A che età risalgono i nostri primi ricordi

Prima di quanto crediamo, sostiene un nuovo studio, e tendiamo a postdatare i ricordi precoci man mano che cresciamo

primi ricordi
Un fotogramma del film “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”, del 2004
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La relativa scarsità di ricordi autobiografici risalenti ai primi anni di vita tra gli adulti è da tempo un fenomeno di esteso interesse scientifico, che ha trovato fin dall’inizio del Novecento una sua definizione più rigorosa con la formulazione del concetto di “amnesia infantile”, l’incapacità degli adulti di ricordare eventi risalenti a prima di una certa età.

Le ricerche condotte a partire dagli anni Ottanta hanno individuato nei 3-4 anni l’età media a cui risalgono i primi eventi vissuti che gli adulti nelle culture occidentali sono generalmente in grado di rievocare. I risultati di uno studio recente, da poco pubblicato sulla rivista scientifica Memory, hanno posto un po’ più indietro quella soglia – intorno ai 2 anni e mezzo – ed evidenziato anche una marcata differenza tra i ricordi precoci formati dai bambini, meno stabili rispetto ai ricordi successivi.

Lo studio è stato condotto da Carole Peterson, docente di psicologia alla Memorial University of Newfoundland, a St. John’s, in Canada, ed è basato sulla revisione di dati emersi in vent’anni da numerose altre ricerche di laboratorio condotte da Peterson sull’amnesia infantile fin dal 1999, con particolare attenzione alla capacità dei bambini e degli adulti di ricordare i loro primi anni di vita. Ha preso in considerazione i ricordi di 992 persone, 697 dei quali sono stati confrontati anche con i corrispettivi ricordi dei genitori. «Quando si manifestino i nostri primi ricordi, è più un bersaglio in movimento che non una questione di singolo ricordo statico», ha detto Peterson descrivendo i risultati più significativi della ricerca.

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Quello che molte persone fanno quando viene chiesto loro di riferire il loro primo ricordo, ha spiegato Peterson, non è fornire un confine o uno spartiacque, oltre il quale non esistono ricordi. Le ricerche indicano piuttosto che quelle persone siano inclini ad attingere da un insieme di potenziali ricordi, e che sia relativamente semplice portarle a ricordare eventi precedenti rispetto a quelli collegati ai loro primi ricordi riferiti. «È come una pompa autoadescante: una volta che la azioni poi va da sé», ha detto Peterson riferendosi alla capacità delle persone di rievocare in autonomia fatti che precedono gli eventi dei loro primi ricordi.

In linea generale lo studio ha dimostrato che i primi ricordi dei bambini risalgono a prima di quanto pensino che siano accaduti gli eventi collegati, come confermato dai loro genitori. Inoltre, sulla base di prove definite da Peterson «molto convincenti», è stato possibile concludere che la memoria tende a “spostare” ricordi attribuiti in precedenza a una determinata età dell’infanzia. In alcune ricerche revisionate da Peterson i bambini che nel corso del tempo rievocavano gli stessi eventi – già citati in interviste precedenti – tendevano a ri-datarli sistematicamente più avanti nel tempo, tra un’intervista e quella successiva. In pratica: erano in grado di ricordare la stessa memoria (anche dopo otto anni dalla precedente intervista), ma la attribuivano a fasi della loro vita più avanzate rispetto a quelle riferite in precedenza.

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«Man mano che invecchiano, i bambini continuano a spostare l’età che pensano di aver avuto al momento di quei primi ricordi», ha detto Peterson, che attribuisce questa scoperta a un “effetto telescopico”. «Guardare a certe cose successe molto tempo fa è come guardarle attraverso una lente. Più un ricordo è lontano nel tempo, più questo effetto lo mostra vicino», ha detto. Nelle sue ricerche, i bambini spostavano i loro primi ricordi in avanti nel tempo, da uno a tre anni e mezzo più avanti, ma questo non avveniva nel caso di bambini e adulti che rievocavano eventi avvenuti dai quattro anni in poi.

Secondo Peterson la revisione dei risultati di ricerche differenti ed eterogenee su questa materia indica abbastanza chiaramente che le persone sono in grado di ricordare molto di più, della loro infanzia, e molto più indietro nel tempo di quanto pensino. È anche relativamente facile aiutarli ad accedere a quei ricordi, sostiene Peterson, ma quello che secondo lei ancora manca alla ricerca sull’amnesia infantile è un’ampia raccolta di dati esterni e documentati in modo indipendente. Questo permetterebbe di confrontare i ricordi studiati con le date ricavate da quei documenti, riducendo il rischio di deformazioni “telescopiche” dei dati da parte dei bambini e di errori di datazione degli eventi da parte dei genitori.