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  • Venerdì 11 novembre 2022

Il gran finale della Coppa del Mondo di rugby

Quella femminile, con due vivaci semifinali e con la finale di sabato tra Nuova Zelanda e Inghilterra, che potrebbe essere anche un inizio

L'ultima finale tra Inghilterra e Nuova Zelanda (Getty Images)
L'ultima finale tra Inghilterra e Nuova Zelanda (Getty Images)

Alle 7:30 italiane di sabato mattina, all’Eden Park di Auckland, le Nazionali femminili di Inghilterra e Nuova Zelanda giocheranno la finale della Coppa del Mondo di rugby. Sarà una finale tra le due squadre più vincenti nella storia del rugby femminile, una in difficoltà e l’altra in ascesa; sarà uno scontro tra due stili di gioco molto diversi, uno arioso e arrembante, l’altro ruvido e ostinato. Si giocherà davanti a 40mila spettatori, più che in ogni altra partita nella storia del rugby femminile, a conclusione di una Coppa del Mondo che potrebbe rappresentare una svolta per il movimento.

La prima Coppa del Mondo femminile – ufficialmente riconosciuta come tale solo qualche anno dopo – fu giocata nel 1991 in Galles. Vinsero gli Stati Uniti — che nel rugby femminile se la cavano decisamente meglio che in quello maschile — dopo aver battuto in semifinale la Nuova Zelanda e in finale l’Inghilterra davanti a non più di tremila persone.

Dall’edizione successiva, la Coppa del Mondo non è mai più stata vinta da una squadra diversa da Inghilterra o Nuova Zelanda. Nel 1994 vinse l’Inghilterra, ma la Nuova Zelanda non partecipò. Per quattro edizioni, dal 1998 al 2010, vinse invece la Nuova Zelanda: e tre volte su quattro lo fece battendo in finale l’Inghilterra. Nel 2014 la Coppa del Mondo fu vinta di nuovo dall’Inghilterra, e la Nuova Zelanda uscì inaspettatamente ai gironi. Nella scorsa edizione, in un torneo con una media inferiore ai duemila spettatori a partita, tornò a vincere la Nuova Zelanda, di nuovo in finale con l’Inghilterra.

Le squadre all’ultima finale tra Inghilterra e Nuova Zelanda (Getty Images)

Per gran parte degli ultimi trent’anni, la Nazionale femminile neozelandese ha insomma dominato il suo sport, in un modo e con una costanza che pochissime altre squadre di altri sport sono riuscite ad avere. Numeri alla mano, per molto tempo la Nazionale femminile di rugby della Nuova Zelanda è stata perfino più dominante di quella maschile, gli All Blacks, che dal 1903 al 2021 hanno vinto il 77 per cento delle partite ufficiali disputate.

Le giocatrici neozelandesi sono soprannominate Black Ferns (“felci nere”) in riferimento a uno dei simboli del paese. Nella loro storia hanno vinto più dell’85 per cento delle partite disputate, sono state battute solo da quattro nazionali e in Coppa del Mondo hanno vinto 33 partite su 35.

Negli ultimi anni, tuttavia, la Nuova Zelanda ha faticato: un po’ per la pandemia che ha isolato la squadra e impedito l’organizzazione di molte partite, e un po’ per l’affermarsi di altre nazionali, anche grazie al passaggio di molte giocatrici al professionismo. Negli ultimi mesi si è parlato di diversi problemi, non solo sportivi. Nel 2021 le Black Ferns hanno perso quattro partite di fila, comprese due sconfitte contro l’Inghilterra: per 43-12 e per 56-15. La squadra era messa così male che per la prima volta nella sua storia una finale mondiale rischiava di non essere alla sua portata.

A questa Coppa del Mondo giocata in casa, la prima organizzata nell’emisfero sud del mondo, la Nuova Zelanda ha vinto con relativa facilità contro Australia, Galles e Scozia (per 57-0) e di nuovo contro il Galles ai quarti di finale, partita in cui l’ala Portia Woodman è diventata la miglior marcatrice di sempre nella storia della competizione. È stata parecchio più complicata e avvincente la semifinale, in cui la Nuova Zelanda ha vinto 25-24 contro la Francia, che a un minuto dalla fine ha sbagliato il calcio decisivo che l’avrebbe portata in vantaggio, e quindi in finale.

La grande favorita per questa Coppa del Mondo — che si sarebbe dovuta svolgere nel 2021 — è quindi da tempo l’Inghilterra, con giocatrici che sono diventate professioniste ancora prima delle neozelandesi.

Le inglesi sono note come Red Roses, come il simbolo del rugby nazionale, e hanno fatto parecchia strada da quando nel 1997 persero 67-0 contro la Nuova Zelanda. Alla prima vittoria contro le Black Ferns, arrivata nel 2009, ne sono seguite diverse altre, accompagnate negli ultimi anni da un dominio piuttosto netto. A questa Coppa del Mondo l’Inghilterra è arrivata dopo trenta vittorie consecutive: l’ultima sconfitta, proprio contro la Nuova Zelanda, fu nell’estate del 2019, prima della pandemia.

La vittoria della Coppa del Mondo era l’evidente obiettivo della squadra già da prima che la competizione iniziasse, e Simon Middleton, l’allenatore dal 2015, ha parlato del desiderio che le Red Roses diventino «la miglior squadra al mondo tra tutti gli sport».

In semifinale hanno faticato parecchio a vincere 26-19 contro il Canada, dopo una partita tesa e combattuta. Commentando le due semifinali di Coppa del Mondo, entrambe giocate sabato scorso, l’inviato del Guardian Robert Kitson aveva scritto:

Sarà sufficiente che la finale sia interessante almeno la metà rispetto a queste semifinali, che hanno segnato uno dei migliori giorni nella storia della Coppa del Mondo femminile. Anzi, cancelliamo l’aggettivo “femminile”: della Coppa del Mondo in generale.

Una maul inglese contro la Nuova Zelanda, nel 2016 (Richard Heathcote/Getty Images)

L’Inghilterra ha spesso vinto grazie alla sua maul — quando la portatrice di palla è trattenuta da una o più avversarie e viene sostenuta nell’avanzata dalla spinta delle compagne di squadra — e più in generale grazie a un approccio basato sul dominio fisico e sulla costante ricerca del contatto. «Nella vita tre cose sono certe. La morte, le tasse e l’Inghilterra che in questa Coppa del Mondo va in meta avanzando grazie alla sua rolling maul» ha scritto Kitson.

Le inglesi riescono, in altre parole, a portare la palla dove sanno di essere più forti e a creare specifiche situazioni di gioco che permettono loro di avanzare lentamente ma spesso, per le avversarie, inesorabilmente. «Per le vittime intrappolate nella grande anaconda bianca spesso non c’è scampo», aveva scritto Kitson prima della semifinale, in cui le canadesi sono talvolta riuscite a far scricchiolare le tattiche delle inglesi.

Per certi osservatori, vincere così è paragonabile a fare il catenaccio nel calcio: quindi in modo conservativo, poco spettacolare e orientato esclusivamente al risultato, il contrario del gioco storicamente associato alle squadre dell’emisfero sud e in particolare alla Nuova Zelanda. A proposito del gioco delle inglesi, Kitson ha scritto: «Il fatto che piaccia o meno dipende dalla tua nazionalità e da quello che consideri essere l’intrattenimento nel rugby, ma non si può negare che quelle maul siano di una brutale eccellenza tecnica».

Sarah Hunter, capitana e terza linea dell’Inghilterra, di cui è la giocatrice con il maggior numero di presenze, ha detto che l’importante è vincere e che «alla fine nessuno andrà indietro a riguardare come abbiamo fatto le nostre mete». L’allenatore, Middleton, si è aggiunto dicendo: «Quel rugby da emisfero sud è fantastico, ma noi apparteniamo a un altro emisfero e basiamo il nostro gioco sui nostri punti di forza».

Ruby Tui (Joe Allison/Getty Images)

Quando giocano bene, le Black Ferns giocano un rugby più veloce e tecnico, esteticamente più appagante e più facile da apprezzare anche per i meno esperti. Oltre a Woodman, tra le giocatrici più rappresentative ci sono Kendra Cocksedge, Sarah Hirini e Ruby Tui, quest’ultima descritta da Wayne Smith – ex giocatore e allenatore degli All Blacks, con i quali ha vinto due Coppe del Mondo – come «fenomenale», nonché una dei dieci migliori atleti, maschi o femmine, con cui ha mai avuto a che fare.

La finale di sabato sarà quindi l’ennesimo confronto tra le due squadre più forti al mondo, la rivincita della finale del 2017 (in cui l’Inghilterra era in testa ma si fece poi rimontare e superare) e la sfida tra due stili e filosofie di gioco quasi letteralmente agli antipodi.

Le inglesi partono favorite, ma c’è da tenere conto del fatto che giocheranno davanti a un numero di spettatori mai raggiunto prima, in uno stadio – l’Eden Park – che è parte integrante della storia del rugby locale e che sosterrà quasi interamente la squadra di casa. E in quello stesso stadio esaurito, prima di una finale mondiale, le inglesi dovranno assistere alla haka delle avversarie: che ormai da qualche anno è la Ko Uhia Mai, una variante pensata appositamente per loro.

Per la Nuova Zelanda, una vittoria in casa sancirebbe l’inizio di una rinascita, peraltro in un momento in cui gli All Blacks stanno faticando parecchio. E pure senza tutti i precedenti del caso, anche chi non sa niente di rugby capisce cosa può significare vincere la Coppa del Mondo di rugby in Nuova Zelanda contro la Nuova Zelanda.

Oltre a tutto questo, la finale (che per questioni di fuso sarà, come tutta la Coppa del Mondo, difficile da seguire dall’Italia, ma si potrà vedere su Rai e Sky) è presentata come storica: per il numero di spettatori ma anche perché è la prima finale mondiale del rugby femminile in cui a sfidarsi sono due squadre di giocatrici professioniste, in un torneo in cui diverse altre nazionali erano ancora composte da giocatrici amatoriali. Ma anche come il possibile inizio di un nuovo approccio al rugby femminile: con sempre più professioniste e sempre più sponsor e spettatori.

«Nel 2010 nessuno sapeva cos’erano le Black Ferns» ha detto Ruby Tui. «Ci dicevano che non saremmo mai state pagate, che non avremmo mai giocato a Eden Park, che il rugby femminile non contava niente, e invece eccoci qui».

Questa Coppa del Mondo ha avuto un totale di quasi 150mila spettatori paganti, il triplo rispetto alla precedente. La prossima sarà organizzata nel 2025 in Inghilterra, con una finale in programma a Twickenham, lo stadio nazionale del rugby. Sempre Twickenham, nell’aprile 2023, ospiterà per la prima volta nella sua storia l’ultima partita del Sei Nazioni femminile tra Inghilterra e Francia.

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