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  • Mercoledì 12 ottobre 2022

Una norma della riforma Cartabia potrebbe salvare il processo Regeni

È stata inserita nell'ultimo decreto legislativo del governo e può servire ad aggirare l'ostruzionismo delle autorità egiziane

(ANSA/ Edoardo Sismondi)
(ANSA/ Edoardo Sismondi)
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Una norma contenuta nella riforma della Giustizia promossa dalla ministra Marta Cartabia potrebbe rendere possibile lo svolgimento del processo contro i presunti assassini di Giulio Regeni, che finora non è potuto di fatto mai partire. Il 28 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato infatti in via definitiva gli ultimi tre decreti legislativi della riforma della giustizia penale, che contengono una norma che potrebbe consentire di aggirare la resistenza e l’omertà delle autorità egiziane che stanno proteggendo i quattro agenti della sicurezza nazionale sospettati dalla giustizia italiana di avere ucciso Regeni, rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 e trovato morto il 3 febbraio successivo vicino a una prigione dei servizi segreti egiziani. Sul corpo erano presenti evidenti segni di tortura.

La norma, che sarà pubblicata a breve in Gazzetta Ufficiale entrando così in vigore, modifica il comma 1 dell’articolo 169 del codice di procedura penale e riguarda la notifica all’estero degli atti riguardanti un procedimento giudiziario. Finora, infatti, il processo è stato bloccato perché sia la Corte d’Assise di Roma sia, in seguito a un ricorso, la Corte di Cassazione avevano stabilito che senza la notifica agli imputati il processo non poteva svolgersi. Le autorità egiziane si sono sempre rifiutate di comunicare l’indirizzo dei quattro agenti sospettati e così il processo non è potuto cominciare. La mancata comunicazione degli indirizzi è stata solo uno dei tanti atti di ostruzionismo delle autorità egiziane nei confronti della giustizia italiana.

La norma inserita nel decreto legge dice: 

Quando l’autorità giudiziaria non può procedere alla notificazione con modalità telematiche e risulta dagli atti precisa notizia del luogo di residenza o del luogo in cui all’estero la stessa esercita abitualmente l’attività lavorativa, il giudice invia la raccomandata contenente l’indicazione dell’autorità che procede, del titolo del reato e della data e del luogo in cui è stato commesso. Se nel termine di trenta giorni non viene eletto un domicilio, le notifiche sono eseguite mediante consegna al difensore.

In pratica, quindi, non sarà più necessario per forza consegnare l’atto di rinvio a giudizio a casa degli imputati, ma si potrà consegnarlo nel luogo di lavoro e, dopo un mese le comunicazioni potranno essere inviate agli avvocati difensori. Questa modifica, studiata dai giuristi del ministero proprio in seguito alla sospensione del processo Regeni, potrebbe quindi infine sbloccare l’iter giudiziario.

Le persone per cui la procura di Roma aveva chiesto il rinvio a giudizio sono il generale Sabir Tareq, i colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal e il maggiore Magdi Sharif, accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

I quattro agenti erano stati rinviati a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare nel maggio del 2021, cinque anni e mezzo dopo l’omicidio e dopo indagini difficili, sempre boicottate dalle autorità egiziane. Ci sono state negli anni anche molte trattative diplomatiche infruttuose tra i due paesi. 

Le autorità egiziane avevano detto fin da subito di non voler fornire gli indirizzi degli agenti. Quello della comunicazione del rinvio a giudizio agli imputati è un passaggio formale ma anche sostanziale di un processo: l’imputato, per potersi difendere, deve essere a conoscenza del fatto di essere accusato. Non è però questo il caso: i quattro agenti dei servizi segreti sospettati sono ovviamente al corrente dei procedimenti a loro carico.

Il giudice per l’udienza preliminare aveva infatti sostenuto che la notorietà del caso si sarebbe potuta considerare già di per sé una notifica, ma la Corte d’Assise e poi la Cassazione hanno ritenuto diversamente.

Le istituzioni egiziane hanno sempre opposto ostruzionismo alle indagini prima e al processo poi contro i presunti colpevoli dell’omicidio di Giulio Regeni. Già il 16 dicembre 2020 la procura del Cairo aveva firmato un documento che era di fatto un decreto di archiviazione. Il ministero della Giustizia italiano, in quell’occasione, aveva emesso una nota: 

Il 16 dicembre del 2020 la procura egiziana ha firmato un documento da intendersi come archiviazione. Ritiene che questo provvedimento abbia natura decisoria irrevocabile ovvero che si tratti di una decisione non più suscettibile di impugnazione e che preclude la riapertura di un procedimento nei confronti degli stessi soggetti.

A luglio la Corte di Cassazione aveva esaminato il ricorso del procuratore aggiunto di Roma, Sergio Colaiocco, che aveva impugnato la decisione della Corte di Assise di Roma con la quale era stato sospeso il processo fino alla notifica degli atti. La Corte aveva ribadito che senza la consegna degli atti ai quattro imputati il processo non si poteva fare. La sostituta procuratrice generale, Marcella de Masellis, in quell’occasione, aveva detto parlando della legge che «garantisce l’impunità degli imputati». La strada possibile era quindi quella di cambiare la norma, cosa che ora è stata fatta. 

La procura generale, davanti alla Corte di Cassazione, in occasione dell’esame del ricorso, aveva detto: «Le autorità egiziane hanno interrotto qualsiasi collaborazione con gli inquirenti italiani da quando i nomi dei quattro agenti della National security sono stati iscritti nel registro degli indagati». Negli anni sono state negate le rogatorie (le richieste di uno Stato a un altro di compiere atti investigativi, come per esempio un interrogatorio) del pubblico ministero e quelle del giudice e non sono mai serviti a nulla gli interventi del governo italiano.

La nuova norma contenuta nella riforma Cartabia servirà a rimuovere l’ostacolo della consegna degli atti agli imputati ma è molto probabile che le autorità egiziane continuino a opporsi con ogni mezzo alla possibilità che il processo si svolga.