• Sport
  • Venerdì 30 settembre 2022

La lotta per non retrocedere, nel ciclismo

È la principale conseguenza di una regola decisa nel 2018 i cui effetti si stanno vedendo solo ora, e a molti non piacciono

(AP Photo/Christophe Ena)
(AP Photo/Christophe Ena)
Caricamento player

Anche nel ciclismo su strada le squadre devono evitare di retrocedere per non venire declassate a un livello inferiore. Se succede, questo comporta anzitutto il rischio di non partecipare al Tour de France, per distacco la più importante corsa ciclistica al mondo, attorno al quale gira gran parte degli interessi di quasi tutti gli sponsor principali.

Nel ciclismo la lotta per non retrocedere è la conseguenza di una riorganizzazione piuttosto astrusa decisa nel 2018 dall’UCI — l’Unione ciclistica internazionale — che si basa su una classifica a punti triennale che determina appunto promozioni e retrocessioni. Il triennio è iniziato nel 2020 e si concluderà questo ottobre.

Fino a qualche mese fa di queste retrocessioni si parlava di rado, perfino sui siti di settore. Ora che stanno finendo sia la stagione che il triennio, la questione si è fatta però più pressante e la lotta per non retrocedere ha già cambiato – secondo molti in peggio – il modo in cui le squadre scelgono a quali corse partecipare e quale approccio adottare.

Di per sé, la lotta per non retrocedere è già quasi risolta, visto che molte squadre sono ormai salve e solo un paio sono davvero a rischio. Ciononostante, tra addetti ai lavori e appassionati sono in molti a chiedersi se questo sistema sia giusto. Per qualcuno potrebbe diventarlo, ma con parecchi aggiustamenti. Per qualcun altro non lo è granché, ma-bisognava-pensarci-prima. Per altri ancora, è proprio tutto sbagliato.

Eusebio Unzué, general manager della squadra spagnola Movistar (protagonista su Netflix della serie Dietro la prossima curva), ha detto che il sistema alla base delle retrocessioni è «la più grande stupidaggine» mai concepita nel ciclismo. Sylvan Adams, il miliardario proprietario della Israel-Premier Tech, una squadra ormai quasi certa di retrocedere, è stato ancora più drastico: «La retrocessione è la morte», ha detto.

Promozioni e retrocessioni
Sebbene ognuno pedali evidentemente sulla sua bicicletta, il ciclismo su strada è uno sport di squadra. Per questioni pratiche e tattiche, ma anche a livello amministrativo: sono infatti le squadre a ottenere il diritto di partecipare alle corse più importanti e remunerative e sono sempre le squadre, in altri casi, a poter essere invitate a prendere  parte a certe gare, decidendo poi in relativa autonomia se farlo e con quali corridori.

Per dare uniformità al calendario ciclistico e per evitare che certe corse mettano il veto alla partecipazione di determinate squadre, o viceversa, da anni esistono apposite regole. Secondo quelle attuali, in vigore da un po’ più di dieci anni, le corse e le squadre più importanti sono quelle del World Tour. Per fare due esempi, il Giro d’Italia è una corsa a tappe del World Tour, e squadre come Astana o Trek-Segafredo sono squadre del World Tour. Sotto al livello World Tour ce ne sono altri due, noti come Pro Team e Continental.

Secondo le attuali regole UCI, a livello World Tour sono ammesse diciotto squadre. Se lo vorranno e se rispetteranno determinate condizioni etiche ed economiche, dal 2023 le due migliori squadre Pro Team saliranno al livello World Tour: saranno insomma promosse. Ne consegue che due attuali squadre World Tour dovranno retrocedere.

C’è però un altro paio di regole secondarie che complicano la questione. Una dice che in base ai risultati di quest’ultimo anno le due migliori squadre Pro Team (non necessariamente le due promosse) potranno partecipare nel 2023 a corse World Tour. L’altra prevede che le grandi corse come il Giro o il Tour possano invitare liberamente un paio di squadre non del World Tour. Significa che retrocedere non comporta per forza di cose e in maniera categorica l’esclusione dalle corse World Tour e in particolar modo dal Tour de France. Tuttavia, aprendo alla possibilità che questo possa succedere, la retrocessione crea incertezza e rende difficile programmare calendario e investimenti.

La sintesi però è semplice: i motivi per voler essere una delle diciotto squadre World Tour sono molti. Perché come ha scritto il blog Inrng, la “licenza” World Tour «è un biglietto d’oro per il Tour de France», senza il quale ogni squadra avrebbe grossi problemi a far quadrare i conti. In secondo luogo perché nei contratti di molte squadre ci sono apposite clausole legate alla permanenza nel World Tour. In breve, se una squadra esce da questo livello, sponsor e corridori possono scegliere di andarsene.

(AP Photo/Christophe Ena)

La classifica
In base ai risultati degli ultimi tre anni, in testa alla classifica c’è la Jumbo-Visma, la squadra di Jonas Vingegaard, il vincitore del Tour de France, e di Wout van Aert, probabilmente il miglior ciclista al mondo e senz’altro il più completo. Dietro ci sono Quick-Step, Ineos e UAE-Emirates, le squadre che hanno ottenuto i migliori risultati negli ultimi anni. Tra le altre cose, queste squadre si sono anche impegnate per vincere questa classifica, ma di certo non è qualcosa a cui i tifosi prestano particolare interesse. E senza dubbio qualsiasi squadra scambierebbe molto volentieri un primo posto in questa classifica per la vittoria di un Tour de France.

Jonas Vingegaard a Copenhagen dopo aver vinto il Tour (Mads Claus Rasmussen/Ritzau Scanpix via AP)

A conti fatti, per le squadre non fa grande differenza arrivare al primo, al secondo, al decimo o al quindicesimo posto in classifica. L’importante è non retrocedere.

Tra le squadre che negli ultimi mesi hanno dovuto preoccuparsi di questa eventualità ci sono la statunitense EF Education-EasyPost, la Movistar di Unzué e la francese Cofidis. Bene o male, possono ormai dirsi tutte vicine alla salvezza. Al contrario, sono quasi date per spacciate la belga Lotto Soudal (la squadra di Caleb Ewan, uno dei migliori velocisti al mondo) e la Israel-Premier Tech di Adams, in cui corre Chris Froome, e che è peraltro una delle squadre ciclistiche con il budget più alto.

A guadagnarsi la promozione al livello World Tour saranno invece la francese Arkéa-Samsic e la belga Alpecin-Deceuninck, in cui corre Mathieu van der Poel: tra i migliori della sua generazione, spesso spettacolare nelle sue azioni e già vincitore, tra le altre cose, di due Giri delle Fiandre e di una Strade Bianche.

Mathieu van der Poel durante il Tour del 2021 (Stephane Mahe, Pool Photo via AP)

Una grande corsa a punti
A determinare le posizioni nella classifica, che è aggiornata a cadenza settimanale, sono i punti che l’UCI assegna a ogni squadra sulla base dei risultati ottenuti da quelli che, in ogni stagione, sono stati i loro migliori dieci corridori. I punti sono in ogni corsa di un giorno e in ogni giorno di ogni corsa a tappe, per chi vince e per chi indossa determinate maglie, ma anche per chi ottiene semplicemente un buon piazzamento.

Avere in squadra il corridore che vince il Tour de France vale mille punti, più di ogni altra vittoria. E fin qui tutto bene. La faccenda si complica però se si vanno a guardare nel dettaglio come e dove sono assegnati gli altri punti. Risulta infatti piuttosto evidente come in molti casi, se l’obiettivo è fare più punti possibili, a certe squadre possa convenire che i loro corridori non puntino su corse importanti e che si dedichino invece a corse minori, dove la concorrenza è minore ma i punti assegnati comunque tanti. Oppure, per certe squadre può risultare conveniente in termini di classifica che i loro corridori decidano di accontentarsi di un piazzamento anziché puntare al primo posto rischiando però di “saltare”, uscire di classifica e non fare quindi punti.

(Marco Alpozzi / LaPresse)

Le critiche
Gran parte del dibattito sulle retrocessioni riguarda proprio il modo in cui questi punti si ottengono, e come la loro assegnazione influenza a cascata molte altre scelte e dinamiche.

«È diventato assurdo» ha scritto Carlos Arribas su El País: «Un quarto posto tra ciclisti sconosciuti in una sconosciuta corsa di un giorno in Canada è più ambito di un secondo posto nella tappa regina della Vuelta. I punti sono ovunque e non stanno nell’epica, nella storia o nel valore delle corse, ma nella testa di qualche annoiato burocrate».

Oltre a cercare di racimolare più punti possibili con atteggiamenti irrilevanti o talvolta perfino dannosi ai fini dello spettacolo, certe squadre si sono anche dovute mettere sulla difensiva. «Anziché correre per vincere — ha detto a VeloNews il direttore sportivo di una squadra World Tour — stiamo correndo per evitare che vincano i nostri rivali, e questo va contro tutto quello che dovrebbe essere il nostro sport». Un altro ha detto, sempre a VeloNews, che è come se nel calcio una squadra di Champions League decidesse, a metà stagione, di andare a giocare in Serie B perché lì può fare più gol, e poi potesse però usare quei gol per avere più punti nel suo girone di Champions League.

Una diffusa critica al sistema delle retrocessioni lo vede come un inutile tentativo di replicare il sistema europeo (quello con promozioni e retrocessioni, come nel calcio italiano) in quello che finora era invece stato un modello per molti tratti simile a quello americano (per esempio della NBA, in cui le squadre sono di fatto sempre le stesse e sapendo di non rischiare la retrocessione possono pensare in termini pluriennali).

Un’altra critica ancora vede questo sistema come un goffo tentativo di portare una dinamica stagionale nel ciclismo, uno sport che si è sempre basato sul susseguirsi di eventi tra loro slegati e autonomi. Il tutto finendo col rendere certe tattiche e dinamiche di corsa ancora più incomprensibili agli occhi di molti spettatori. Specie se si considera, come ha scritto Inrng, che le regole sull’assegnazione di questi punti sono «sparse in vari paragrafi di un PDF di duecento pagine che si annida nel sito dell’UCI».

(AP Photo/Thibault Camus)

La risposta
A parte l’UCI, è difficile trovare qualcuno fermamente convinto che questo sistema vada bene così com’è. Ci sono però alcuni commentatori che si dicono quantomeno indecisi e possibilisti sul fatto che, seppur da migliorare, un sistema di promozioni e retrocessioni possa far bene al ciclismo. Altri fanno notare inoltre come già ora questo sistema ha ottenuto due risultati: far parlare più del solito del “finale di stagione” e creare qualche interesse in più verso corse considerate di secondo livello. Ed è abbastanza oggettivo che le squadre considerate migliori siano ai primi posti e le peggiori agli ultimi: segno che i punti non sono proprio assegnati a caso.

Un ulteriore punto di vista è che a essere sbagliato non sia il sistema delle retrocessioni bensì quello del ciclismo, in cui anziché essere l’occasione per rimboccarsi le maniche e ripartire meglio, una retrocessione diventa per le squadre un rischio esistenziale.

C’è inoltre chi sottolinea che, a ben vedere, molte squadre sembrano essersi davvero accorte solo di recente, a pochi mesi dalla fine del triennio, di una regola votata e approvata anni fa sia dall’UCI che dagli enti che rappresentano squadre e corridori.

Visto il tanto discutere sulla questione, e dopo che qualcuno aveva parlato della possibilità di una sorta di sanatoria che allargasse il World Tour a venti squadre, il 9 settembre l’UCI ha pubblicato un comunicato per dire che considera «essenziale» che le regole non vengano cambiate in corsa. Per quanto la riguarda, insomma, al momento l’UCI non intende assegnare più di diciotto licenze per i prossimi tre anni.

E ora?
Passati i Mondiali in Australia – che si correvano in squadre nazionali ma durante i quali sono stati assegnati molti punti valevoli per le classifiche delle squadre World Tour – la più importante corsa ciclistica di fine stagione è il Giro di Lombardia, l’8 ottobre. Oltre e forse ancor più che a quello, le squadre ancora interessate dalla lotta per non retrocedere dal World Tour punteranno però a fare punti nelle tante altre corse minori che ancora restano in giro per il mondo. Solo dopo l’ultima – il Tour of Langkawi, in Malesia, dall’11 al 18 ottobre – ci sarà una classifica definitiva.

Tuttavia, non è detto che basterà quella per chiudere la questione. Adams, l’imprenditore miliardario che è proprietario della Israel-Premier Tech, ha già fatto sapere che qualora la sua squadra dovesse retrocedere, lui farebbe causa all’UCI, citando anche la pandemia e le complicazioni che ha comportato a squadre e corridori come “causa di forza maggiore” che ha compromesso parte dell’ultimo triennio (l’UCI intanto ha fatto sapere di non ritenere valide le argomentazioni di questo tipo). «A meno che non si raggiunga un accordo dell’ultima ora» ha scritto VeloNews «le cose rischiano di mettersi male».

Almeno per quest’anno, invece, nel ciclismo femminile – che si basa su un sistema simile a quello maschile – le cose sono più tranquille. In breve, perché le squadre devono ancora finire di occupare i posti disponibili al livello World Tour.