Le donazioni di ovuli e spermatozoi devono essere anonime?

È una questione dibattuta, su cui i paesi europei hanno nel tempo adottato legislazioni diverse, in alcuni casi rimuovendo l’anonimato

di Alessandra Pellegrini De Luca

Una fecondazione in vitro a Londra (AP Photo/Sang Tan, file)
Una fecondazione in vitro a Londra (AP Photo/Sang Tan, file)
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Molte donne che ricorrono alla fecondazione eterologa, cioè la tecnica di procreazione assistita che prevede la donazione esterna di gameti (le cellule sessuali, ovuli o spermatozoi), si trovano ad affrontare la questione dell’anonimato del donatore: dare o meno ai nati la possibilità di avere accesso alle informazioni anagrafiche del donatore è una questione delicata e dibattuta, oltre che regolata in maniera diversa da paese a paese.

Anche per Giulia, donna italiana di 43 anni che cinque anni fa ha concepito sua figlia in Danimarca tramite la fecondazione eterologa, è stato complicato affrontare la questione dell’anonimato del donatore. Giulia ha raccontato che per un certo periodo si è sentita in colpa per aver scelto un donatore anonimo, di cui non sarà mai possibile conoscere l’identità: «mi è sembrato di aver scelto per mia figlia, di averle tolto un’opportunità».

In Italia, come in Spagna, i donatori sono anonimi per legge. Ma ci sono paesi, come la Danimarca, in cui è invece possibile scegliere tra donatori anonimi o non anonimi. Ci sono anche paesi – come la Svezia, la Germania o i Paesi Bassi – in cui l’anonimato è stato totalmente rimosso: significa che tutti i nati da donazione possono avere accesso alle informazioni anagrafiche della propria donatrice o del proprio donatore una volta raggiunta la maggiore età (o in alcuni casi i 16 anni). Dove l’anonimato è stato rimosso lo si è fatto anche sulla spinta delle richieste dei nati da fecondazione eterologa, che in alcuni casi hanno chiesto di poter sapere chi era il donatore o la donatrice grazie ai quali erano nati.

Per avere una figlia, Giulia è dovuta andare all’estero. In quanto single, non aveva diritto in Italia ad accedere alle tecniche di fecondazione assistita, che permettono di avere figli a chi non può averli naturalmente: per la legge italiana possono ricorrere alla fecondazione assistita solo le coppie eterosessuali, sposate o conviventi.

La storia di Giulia non è l’unica di questo tipo tra quelle raccolte dal Post, e permette di capire quanto sia complessa e delicata la questione dell’anonimato dei donatori: le norme al riguardo servono a tutelare il più possibile sia chi dona, sia la persona o la coppia che riceve la donazione, sia, naturalmente, chi nasce da quella donazione.

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I paesi che nel tempo hanno deciso di rimuovere l’anonimato lo hanno fatto prediligendo il diritto dei nati a conoscere le proprie origini, anche ricavandolo da una serie di interpretazioni del diritto internazionale, tra cui la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Di recente c’è anche chi ha sottolineato come, con la crescente diffusione dei test del DNA fai-da-te (non sempre affidabili), l’anonimato dei donatori abbia ormai poco senso: nei paesi in cui i donatori sono anonimi è capitato che i nati riuscissero a identificarli con alcuni di questi test e poi a contattarli. Un caso di questo tipo è stato raccontato per esempio in Francia, dove è appena stato rimosso l’obbligo di anonimato, nel libro autobiografico Le Fils (2019) di Arthur Kermalvezen, nato da donazione e co-fondatore dell’associazione Origines

I molti paesi che prevedono ancora l’anonimato prediligono invece la tutela della privacy delle donatrici e dei donatori, uniformando di fatto le norme sulle donazioni dei gameti a quelle già esistenti sulle donazioni di organi e tessuti, che sono anonime e gratuite.

L’Italia rientra in questa seconda categoria. Già nella sentenza della Corte Costituzionale con cui nel 2014 fu resa lecita la fecondazione eterologa, la 162, si citava la possibilità di uniformare le regole sulla donazione di gameti a quelle sulle donazioni di cellule e tessuti umani. Successivamente furono emesse altre direttive, come l’accordo interregionale della Conferenza delle regioni e delle province autonome, che sempre nel 2014 diede alcune linee guida sulla fecondazione eterologa e stabilì esplicitamente che i donatori e le donatrici di gameti dovevano restare anonimi e non rintracciabili né dalla coppia ricevente né dai nati.

Lorenzo D’Avack, presidente del Comitato nazionale per la bioetica, ha detto che in Italia il tema è stato comunque piuttosto dibattuto fin dall’inizio, con posizioni sia favorevoli che contrarie.

Fermo restando l’anonimato, le norme italiane (come quelle di altri paesi europei: gli Stati Uniti, meno regolamentati, meriterebbero un discorso a parte) prevedono comunque una serie di tutele, soprattutto dal punto di vista sanitario: i dati necessari per la tracciabilità anche clinica delle donazioni devono essere conservati per almeno 30 anni, e possono essere resi noti al personale sanitario nel caso in cui la persona nata abbia bisogno di conoscerle per ragioni mediche. Concretamente significa che pur non potendo sapere chi è e come si chiama il donatore, il nato può avere accesso a informazioni rilevanti per la sua salute (è per questo che nel consenso informato per la fecondazione eterologa si cita il rischio di anamnesi mediche errate nel caso in cui chi nasce non venga informato su come è stato concepito).

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Negli ultimi anni l’equiparazione tra organi, tessuti e gameti è stata messa in discussione: chi lo ha fatto ha sostenuto che quella dei gameti è una donazione molto particolare e non equiparabile ad altre, e che quindi andrebbe regolamentata con criteri diversi.

«Le donazioni di organi salvano vite, mentre quelle di gameti le creano», dice per esempio un recente rapporto del Consiglio d’Europa, organizzazione nata nel 1949 per promuovere la democrazia e i diritti umani (e che non c’entra nulla con l’Unione Europea). Anche nella direttiva dell’Unione Europea sulla gestione di organi e tessuti, poi attuata dall’Italia, si ammetteva (articolo 29) che per le donazioni di gameti si sarebbero potute fare valutazioni diverse rispetto all’anonimato di altre donazioni, magari rimuovendolo.

Su queste basi, due anni fa, sempre il Consiglio d’Europa ha invitato i 46 stati membri ad abolire l’anonimato dei donatori di gameti prediligendo il diritto del concepito a conoscere le proprie origini genetiche, e mantenendo comunque intatto il diritto della donatrice e del donatore a non avere impegni giuridici di alcun tipo nei suoi confronti.

Nel frattempo, nei paesi che hanno legalizzato la fecondazione eterologa da più anni, le persone nate da queste donazioni e diventate ormai adulte hanno in più occasioni organizzato campagne per chiedere la rimozione dell’anonimato: è successo per esempio in Australia, negli Stati Uniti, in Francia e nel Regno Unito, dove si sta valutando se rimuovere l’anonimato del donatore direttamente dalla nascita, senza quindi che il nato debba aspettare i 18 anni per avere accesso alle informazioni anagrafiche del donatore o della donatrice.

Catherine (nome di fantasia), una donna inglese con cui ha parlato il Post e che non vuole essere citata per nome fino al compimento dei 18 anni di età di suo figlio, ha detto di essere favorevole a questa possibilità: «Mio figlio è nato alla fine del 2004, poco prima che venisse rimosso l’anonimato [nel 2005]: attraverso alcuni test del DNA è riuscito a rintracciare e incontrare alcune persone nate grazie allo stesso donatore. È stata un’esperienza positiva e spera con questo metodo sia di rintracciarne altre che di trovare il suo donatore».

Catherine ha detto che lei e sua moglie sostengono il loro figlio in questa ricerca, e dice di non aver mai vissuto come una minaccia la sua curiosità nei confronti del donatore, trovandola invece comprensibile e giustificata.

Alcuni degli studi esistenti sui nati da fecondazione eterologa sembrano suggerire proprio questo: la curiosità nei confronti del donatore o della donatrice accomuna molte persone nate da donazione, senza che la figura del donatore venga percepita necessariamente come sostitutiva del genitore o senza che ci sia un effettivo desiderio di stabilirci un qualche tipo di relazione.

Valentina Berruti è una psicologa psicoterapeuta del centro B-Woman di Roma che si occupa di questo tema e si dichiara concettualmente favorevole alla rimozione dell’anonimato sulle donazioni di gameti. Berruti ritiene che l’esigenza di conoscere la propria identità genetica sia «assolutamente comprensibile», ma sostiene anche che per le coppie che hanno ricevuto la donazione possa essere molto complesso relazionarsi alla figura del donatore in modo sereno: «L’anonimato viene vissuto da molte coppie come una legittimazione del proprio ruolo di genitori, un modo di escludere dal nucleo faticosamente costruito una figura percepita come minacciosa», aggiunge.

Secondo Berruti, che lavorando in Italia ha a che fare soprattutto con coppie eterosessuali, questa percezione dipende anche da fragilità legate all’accettazione della propria infertilità, un tema senz’altro complesso, per cui in psicoterapia si parla di «lutto biologico».

Berruti ritiene che prima di pensare di rimuovere l’anonimato sarebbe quindi necessario lavorare adeguatamente su queste stesse fragilità e preparare le famiglie e potersi relazionare in modo sereno con la curiosità dei figli nei confronti della figura del donatore, così come sulla consapevolezza che «la genitorialità non dipende dalla genetica o dalla biologia» ma è prima di tutto un ruolo sociale, che «si esplica attraverso l’intenzione, la relazione e la dedizione nei confronti di questi figli così fortemente desiderati». 

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In Italia sono state fatte alcune proposte di legge per rimuovere almeno parzialmente l’anonimato: una di queste, di iniziativa del senatore Luigi Manconi (PD), proponeva di normare l’anonimato in modo simile a quanto avviene in Danimarca, permettendo quindi ai donatori di poter scegliere se donare anonimamente o meno: è la regolamentazione nota come «doppio binario». Per il resto il disegno di legge prevedeva tutte le tutele attualmente esistenti, compresa l’assenza, in qualsiasi caso, di un rapporto giuridico tra donatori e nati, a tutela di entrambi.

L’accordo della Conferenza delle regioni e delle province autonome che nel 2014 stabilì alcune delle linee guida sulla fecondazione eterologa prevede inoltre che nel caso in cui l’anonimato sia rimosso non lo si faccia retroattivamente, come successo nel Regno Unito e in Francia: in questo caso si potrebbe continuare a garantire l’anonimato ai donatori che hanno donato prima dell’entrata in vigore della nuova norma.

Giulia Scaravelli, responsabile del registro nazionale della PMA (Procreazione medicalmente assistita) in Italia per l’Istituto Superiore di Sanità, ha detto che prima di rimuovere l’anonimato delle donatrici e dei donatori di gameti in Italia è necessario fare «un grosso lavoro di sensibilizzazione, informazione e consapevolezza della società civile sull’importanza della donazione». Secondo Scaravelli, rimuovere l’anonimato senza aver prima sensibilizzato sull’importanza della donazione rischia di disincentivare le persone a donare per paura del maggior coinvolgimento previsto dal non-anonimato.

Ma in Italia la sensibilizzazione sulla donazione dei gameti è un lavoro ancora tutto da fare: anche se la fecondazione eterologa è legale ormai da quasi 10 anni, c’è una pressoché totale assenza di informazione e sensibilizzazione sulla possibilità di donare i gameti, cioè sul gesto su cui si basa la fecondazione eterologa e che ne permette l’esistenza.

Dal 2014 a oggi, su scala nazionale, l’unica campagna informativa sulla possibilità di donare i gameti è stata realizzata dall’Associazione Luca Coscioni. Ci sono state campagne locali, come quella della regione Emilia-Romagna, o di singoli enti, ma nulla da parte del ministero della Salute o dell’Istituto superiore di sanità.