Cosa sono davvero i rave

E perché da oltre trent'anni provocano cicliche polemiche e diventano oggetto di campagne repressive di media e governi

di Stefano Vizio

(Anthony Devlin/Getty Images)
(Anthony Devlin/Getty Images)

Le polemiche sul rave party che si è tenuto nel weekend a Modena sono state per certi versi eccezionali soprattutto perché si è trattato del primo grande evento di questo tipo da quando si è insediato il governo Meloni, che ha deciso di adottare un approccio duro e repressivo che sta sollevando critiche e perplessità. Ma le discussioni di questi giorni non sono una novità, e si ripropongono ciclicamente fin da quando esistono i rave, e cioè da oltre trent’anni.

Dalle esagerazioni sensazionalistiche dei media agli appelli della politica al decoro e alla morale pubblica, spesso le discussioni sul tema prescindono da analisi più laiche e informate sulle ragioni per cui i rave siano stati e siano ancora oggi un’attrattiva così forte e costante per i giovani di mezzo mondo. Molto spesso ad aver rappresentato una preoccupazione per media e governi è stato il disinvolto consumo di droghe ai rave, che esiste ed è un aspetto ineludibile nelle considerazioni a riguardo. Ma questo aspetto è stato spesso ingigantito, e in generale i rave sono da sempre circondati di disinformazione e allarmismo ingiustificato: l’anno scorso per esempio fu data la notizia di una persona morta annegata durante il grande rave che si tenne a Valentano, in provincia di Viterbo, ma fu chiarito in seguito che quella persona non era stata alla festa.

Altre volte, e sembra essere il caso di queste ultime polemiche, gli allarmi sui media o nella politica riguardano più in generale l’aspetto della legalità di ritrovi di questo genere, visto che nella maggior parte dei casi si svolgono senza permessi, talvolta in proprietà private altrui. Proprio questo aspetto ha ispirato il decreto con cui il governo Meloni ha configurato il nuovo reato di «raduni pericolosi», estesamente criticato e considerato potenzialmente incostituzionale.

Un rave, essenzialmente, è una festa organizzata in maniera in parte spontanea, nel senso che viene fissata in un certo posto e un certo giorno da uno o più gruppi di persone, le “crew”, solitamente composti dai dj che metteranno la musica. Da quel momento in poi viene pubblicizzata perlopiù tramite passaparola: un tempo attraverso numeri di telefono a cui rispondeva un messaggio di segreteria con data e luogo (spesso con indicazioni vaghe e imprecise: era normale che qualcuno non trovasse effettivamente il posto, perdendosi di notte tra i campi), oggi perlopiù attraverso gruppi Facebook e soprattutto Telegram. Il tutto con una certa discrezione: i dettagli sul luogo preciso vengono annunciati con poco preavviso, per evitare che l’informazione arrivi alle forze dell’ordine.

Tra chi li frequenta, i rave vengono più spesso definiti “free party”, un’espressione in cui free un po’ trasmette l’idea di libertà espressiva che ispira questi eventi, un po’ sta per “gratis”. Ai free party infatti non si paga un biglietto di ingresso: e questo è uno degli aspetti più importanti di questo tipo di ritrovi.

I partecipanti possono variare molto, ma di solito sono almeno alcune centinaia. I rave che fanno notizia sono però quelli che attirano migliaia di persone: le stime per quello di Modena parlano di 3mila partecipanti. Uno dei più grandi mai tenuti in Italia fu il Teknival di Pinerolo del 2007, che secondo alcune stime particolarmente audaci attrasse almeno 30mila persone. Quando si dice che gli avventori “arrivano da tutta Europa” significa che agli eventi più grandi c’è di solito anche gente da altri paesi, specialmente dalla Francia dove i rave sono molto popolari. Fare molti chilometri per andare a una festa illegale però può essere rischioso: come a Modena, infatti, la polizia può far finire tutto in anticipo, o addirittura può bloccare l’evento prima che cominci.

D’estate i free party si tengono perlopiù in campi non coltivati, nelle altre stagioni in capannoni dismessi come quello di Modena, o in edifici abbandonati di vario tipo, spesso fabbriche. Quasi mai le feste sono organizzate con un regolare permesso, per una serie di motivi (ci arriviamo). Normalmente durano più giorni, e le persone dormono in tenda, in camper o in macchina: ma generalmente non si dorme molto. I partecipanti perlopiù sono tra i 20 e i 25 anni, ma è normale vedere anche avventori più adulti, spesso persone che frequentano i rave fin da quando si diffusero in Italia, nella seconda metà degli anni Novanta.

Le crew montano imponenti sistemi audio, veri e propri muri di casse chiamati “soundsystem”, e per alcuni giorni si susseguono diversi dj che mettono musica quasi ininterrottamente, a volumi molto alti e nella maggior parte dei casi con sistemi di luci stroboscopiche un po’ rudimentali. Queste attrezzature sono costose, e infatti i sequestri e le confische sono stati tra gli strumenti più efficaci adottati dalle forze dell’ordine per limitare la diffusione dei free party: per una crew, perdere migliaia di euro di materiale vuol dire spesso la fine della propria carriera da organizzatori di feste clandestine.

Ai rave ci sono spesso banchetti improvvisati in cui vengono venduti sia prodotti di artigianato e vestiti, sia qualcosa da mangiare e da bere, alcolici e non, che spesso rappresentano il modo principale con cui gli organizzatori rientrano dalle spese.

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🎃 Witchtek 2022 🎃

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La musica che si può ascoltare a un rave è piuttosto variabile. Oggi è principalmente tekno, che è un modo con cui si chiama la musica techno – e quindi elettronica che si balla – caratterizzata da ritmi molto veloci: con i bpm, cioè i battiti al minuto, che superano i 150 e più spesso sono intorno ai 170. I bpm, per capirsi, sono il tum tum ossessivo della cassa. Rientra nel grande cappello della techno hardcore, che nelle sue varie manifestazioni – la più famosa è la musica gabber – ha accompagnato da un certo punto in poi la storia dei rave. Sono comuni anche free party dedicati ad altri sottogeneri: tra gli altri, hanno avuto particolare popolarità quelli di goa e psy-trance, ciascuno con le sue particolarità per quanto riguarda velocità e approcci ai suoni, alla melodia e ai campionamenti.

Fin dagli anni Novanta, proprio da quando ha iniziato a comprendere soprattutto sottogeneri più veloci e pesanti, la musica dei rave è stata trattata con un certo snobismo: non solo da parte di chi non ama la musica techno, ma anche dagli appassionati di elettronica che malvedevano l’hardcore, un genere musicale accusato di essere derivativo, ripetitivo, dozzinale, povero di inventiva e in ultima analisi apprezzabile unicamente se alterati da determinate droghe.

Questo snobismo è stato poi evidenziato e contestato da alcuni critici musicali, in particolare da Simon Reynolds, che nel suo saggio Energy Flash l’ha associato a una forma di classismo nei confronti dei giovani e giovanissimi appassionati di hardcore, che provenivano da un contesto diverso, più proletario e provinciale, rispetto a quello urbano e sofisticato che aveva caratterizzato i primi rave e proto-rave tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta.

Le droghe sono sempre state un elemento importante dei free party: anche centrale per alcuni appassionati, ma marginale o assente per molti altri. Possono insomma essere il motivo stesso per cui partecipare a un rave, per qualcuno, ma per la maggior parte delle persone sono un elemento con cui ci si può divertire di più, pur non rappresentando l’attrattiva principale. A tanti altri in realtà piace semplicemente ballare la techno a lungo e con la musica molto forte, anche da sobri.

I free party per molti giovani sono da sempre un’occasione piuttosto unica di stare insieme ad altre persone che percepiscono come affini, una forma di aggregazione e di condivisione di esperienze e divertimento esterna ai circuiti commerciali. Un modo di ballare senza andare in discoteche e club legali, che vengono spesso percepiti come escludenti per diversi motivi, soprattutto economici ma non solo.

Questa esigenza esiste un po’ ovunque, ma in Italia ha delle cause particolari: a differenza di paesi come la Germania, il Regno Unito o i Paesi Bassi, la musica dance e techno non è così diffusa e radicata nella cultura del divertimento. Ci sono quindi molte meno feste e festival legali in cui si può ballare tutta la notte, e ancor meno che durano anche la mattina e per più giorni. Altrove ci sono più club, e c’è offerta anche per chi ama i posti rilassati e più libertari, dall’abbigliamento ai comportamenti consentiti, rispetto a quelli più alla moda e che propongono principalmente musica più commerciale e mainstream. E poi c’è la questione dei soldi: i rave offrono tre giorni di divertimento al solo prezzo di una spesa condivisa al supermercato e della benzina per raggiungere il posto. Una serata in un club può facilmente costare alcune decine di euro tra ingresso e un paio di drink.

In generale, l’esperienza di autoregolazione, la libertà espressiva, l’accettazione di tutti indipendentemente dal modo di vestire, dall’età o dalla provenienza, la possibilità di creare una specie di realtà parallela di alcuni giorni in cui evadere, sono tra gli elementi più importanti dietro al fascino e alla popolarità dei free party. Insieme all’esperienza fondamentale, e cioè ballare la techno per ore davanti a un muro di casse accese a tutto volume.

È indubbio comunque che le sostanze stupefacenti rappresentino una parte rilevante dell’attrattiva dei rave. In un certo senso, la loro stessa esistenza si deve alle droghe: i rave nacquero infatti in Inghilterra negli anni Ottanta quando cominciò a diffondersi una nuova molecola sintetizzata dal chimico americano Alexander Shulgin, l’MDMA, inizialmente disponibile sotto forma di cristalli da sciogliere in un liquido e successivamente confezionata anche in pillole colorate, l’ecstasy.

L’MDMA dà energia ed euforia, aumenta il trasporto per la musica e permette di ballare tutta la notte, e i suoi effetti si addicono particolarmente alla techno e ai suoi ritmi ossessivi. La sua diffusione nell’Inghilterra dei tardi anni Ottanta fu centrale nella proliferazione di feste di musica house e techno – generi nati qualche anno prima nelle discoteche nere di Chicago e Detroit – che attirarono velocemente migliaia e migliaia di partecipanti, di fatto i primi rave della storia.

Un altro effetto dell’MDMA è un incremento dell’empatia e dell’affetto verso le altre persone, conosciute e sconosciute: motivo per cui il 1988 e il 1989 sono ricordati in Inghilterra come la “Second Summer of Love”, dopo quella animata dalla cultura hippie a San Francisco alla fine degli anni Sessanta. E motivo per cui generalmente ai rave non c’è aggressività, anche in quelli a cui partecipano tanti maschi e in cui la musica è più pesante e testosteronica: una grossa differenza rispetto a forme di aggregazione in cui è prevalente il consumo di alcol.

Ma la straordinaria diffusione e disponibilità dell’MDMA, una sostanza relativamente sicura rispetto ad altre droghe, portò in fretta problemi. Da una parte ci fu una diminuzione della qualità dell’ecstasy, che cominciò spesso a essere tagliata con anfetamine e altre sostanze con effetti più pesanti, e dall’altra migliaia di giovani cominciarono ad abusarne, inconsapevoli dei rischi e delle conseguenze sulla salute fisica e mentale di un uso continuativo e prolungato.

Guai ancora maggiori arrivarono poi quando all’MDMA si affiancarono nuove sostanze chimiche con effetti diversi e altri rischi, in particolare l’LSD (un acido con effetti psichedelici), lo speed (un’anfetamina stimolante) e più avanti la ketamina, un tranquillante che dà effetti dissociativi, che sono oggi tra le droghe più diffuse ai rave.

Progressivamente il consumo di sostanze stupefacenti ai rave si trasformò in un policonsumo, nel senso che diventò normale assumere più droghe insieme: la situazione che più si presta ad errori di dosaggio e ad effetti collaterali indesiderati, che in alcuni casi possono essere gravi. Alla diffusione di queste sostanze e dei loro nuovi effetti sulle persone, peraltro, corrisposero evoluzioni e deviazioni parallele della musica che veniva suonata ai rave, in quella che i puristi della prima ondata considerarono spesso un’involuzione e una degenerazione.

I media si accorsero con un certo ritardo di questo fenomeno, ma da un certo punto in poi, nella prima metà degli anni Novanta, i tabloid britannici intrapresero una campagna allarmistica contro i rave, esagerando e disinformando sugli effetti che le nuove droghe sintetiche avevano sui giovani. Ma il problema esisteva: sostanze di scarsa qualità e poca consapevolezza sulle modalità di assunzione e sulle dosi da non superare causarono diverse morti.

Uno dei casi più famosi fu quello di Leah Betts, che nel 1995 morì festeggiando il suo 18esimo compleanno dopo aver preso una pasticca di ecstasy. In realtà, non fu direttamente l’ecstasy a ucciderla, ma quello che fece sotto effetto della sostanza. Betts bevve infatti circa 7 litri d’acqua in un’ora e mezza, una quantità che può uccidere una persona. L’MDMA porta notoriamente a ballare e a sudare molto, ed è raccomandato a chi la assume di mantenersi idratati bevendo frequentemente acqua. Ma una percezione distorta di questa esigenza, e probabilmente anche della sete, portò Betts a berne troppa.

La morte di Betts fu uno dei casi più famosi, ma ce ne furono altri, e tanti altri giovani patirono le conseguenze di un consumo continuativo, eccessivo e inconsapevole delle droghe associate alla scena dei club e dei rave. I tabloid e molti media cavalcarono questo problema con titoli allarmistici e molta disinformazione, e spingendo il governo e la polizia inglesi ad adottare cicliche misure per reprimere i rave. Fu il primo esempio di una dinamica che si sarebbe ripresentata ciclicamente nei decenni successivi, e che è riscontrabile ancora oggi.

«In quindici anni di esperienza una sola volta è stata chiamata l’ambulanza e la persona era a rischio di vita» dice Elisa Fornero, assistente sociale responsabile del Progetto Neutravel, che fa riferimento all’ASL di Cirié, Chivasso e Ivrea (Piemonte) e che presenzia ai free party con banchetti in cui viene applicata la strategia della riduzione del danno. Neutravel fornisce cioè opuscoli e informazioni sulle sostanze e sui rischi associati, e allestisce una “chill out zone” in cui potersi rilassare ed eventualmente riprendersi dopo eventuali malesseri, con l’assistenza di operatori e operatrici. Neutravel offre anche un servizio gratuito di test attraverso il quale si può verificare che la sostanza stupefacente che si è comprato corrisponda a quella dichiarata da chi l’ha venduta, per evitare di assumerla in dosi sbagliate o di avere effetti diversi da quelli previsti.

Fornero lo scorso weekend era al Witchtek di Modena per un intervento organizzato insieme al Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e alla Rete Italiana Riduzione del Danno: «ho dormito 5 ore in due giorni e mezzo», racconta. La maggior parte dei problemi con cui ha avuto a che fare Neutravel ha riguardato i mix di sostanze, ma si è trattato perlopiù di malesseri psicologici gestibili con un supporto qualificato ma non medico.

Secondo Fornero non ci sono state grosse trasformazioni nelle sostanze che circolano ai free party negli ultimi anni. L’MDMA continua a essere la droga più diffusa, circola sempre di più la ketamina, che si è affermata però già una decina di anni fa, e c’è un marginale ritorno dell’LSD. Ci sono poi diverse sostanze di sintesi di diffusione relativamente recente, specialmente con effetti psichedelici blandi, ma altre droghe considerate più pericolose, come il GHB, che è facile da sovradosare con potenziali conseguenze gravissime, si vedono raramente. Su altre, come l’eroina, anche ai rave c’è generalmente un certo stigma.

«È cambiata però la condizione psicologica delle persone, c’è una specie di disturbo post traumatico da stress dovuto all’isolamento durante la pandemia, soprattutto nei giovani che l’hanno vissuta in un’età delicata. E le sostanze possono tirare fuori questo malessere, rivelarlo». Al Witchtek, peraltro, secondo Fornero l’età media era un po’ più bassa rispetto ad altre feste simili, «sui 21-22 anni».

Ai free party, dice Fornero, si lavora molto più facilmente nello sviluppo di consapevolezza sui rischi associati al consumo di droghe rispetto ad altri contesti, «ma continuano a patire uno stigma. Eppure il consumo di sostanze è stato normalizzato da tempo in molti altri ambienti: la ketamina non c’è solo ai rave, ma è sempre più diffusa, fino ad arrivare ai luoghi dell’aperitivo». È un discorso che viene fatto spesso da chi lavora sulle dipendenze da sostanze, specialmente in riferimento alla cocaina, che è diffusissima in ambienti professionali rispettati e con un posto di riguardo nella società, ma che viene raramente citata da politica e istituzioni quando si parla di contrastare l’abuso e le dipendenze da sostanze stupefacenti.

Oltre a quello delle droghe, l’occupazione illegale degli spazi è un altro aspetto dei rave che ha frequentemente destato preoccupazioni pubbliche, ed è anche quello che ha ispirato il decreto del governo Meloni. In origine, riempire le fabbriche abbandonate con un free party aveva una motivazione politica: «negli anni Novanta comincia a essere molto visibile il processo di deindustrializzazione, e quindi andare a fare i rave nelle industrie e nei capannoni abbandonati rispondeva a una critica nella prassi di una società industriale che si lasciava dietro vestigia, di fatto enormi rifiuti di acciaio, vetro e cemento» spiega Vanni Santoni, scrittore che ha raccontato la scena dei rave italiani negli anni Novanta e Duemila nel romanzo Muro di casse

Da sempre la cultura rave ha avuto connotazioni politiche anticapitaliste e vicine all’anarchismo, e l’ambizione iniziale era quella di occupare le fabbriche, un tempo luoghi di produzione industriale, con un’altra forma di produzione, quella artistica, riappropriandosi di spazi che erano stati scartati. «Il rave come sottocultura che nasce in una condizione di crisi va a prendere o riprendere o rimettere in utilizzo in un ambito differente spazi che sono diventati frontiere di abbandono» dice Santoni.

Oggi questo aspetto è un po’ cambiato: secondo Santoni «si può tracciare una linea alla fine degli anni Zero, quando il pubblico dei free party aumenta moltissimo. Se prima chi partecipava era molto consapevole dell’aspetto della militanza, quando il pubblico dei rave si ampliò drasticamente si diluì questa consapevolezza e molta gente oggi ci va per ballare e divertirsi senza molta voglia di fare rivendicazioni politiche. Questa volontà rimane comunque tra gli organizzatori».

Organizzare l’equivalente legale di un rave è molto complicato e faticoso, e i costi e la burocrazia non sono spesso alla portata delle crew che allestiscono i free party. Persiste però ancora oggi un elemento politico nella scelta dell’occupazione: «un free party “completo” include ineludibilmente la gratuità e il fatto di svolgersi in uno spazio libero o abbandonato, altrimenti non è percepito come la stessa cosa da organizzatori e partecipanti» dice Santoni, che paragona questa caratteristica alla perdita di senso dei graffiti una volta staccati dai muri delle città ed esposti in gallerie o musei.

Nel tempo si sono diffusi comunque festival e feste legali di techno ed elettronica, con un biglietto di ingresso e tutte le caratteristiche e le comodità di un normale evento musicale, che propongono un’esperienza ispirata a quella dei rave, ripulita e un po’ istituzionalizzata. Specialmente all’estero, questi eventi vengono associati esplicitamente al verbo “to rave”, difficile da tradurre ma che racchiude in sintesi l’esperienza di ballare la techno a una grande festa. Esistono poi molti festival legali, e in certi casi con biglietti piuttosto costosi, dedicati specificamente alla goa e alla psy-trance.

Chi lavora nella riduzione del danno ai free party, oltre ad occuparsi delle questioni legate alle sostanze, finisce inevitabilmente per rappresentare una sorta di anello di collegamento tra gli organizzatori e i partecipanti da una parte, e le istituzioni dall’altra. Spesso quindi si ritrova a dover facilitare il dialogo tra le crew e le forze dell’ordine che vogliono sgomberare il luogo dell’evento. Pino Di Pino, della Rete italiana per la riduzione del danno, sottolinea come i funzionari della prefettura e della questura di Modena abbiano gestito bene l’intervento al Witchtek: la polizia era presente fin da sabato, e dopo due notti di festa è stata avviata una trattativa con gli organizzatori per far concludere in anticipo il rave. Trattativa che si è tenuta piuttosto velocemente e pacificamente, con la collaborazione delle crew.

«In situazioni del genere la prova muscolare rischia di essere molto pericolosa» dice Di Pino. Allo stesso modo, continua, in altre occasioni gli operatori sono riusciti a convincere le forze dell’ordine che lasciar proseguire il free party per alcune ore, fino alla mattina, è un’idea migliore rispetto a interrompere bruscamente la musica con centinaia di persone sotto stimolanti che non saprebbero dove andare a sfogare tutta l’energia che hanno in corpo. «Un approccio più militaresco mette a rischio l’incolumità dei partecipanti ma anche l’ordine pubblico» dice Di Pino, secondo cui servirebbe più formazione di questo tipo alle forze dell’ordine.

«Da questo punto di vista le dirette video dal capannone di Modena sono state esemplari: si vedevano i poliziotti fare i complimenti ai ragazzi perché ripulivano il capannone alla fine della festa».