Il governo sta provando a salvare la raffineria di Priolo

Ma dipende tutto dalle banche, che devono sbloccare il credito per l'acquisto di petrolio: l'alternativa è la chiusura fra un mese

La raffineria Isab di Priolo Gargallo, vicino a Siracusa (AP, Gaetano Adriano Pulvirenti)
La raffineria Isab di Priolo Gargallo, vicino a Siracusa (AP, Gaetano Adriano Pulvirenti)
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La raffineria Isab di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, in Sicilia, dà lavoro a migliaia di persone, ma da mesi i posti di lavoro e il futuro dello stabilimento, che raffina oltre il 20 per cento di tutto il petrolio greggio nazionale, sono gravemente a rischio. L’impianto Isab infatti è di proprietà di una società svizzera, Litasco Sa, che è a sua volta controllata dalla grande compagnia petrolifera russa Lukoil.

L’invasione dell’Ucraina e le sanzioni dell’Unione Europea hanno creato problemi e paradossi che potrebbero portare lo stabilimento a non avere più, dal 6 dicembre prossimo, petrolio da raffinare. Venerdì un intervento del ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha fatto ben sperare, ma i giorni a disposizione sono pochi e non è detto che basti a sbloccare la situazione.

Dopo l’approvazione dei primi pacchetti di sanzioni europee, nonostante Isab non fosse nella lista delle imprese coinvolte, le banche avevano evitato di concedere all’azienda i prestiti e le garanzie necessarie per effettuare acquisti. Una scelta molto prudente, fatta nel timore di rimanere coinvolte in successive dispute legali o sanzioni. Da allora Isab non aveva più potuto comprare petrolio sul mercato internazionale, ma solo rifornirsi dalla casa madre russa: un risultato paradossale, che aveva portato le importazioni italiane di greggio russo a crescere mentre quelle di tutto il mondo occidentale scendevano.

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Il 6 dicembre, però, scatterà l’embargo al petrolio russo. Isab si troverà quindi nella condizione di non poter comprare neanche più il petrolio russo, di non aver più petrolio da raffinare e di dover chiudere la produzione.

Il provvedimento con cui il governo ha provato a intervenire consiste in una “comfort letter”, cioè una nota ufficiale del Comitato per la sicurezza finanziaria del MEF volta a rassicurare le banche. Nella lettera infatti si evidenzia come Isab e Lukoil non siano interessate dalle sanzioni alle aziende russe dell’Unione Europea. Il nuovo governo e in particolare i ministri Giancarlo Giorgetti e Adolfo Urso (rispettivamente titolari di Economia e di Imprese e Made in Italy) sperano che questa rassicurazione formale e legale, richiesta da Isab già a marzo, sia sufficiente per convincere le banche a riaprire le linee di credito dello stabilimento, cioè a prestare soldi alla raffineria e a fornire garanzie per acquistare il petrolio sul mercato internazionale.

Non è solo un problema aziendale o locale. L’impianto Isab, costruito nel 1972, apparteneva all’azienda energetica italiana ERG, che nel 2008 lo vendette a Litasco Sa. Al suo interno vengono lavorate 50 qualità differenti di petrolio trasformate principalmente in gasolio, ma anche in benzina, oli combustibili, GPL e altri prodotti petrolchimici per le aziende. La capacità massima di produzione è di 19,4 milioni di tonnellate di greggio in un anno, pari al 22,2 per cento del totale nazionale. La maggior parte del carburante venduto nei distributori delle regioni del Sud Italia arriva da qui.

I dipendenti di Isab sono mille, ma indirettamente l’azienda dà lavoro a circa altre duemila persone. Inoltre Isab è importante per tutte le raffinerie che fanno parte del polo petrolchimico, grazie a un costante passaggio di prodotti tra le diverse aziende. Nell’area industriale, che vale il 51 per cento del PIL della provincia di Siracusa, lavorano in totale circa diecimila persone. Il ridimensionamento o la chiusura di Isab avrebbe effetti anche sul vicino porto di Augusta, da cui nel 2021 sono passati 25 milioni di tonnellate di merci, di cui il 70 per cento erano prodotti petroliferi.

Prima dell’interruzione del credito dalle banche, Isab comprava il greggio da raffinare da produttori di tutto il mondo: una quota tra il 20 e il 30 per cento veniva da Lukoil, la casa madre russa che ha anche ampie attività estrattive, mentre il resto da altri fornitori, soprattutto dal Mar Nero, dal Medio Oriente e dall’Africa. A partire da marzo, Isab è stata costretta a comprare petrolio esclusivamente dalla Russia. La necessità di mantenere alti i livelli di produzione ha fatto quindi aumentare in modo significativo le importazioni italiane di petrolio russo: una crescita del 143 per cento nel primo semestre del 2022. Un paradosso in un periodo in cui l’Europa tagliava i suoi acquisti per non finanziare la guerra di Putin.

Con la garanzia giuridica della “comfort letter” Isab si aspetta da parte delle banche una risposta positiva, che sblocchi la situazione, mentre il governo non esclude ulteriori interventi. Il ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso aveva parlato di un’«ipotesi acquisto» da parte dello stato nei giorni scorsi, già ventilata in passato dall’allora ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani: un progetto complesso e sicuramente non attuabile in tempi utili. Nella situazione attuale Isab potrà effettuare un ultimo ordine di petrolio russo il 7 novembre, poi dipenderà dalla riapertura delle linee di credito da parte delle banche. Nelle scorse settimane ha anche sostituito il direttore generale Oleg Durov, russo, con lo svizzero Eugene Maniakhine.