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  • Mercoledì 21 settembre 2022

I video delle eccezionali proteste in Iran contro il regime e la polizia religiosa

Mostrano tra le altre cose donne che bruciano i loro hijab in piazza, in reazione alla morte in carcere di Mahsa Amini

L'incendio di una motocicletta durante le proteste a Teheran (AP Photo)
L'incendio di una motocicletta durante le proteste a Teheran (AP Photo)
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In Iran vanno avanti da cinque giorni le proteste per la morte di Mahsa Amini, una donna di 22 anni morta in carcere il 16 settembre a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo. Le proteste, rivolte contro la polizia religiosa e contro il regime, stanno progressivamente crescendo di intensità e si stanno tenendo in diverse città del paese, anche lontano dalla capitale: sono considerate in un certo senso inedite ed eccezionali per l’Iran, il cui governo è controllato da un regime estremamente conservatore guidato da religiosi sciiti.

Uno dei gesti di protesta più ripetuti negli ultimi giorni nelle piazze e nelle strade iraniane è stato quello di bruciare lo hijab (velo islamico), ma si sono viste anche donne e uomini staccare manifesti con le immagini di Ruhollah Khomeini e Ali Khamenei, rispettivamente ex e attuale Guida suprema dell’Iran (la Guida suprema è la principale figura politica e religiosa del paese). In passato, e in particolare durante le grandi manifestazioni del 2017, alcune donne avevano protestato togliendosi polemicamente il velo in piazza, e prima lo avevano fatto pubblicamente sui social network: bruciarlo è però considerato un gesto inedito.

A Kerman, città 100 chilometri a sud di Teheran, una donna si è simbolicamente tagliata i capelli mentre la folla urlava «Morte al dittatore». Il taglio dei capelli, in segno di lutto e di protesta, è stato praticato anche da molte donne che poi hanno postato i video sui social media.

Alcuni giornalisti locali, fra cui Ershad Alijani di France24, hanno scritto che le manifestazioni si sono tenute anche in città estremamente conservatrici e non toccate da precedenti grosse proteste (quelle del 2009 e del 2019). Nella notte di martedì le piazze di Qom e Mashad, due “città sante” iraniane e centrali per la rivoluzione islamica del 1979, sono state sede di proteste di piazza, con cori contro la Repubblica Islamica e alcune macchine della polizia date alle fiamme.

Scene simili si sono viste anche sull’Isola di Kish, una delle principali destinazioni turistiche del paese e luogo di solito poco coinvolto in proteste politiche.

A Sari, sulla costa meridionale del Mar Caspio, il municipio è stato assaltato dai manifestanti che hanno rimosso le immagini di Khomeini e Khamenei dal palazzo.

Rispetto a diverse proteste del passato, concentrate su aspetti specifici come il caro vita, le manifestazioni attuali sembrano criticare l’intera struttura dello stato teocratico e i suoi maggiori rappresentanti: una cosa molto inusuale in un paese in cui il dissenso politico è punito con il carcere, o peggio.

Attualmente sarebbero almeno quindici le città coinvolte dalle proteste: nella provincia del Kurdistan iraniano, da dove proveniva Mahsa Amini, ma anche nel nord del paese, a Rasht, e a Isfahan.

Forte e particolarmente violenta è stata anche la reazione della polizia, che per fermare le manifestazioni è arrivata a sparare sulla folla uccidendo almeno cinque persone (ma potrebbero essere di più, dopo le violenze dell’ultima notte).

La televisione di stato iraniana sta raccontando le proteste nella zona del Kurdistan come azioni dei separatisti curdi per ottenere l’indipendenza, accusandoli di usare la morte di Mahsa Amini come «scusa». Vengono trasmesse immagini di auto della polizia e bandiere iraniane bruciate.