982 e nel 2017, sono considerati la coppia di folcloristi più autorevole e influente in questo ambito di ricerche. Molte delle loro raccolte antologiche, contenute nei libri The Oxford Dictionary of Nursery Rhymes del 1951 e The Lore and Language of Schoolchildren del 1959, si sono concentrate sulle particolari filastrocche recitate durante secolari giochi di gruppo diffusi in tutta Europa, come il salto della corda e il gioco della cavallina, peraltro presente in un noto dipinto del XVI secolo del pittore fiammingo Pieter Bruegel.

Come osservato dal folclorista britannico Steve Roud, a prescindere dalle tradizioni documentate e dalle forme di sapere più codificato, il folclore infantile non è qualcosa di tramandato da un’autorità: si diffonde attraverso attività condivise tra coetanei ed è basato su una cultura che passa spesso inosservata nel mondo degli adulti. Le storie e i giochi insegnati dagli adulti ai bambini non sono invece considerati folclore infantile se non nella misura in cui i bambini riescono a riadattarli e a farli propri. «I frammenti di sapere che i bambini apprendono gli uni dagli altri sono allo stesso tempo più reali, più immediatamente utili e molto più divertenti per loro di qualsiasi cosa apprendano dagli adulti», scrissero Iona e Peter Opie.

Alcuni schemi ricorrenti in giochi che fanno parte del folclore infantile possono poi anche influenzare altre attività, superstizioni e fantasie infantili individuali, come quella del sentirsi osservati quando si tengono chiusi gli occhi: che è una struttura riconducibile a giochi come “Un, due, tre, stella!”, diffuso in molti paesi del mondo e di cui esistono tracce risalenti all’inizio del XX secolo, secondo Rebekah Willett, docente di cultura dei media per bambini alla University of Wisconsin–Madison.

Ovviamente gli adulti svolgono un ruolo importante nel perpetuare giochi, filastrocche e altre conoscenze tramandate oralmente. E l’analisi dei testi contenuti in pubblicazioni inglesi del XIX secolo o in altre italiane ancora più antiche, come le fiabe e filastrocche napoletane raccolte nel XVII secolo dall’autore Giambattista Basile, permette di comprendere come l’origine di alcuni giochi e filastrocche – ancora oggi oggetto di riadattamenti e riformulazioni – si perda nel tempo.

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Come suggerito dal folclorista britannico Jonathan Roper, docente all’Università di Tartu in Estonia, è anche possibile che confluiscano nel folclore infantile superstizioni che non trovano uso comune tra gli adulti: formule magiche «che possono sopravvivere in un mondo scettico soltanto sotto forma di folclore infantile, ambito in cui non sono ovviamente considerate vere e proprie magie». Un esempio tra i tanti è una strofetta popolare recitata per trovare le lumache, riportata anche da Basile nel XVII secolo e diffusa in molte parti d’Italia e d’Europa.

Nel condividere e tramandare il folclore infantile i bambini prendono spunto sia da queste forme di sapere antichissime che da elementi tratti dalla cultura popolare a loro contemporanea. Peraltro, specialmente nei primi anni dell’infanzia, questo insieme di comunicazioni rituali e pratiche ludiche permette loro di perfezionare abilità sociali e stringere relazioni in una fase della vita in cui gli strumenti linguistici a loro disposizione sono ancora limitati, osservano gli studiosi.

Man mano che i bambini diventano più grandi, la popolarità del folclore infantile viene principalmente influenzata da diversi fattori. Uno è l’«orecchiabilità» del contenuto condiviso tra i bambini, la capacità di quel contenuto di essere facilmente appreso e ricordato, ha detto all’Atlantic il ricercatore britannico Alex Mesoudi, che si occupa di evoluzione culturale e comportamento umano alla University of Exeter. Un altro fattore è l’attrazione dei bambini verso contenuti che siano considerati un tabù tra gli adulti (le parole “SESSO” o “TETTE” sul display della calcolatrice, per esempio).

E un altro fattore è il contesto: un gioco o un indovinello è più popolare se a condividerlo per primi sono i soggetti più popolari all’interno del gruppo, oppure se quel gioco è associato a fenomeni più ampi, collegati o no all’attualità. Alcune forme di folclore infantile, per esempio, hanno subìto negli ultimi due anni l’influenza della pandemia. E giochi tradizionali come acchiapparello sono stati talvolta riadattati in versioni che includessero l’elemento del virus e del contagio. Giochi simili, secondo Roud, esistevano probabilmente in tutta Europa anche durante la diffusione del colera in epoca vittoriana.

Riguardo alla contemporaneità, ha scritto infine l’Atlantic, una delle tendenze che più infastidiscono gli studiosi è lo «stato di perpetua preoccupazione» degli adulti di oggi in merito al fatto che i bambini non giochino più «come una volta». È un’apprensione motivata dall’impressione che la diffusione di tecnologie recenti che tengono impegnati i bambini condizionerebbe la loro fantasia e capacità di condividere l’insieme di pratiche, attività e conoscenze che formano il folclore infantile.

È però una preoccupazione infondata, secondo ricercatori come Roud e Willett: perché è vero che i media influenzano i giochi dei bambini, ma questo vale da sempre, ed è anzi uno dei tanti fattori contemporanei di conservazione ed evoluzione delle pratiche e delle formule. Inoltre, come ribadito dagli Opie e anche da altri folcloristi e studiosi in anni più recenti, è opportuno ricordare che il linguaggio del folclore infantile è condiviso tra i bambini e non tra gli adulti, che una volta adulti possono appunto soltanto ricordarlo con affetto e nostalgia, ma non lo parlano più fluentemente. «Tutto quello che vedi sono bambini che corrono urlando, ma non ti rendi conto che stanno giocando», ha detto Roud all’Atlantic.