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  • Mercoledì 9 novembre 2022

Dove vanno a scuola i giovani italosrilankesi di Milano

In istituti internazionali attenti ai «valori morali» dei loro genitori: lo racconta la scrittrice Nadeesha Uyangoda nel nuovo The Passenger

Durante la festa di battesimo di Shaylee Raffaella Perera in un ristorante di viale Certosa a Milano (Nausicaa Giulia Bianchi e Laura Liverani)
Durante la festa di battesimo di Shaylee Raffaella Perera in un ristorante di viale Certosa a Milano (Nausicaa Giulia Bianchi e Laura Liverani)
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Quando si pensa alle scuole internazionali presenti nelle grandi città forse si immaginano solo quelle britanniche o francesi frequentate da figlie e figli di diplomatici e manager di società multinazionali che si devono spostare spesso per lavoro. In realtà con la crescita della popolazione di origine straniera sono nati anche altri istituti, frequentati dai membri più giovani di nuove comunità. La scrittrice Nadeesha Uyangoda, autrice di L’unica persona nera nella stanza e ideatrice del podcast Sulla razza, racconta di quelle srilankesi in uno degli articoli del nuovo numero di The Passenger, il libro-rivista della casa editrice Iperborea dedicato a paesi, città e luoghi del mondo, in questo caso a Milano. Ne pubblichiamo un estratto.

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Recentemente, spulciando per caso un’anagrafica dell’Agenzia delle entrate, ho scoperto che la mia prima residenza in Italia è segnata al civico 11 di via Pietro Crespi. Era il 1999. L’informazione ha aiutato a coprire alcuni vuoti di memoria, come la famiglia indiana che viveva nel piccolo appartamento di ringhiera di fianco al nostro, e la loro figlia Sarah, insieme alla quale ricordo di aver imparato ad andare in bicicletta, in quello che adesso mi appare chiaramente come il Parco Trotter. Quando mia madre fece ricorso al ricongiungimento familiare per portarmi a Milano, dove mettermi era la sua preoccupazione più grande. Svolgeva quello che definiva un fixed job, cioè un lavoro di badante diurno e notturno in regime di coresidenzialità in un paese dell’hinterland, e dunque le scuole internazionali di Milano erano troppo distanti e troppo costose. Prese in considerazione un convitto prima che le si presentasse l’opportunità di tenermi con sé, sul luogo di lavoro.

Se oggi però si passa da quelle parti, nei dintorni di via Crespi, in autunno o in primavera, verso l’orario di uscita da scuola è possibile vedere transitare lungo i marciapiedi studenti e studentesse con uniformi blu e bianche che siamo abituati ad associare al sistema scolastico britannico. Molto probabilmente escono dal vicino St. Joseph’s international college, una delle quattro scuole internazionali srilankesi che soddisfano il fabbisogno scolastico di una delle comunità straniere più popolose della città.

Tutte le fotografie che illustrano l’articolo di Nadeesha Uyangoda sono di Nausicaa Giulia Bianchi e Laura Liverani e sono state scattate seguendo il lavoro dello studio fotografico di Milano 7S, che si occupa di eventi come matrimoni, battesimi e gravidanze ed è stato fondato dal fotografo e imprenditore Sandun Hewage, nato nel 1984 in Sri Lanka e trasferitosi a Milano nel 2010. In questa fotografia sta realizzando il preshoot di una coppia di futuri sposi (Nausicaa Giulia Bianchi e Laura Liverani)

Sul sito web di un’altra scuola internazionale non molto distante, il Vidura college, si legge: «L’ostacolo che i cittadini dello Sri Lanka devono affrontare quando si stabiliscono in Italia è trovare una buona scuola per i loro figli. Tra le scuole italiane, culturalmente diverse, con i loro programmi occidentali, e le scuole internazionali affiliate a Cambridge, orientate a studenti di prima lingua inglese, i nostri figli si perdono in termini di istruzione, età e valori morali.» La cultura e i valori morali sono precisamente i due elementi che a lungo hanno portato molti srilankesi di Milano a volere che l’istruzione e l’educazione dei propri figli fossero impartite in madrepatria. «Gli italiani non hanno dei buoni valori» si giustificano spesso i genitori, oppure, la frase che ritengo più emblematica: «I ragazzi italiani fumano.» Quando mi è capitato di intervistare un campione di una decina di ragazze italosrilankesi, scolarizzate a Milano e sotto i 18 anni, un elemento su cui erano tutte concordi è che i genitori esercitavano su di loro un maggior controllo di quanto non avvenisse per la loro controparte maschile: i ragazzi potevano divertirsi, sperimentare, mentre la comunità non garantiva alle giovani donne un giudizio morale altrettanto flessibile.

Un grafico da “The Passenger – Milano”

La presenza e la popolarità delle scuole internazionali è probabilmente legata alla loro proliferazione nei paesi di origine, dove sono associate a classi sociali agiate e alla possibilità di entrare a far parte di circoli elitari. Esiste un altro elemento: sostiene il sociologo Pierre Bourdieu che ogni interazione linguistica – tra due persone, due amici o un ragazzo e una ragazza – è sempre, in qualche modo, «una forma di microeconomia», a sua volta dominata dalle sovrastrutture che caratterizzano qualsiasi rapporto di potere. Questo è un discorso molto chiaro a quei genitori immigrati che, faticando a dominare la lingua dello spazio urbano in cui vivono, sono sempre costretti ad arrendersi a chi usa l’italiano come strumento di potere.

Seguiva questa linea di pensiero anche Viraji, che nel 2012 era la madre single di due figli in età da scuola primaria, svolgeva un lavoro di cura e, oltre alle due sorelle che abitavano a Chiesa Rossa, non aveva altre reti familiari o sociali di supporto che la aiutassero a conciliare il lavoro domestico con quello professionale di cura. È il 2014 quando decide di iscrivere entrambi i figli in una boarding school (un collegio in cui gli studenti convivono stabilmente) nel paese di origine, destinando buona parte del suo stipendio da badante o colf a coprire le rette astronomiche. Negli otto anni successivi avrebbe visto i figli durante le tre settimane scarse di ferie annuali. Questa idea di educazione è piuttosto comune anche in altre comunità, come quella filippina, che non di rado preferisce far crescere i bambini nel paese d’origine, in modo da permettere loro di acquisire i valori tradizionali, per poi riportarli in Italia verso l’adolescenza.

La copertina di uno degli album realizzati per una coppia di sposi da Sandun Hewage: è dedicato al preshoot, due giorni con gli sposi in diverse località iconiche, dal duomo di Milano a Siena, ai laghi svizzeri, o Venezia. Il preshoot verrà poi mostrato agli invitati durante i due giorni di celebrazione del matrimonio (Nausicaa Giulia Bianchi e Laura Liverani)

A margine, bisogna anche aggiungere che secondo alcuni studi le donne che affrontano il processo migratorio da sole – senza un partner o una famiglia – hanno più possibilità di trovare un impiego. L’aumento dell’occupazione delle donne milanesi – vale a dire la loro emancipazione dal lavoro di cura – unito al progressivo invecchiamento della popolazione, è coinciso con la sempre maggiore richiesta di domestiche di origine straniera, che si sono rapidamente sostituite nel lavoro non retribuito delle donne italiane. Nel 2020 i lavoratori domestici nella provincia di Milano erano 98.835, di cui l’83 percento donne. In Italia, la razzializzazione e la sessualizzazione del lavoro di cura sono avvenute anche attraverso mirate politiche migratorie: nel decreto flussi del 2005, la quota di posti riservati alle lavoratrici domestiche era del 19 per cento, poi passata al 27 per cento nel 2006, al 38 per cento nel 2007, fino al 70 per cento nel 2008 (corrispondente a centomila persone). È questa stessa selettività a determinare che la maggioranza delle lavoratrici domestiche provenga da sei paesi (Ucraina, Moldavia, Ecuador, Filippine,Sri Lanka e Perù). Diversi studi dimostrano che, rispetto agli uomini, le donne inviano una parte maggiore dei loro guadagni al paese di origine, e questo denaro è soprattutto destinato all’educazione dei bambini, alla costruzione di case, all’assistenza medica. Tra le città metropolitane, Milano è stata nel 2021 la seconda per rimesse inviate a paesi terzi, dopo Roma, e primeggiano nelle destinazioni Filippine, Perù, Bangladesh e Sri Lanka.

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