• Konrad
  • Martedì 1 novembre 2022

Ospedali, visoni, parentele inventate, Russia e Ruanda

Sono solo alcuni temi di cui si è discusso nell'animata campagna elettorale per le elezioni danesi, che si tengono oggi

(AP Photo/Sergei Grits)
(AP Photo/Sergei Grits)
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Martedì si vota in Danimarca per le elezioni parlamentari, indette a inizio ottobre dalla prima ministra Mette Frederiksen, leader dei Socialdemocratici, dopo una crisi interna alla coalizione di centrosinistra, che dal 2019 sosteneva un governo di minoranza.

Il quadro politico danese è particolarmente frammentato. Alle elezioni partecipano 14 partiti, la maggior parte dei quali dovrebbe entrare in parlamento grazie a una legge proporzionale che prevede ampie garanzie per i piccoli partiti. Né il blocco di centrosinistra né il blocco di centrodestra dovrebbe ottenere un numero sufficiente di seggi, 90, per formare una maggioranza. Sarà cruciale capire le intenzioni di Lars Løkke Rasmussen, ex primo ministro con una maggioranza di centrodestra, il cui nuovo partito centrista sta andando molto bene.

La campagna elettorale è stata animata e molto variegata, con polemiche giornaliere e scontri politici su moltissimi temi, dalle alleanze internazionali all’efficienza degli ospedali passando per la decisione del governo Frederiksen di abbattere milioni di visoni durante la pandemia da coronavirus e uno scandalo sul compagno di uno dei principali leader del centrodestra, Søren Pape Poulsen.

Il risultato delle elezioni potrebbe portare a grandi cambiamenti nella politica danese: diversi commentatori sono convinti per esempio che alla fine emergerà un governo di coalizione fra il centrosinistra e il partito di Rasmussen, i Moderati. La stessa Frederiksen ha fatto capire di essere più che disponibile a parlarne con Rasmussen. Sarebbe la prima volta dal 1978 che i Socialdemocratici si alleano con un grosso partito centrista per formare un governo. In quel caso l’alleanza durò appena otto mesi.

Anche la Danimarca insomma sta sperimentando un certo rimescolamento politico, come del resto molti paesi del Nord Europa, dopo un paio di decenni di scarse turbolenze e alternanza pacifica fra coalizioni di partiti istituzionali di centrosinistra e centrodestra. In Svezia è appena entrato in carica un governo sostenuto dall’estrema destra, in Finlandia il governo di centrosinistra guidato da Sanna Marin ha attraversato diverse crisi e i sondaggi danno i partiti di destra e centrodestra in ottima salute.

Nel caso della Danimarca il rimescolamento è dovuto a una serie di eventi che hanno condizionato pesantemente il dibattito interno, negli ultimi anni.

Il flusso di migranti del 2015 dal Nord Africa e dal Medio Oriente, a cui la Danimarca non era preparata, ha spostato a destra tutto il discorso sulla gestione dell’immigrazione e dell’integrazione dei danesi di seconda generazione nella società. Da allora prima il centrodestra e poi il centrosinistra hanno approvato alcune delle leggi più severe e discriminatorie contro i migranti che ci siano in Europa, in molti casi assieme alla destra. C’è stata una notevole continuità fra le misure approvate da Rasmussen, che aveva lasciato il suo incarico da primo ministro nel 2019, e Frederiksen. «Nel parlamento uscente c’era un consenso trasversale per misure severe sull’immigrazione», ha spiegato ad Agence France-Presse Kasper Hansen, politologo che insegna all’università di Copenhagen.

A queste elezioni l’immigrazione è scesa molto nella classifica delle priorità dell’elettorato danese, ma perché la maggior parte dei partiti è d’accordo con le misure severe imposte dal centrosinistra, fra cui un controverso piano per deportare in Ruanda centinaia di richiedenti asilo che arrivano in Danimarca. Nel Regno Unito un simile piano del governo Conservatore è stato sospeso per via di ricorsi alla Corte europea per i diritti dell’uomo e all’Alta corte di giustizia del Regno Unito.

In campagna elettorale si è parlato molto anche del sistema sanitario pubblico, di cui ormai da anni si lamentano molti danesi. Nel 2021 i dipendenti della sanità pubblica, fra cui specialmente moltissimi infermieri, avevano scioperato per due mesi chiedendo un aumento di stipendio. In Danimarca gli infermieri sono storicamente pagati meno di altri dipendenti pubblici, perché in passato era un mestiere svolto soprattutto da donne. Lo sciopero era stato il più lungo nella storia del settore pubblico danese. Il governo aveva promesso di trovare soluzioni, ma nel frattempo nel corso del 2021 il 6 per cento degli infermieri negli ospedali pubblici ha lasciato il proprio incarico, e ha cambiato lavoro o trovato posto nelle cliniche private.

Oggi negli ospedali pubblici danesi mancano circa cinquemila infermieri, scrive Le Monde, cosa che comporta continui ritardi e rinvii di varie operazioni chirurgiche, fra le altre coseAssumerne di nuovi non è facilissimo, specialmente in un periodo di crisi economica globale: e il tema è tornato di grande attualità in campagna elettorale.

L’opinione pubblica danese è stata poi molto colpita dall’invasione russa in Ucraina. Oltre a preoccupazioni generali per la sicurezza in Europa, sono circolati timori per l’isola di Bornholm, che si trova nel Mar Baltico a soli 300 chilometri dall’enclave russa di Kaliningrad. Bornholm era già stata occupata dai russi durante la Seconda guerra mondiale e spesso è oggetto di azioni aggressive dell’esercito russo, come la vicina isola svedese di Gotland.

A giugno la Danimarca ha deciso di aderire alla difesa comune dell’Unione Europea dopo un referendum indetto dal governo Frederiksen e vinto col 66,9 per cento dei Sì. L’esito del referendum rimuoverà una clausola dai trattati che regolano l’adesione all’Unione Europea che negli ultimi 30 anni aveva permesso alla Danimarca di non partecipare alle iniziative europee per la difesa e la sicurezza comuni.

Il governo e Frederiksen erano usciti rafforzati dalla vittoria dei referendum, ma poche settimane più tardi avevano subito un brutto danno di immagine. A fine giugno un rapporto indipendente aveva stabilito che la decisione di Frederiksen di uccidere 17 milioni di visoni nel novembre del 2020 per prevenire ulteriori mutazioni del virus SARS-CoV-2, quello della pandemia da coronavirus, non aveva alcuna base legale. Frederiksen si era poi scusata per avere preso una decisione del genere, ma i suoi avversari politici ancora oggi le rimproverano di avere di fatto azzerato un settore molto fiorente, cioè quello delle pellicce di visone.

Dal 2020 il governo danese ha dovuto stanziare 2,55 miliardi di euro per compensare circa 3.000 allevatori di visoni rimasti senza lavoro.

Frederiksen non è stata l’unica leader a subire un danno di immagine. Negli scorsi mesi si è scoperto che il marito di Søren Pape Poulsen, leader del Partito Popolare Conservatore nonché fra i favoriti per diventare primo ministro, aveva finto per anni di essere ebreo e di essere nipote di Danilo Medina, ex presidente della Repubblica Dominicana fra 2016 e 2020. Poulsen aveva parlato in pubblico più volte di suo marito e della sua condizione, sfruttandola politicamente per mostrarsi una persona aperta e tollerante nonostante alcune posizioni molto conservatrici del suo partito. A fine settembre Poulsen aveva fatto sapere di avere divorziato dal marito, ma l’annuncio non ha generato un aumento dei consensi.

Il calo della popolarità di Poulsen è stato sfruttato da Rasmussen, il cui partito dei Moderati è dato oggi intorno al 10 per cento: con la ventina di seggi che potrebbe ottenere dovrà decidere se fare un governo di coalizione col centrosinistra oppure guardare verso destra, dove però diversi partiti sembrano in condizioni peggiori rispetto a qualche anno fa. Il Partito Popolare Danese, di estrema destra, alle elezioni del 2019 aveva ottenuto il 10 per cento dei voti ma dopo una serie di dispute interne è dato poco sopra la soglia di sbarramento, fissata al 2 per cento.