Dove sono più forti i grandi partiti

Il centrosinistra nelle grandi città e in certe zone delle ex "regioni rosse", la destra in gran parte del Nord e al Centro

L'annuale raduno della Lega a Pontida, in provincia di Bergamo, nel 1998 (DANIEL DAL ZENNARO / ANSA)
L'annuale raduno della Lega a Pontida, in provincia di Bergamo, nel 1998 (DANIEL DAL ZENNARO / ANSA)
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Negli ultimi anni la politica italiana è diventata sempre più fluida e sottoposta a cicli rapidissimi: i due partiti usciti vincitori dalle ultime elezioni nazionali del 2018 e del 2019, il M5S e la Lega, hanno perso gran parte dei propri consensi. Fino a tre anni fa il partito attualmente in cima ai sondaggi si aggirava fra il 4 e il 5 per cento. In mezzo a tutto questo, quasi tutti i principali partiti possono ancora contare su territori dove vanno molto forte, da sempre o da pochi anni: e su cui le segreterie fanno grandissimo affidamento per eleggere le persone che tengono di più a mandare in parlamento.

I partiti di sinistra e centrosinistra sono quelli che secondo gli istituti di sondaggi hanno a disposizione meno “roccaforti”, che nel gergo della politica indicano posti dove un certo partito o una certa coalizione è sicura di andare molto bene.

Un tempo erano tradizionalmente molto forti e radicati nelle cosiddette “regioni rosse” del Nord e Centro Italia. Secondo una stima del politologo Mario Caciagli, professore emerito di Scienze politiche all’università di Firenze, «andavano dal Veneto meridionale (la provincia di Rovigo) alla Toscana meridionale (la provincia di Grosseto), comprendendo l’intera Emilia-Romagna e le due province settentrionali delle Marche (Pesaro-Urbino e Ancona)».

Per gran parte del Novecento furono zone a vocazione agricola, piene di braccianti e mezzadri, in cui i sindacati di sinistra e il Partito Comunista Italiano (PCI) erano riusciti a penetrare instillando una forte consapevolezza di classe. Le amministrazioni del PCI riuscirono inoltre ad accompagnare questi posti nella difficile transizione da un’economia prevalentemente agricola a una rete di piccole e medie imprese organizzate in cooperative, di cui gli ex braccianti erano spesso soci, affiancate in alcuni casi da grandi industrie.

È un sistema che sopravvive ancora oggi soprattutto in alcune zone dell’Emilia. «Col tempo si è creato un sistema imprenditoriale, sociale e amministrativo che è sempre stato gestito dai partiti del centrosinistra, creando un senso di comunità e orgoglio nell’appartenere e sostenere questo schieramento», spiega Giuditta Pini, parlamentare uscente del Partito Democratico, ex segretaria provinciale della sezione giovanile del PD a Modena.

Fino a qualche anno fa circolava il rischio che un grosso pezzo di questo elettorato si sarebbe spostato a destra, non sentendosi più rappresentato dai partiti di sinistra che si sono succeduti al PCI dopo il suo scioglimento, nel 1991. L’uscita dalla classe operaia di migliaia di persone e il loro ingresso nella classe media ha fatto il resto. Diverse città della regione hanno da tempo sindaci di centrodestra, se non di estrema destra come nel caso di Ferrara. Il rischio che l’Emilia-Romagna non potesse più essere considerata una “regione rossa” era diventato molto concreto. Con la vittoria delle elezioni regionali in Emilia-Romagna del 2020 questo rischio è stato un po’ ridimensionato: il PD e i partiti alla sua sinistra hanno tenuto nelle principali città dell’Emilia – Bologna, Modena, Reggio Emilia – che quindi ancora oggi sono conteggiate dalla coalizione di centrosinistra come collegi “sicuri”.

Anche in Toscana sopravvivono alcune zone in cui il voto per i partiti di sinistra o centrosinistra non è in discussione, anche se col tempo si sono molto ridotte per ragioni simili a quanto successo in Emilia-Romagna. «Noi di Sesto Fiorentino siamo socialisti dall’Ottocento», spiega per esempio Gianni Gianassi, ex sindaco dal 2004 al 2014 di uno dei comuni più a sinistra di tutta Italia, appena a nord del centro di Firenze. «Abbiamo una lunga storia legata all’apertura di una delle prime grandi fabbriche in Toscana, poi all’antifascismo militante», spiega Gianassi.

Negli anni successivi il legame fra elettori e partiti del centrosinistra si è mantenuto, nonostante un progressivo spopolamento di partiti e sezioni, perché «qui abbiamo fatto meno errori dal punto di vista amministrativo, abbiamo accettato battaglie anche difficili e anteposto l’interesse della comunità a quello della nostra parte politica». Gianassi ricorda per esempio che da sindaco di Sesto partecipò alle manifestazioni organizzate dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) contro i tagli al bilancio degli enti locali imposti dal governo di Romano Prodi, sostenuto dal centrosinistra.

Oggi Sesto Fiorentino ha un sindaco eletto al primo mandato col solo sostegno della sinistra radicale, nel 2016, poi rieletto nel 2021 anche con i voti del PD. Alle elezioni del 2018, disastrose per il centrosinistra, nel collegio plurinominale di Sesto Fiorentino nessun partito di destra o centrodestra prese più del 13 per cento. Secondo Gianassi altri collegi che il centrosinistra può considerare abbastanza sicuri, in zona, sono quelli di Empoli e della “piana fiorentina”, la zona pianeggiante a nordovest di Firenze. L’Istituto Cattaneo dà per certa al centrosinistra anche la provincia di Livorno, altra città storicamente di sinistra che fra 2014 e 2019 è stata brevemente governata da un sindaco del M5S, Filippo Nogarin.

Gli altri collegi sicuri su cui può contare il centrosinistra si concentrano soprattutto nelle grandi città del Nord e Centro: Milano, Roma, Torino, Genova, Firenze, Napoli, dove la popolazione urbana da tempo si è spostata in prevalenza su posizioni progressiste. Tranne Genova, tutte queste città hanno eletto piuttosto agilmente sindaci di centrosinistra nell’ultima tornata delle elezioni amministrative.

Per quanto riguarda la destra, invece, i territori in cui va molto forte sono gli stessi da anni: tutto il Nord al di fuori delle grandi città, e le aree interne del Centro-Sud.

La mappa della collocazione politica dei collegi uninominali alla Camera (Istituto Cattaneo)

Secondo uno studio di YouTrend i tre collegi che tendono più a destra in assoluto sono quelli di Cassino-Terracina, nel basso Lazio, di Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, e di Villafranca di Verona.

Il basso Lazio, che va da Latina a Gaeta passando per Frosinone e Terracina, è un territorio tradizionalmente legato alla destra. Latina per esempio fu fondata dal regime fascista il 30 giugno 1932, novant’anni fa, col nome di Littoria dopo un’intensa opera di bonifica di tutta la zona del cosiddetto Agro pontino. Dopo la guerra Littoria cambiò nome e passò da poche migliaia di abitanti a decine di migliaia (oggi ne ha poco meno di 130mila). Il suo legame storico con il regime fascista in qualche forma ha resistito e i primi sindaci eletti direttamente in città provenivano in effetti dal Movimento Sociale Italiano, il partito che raccoglieva i nostalgici del regime.

Alle politiche del 2018 la leader di Fratelli d’Italia fu eletta alla Camera proprio nel collegio di Latina, dove peraltro ottenne anche uno dei suoi migliori risultati nazionali il partito neofascista CasaPound (fu votato da 3.327 persone, una su cinquanta). A questo giro la candidata della coalizione di destra è Chiara Colosimo, consigliera regionale di Fratelli d’Italia, un passato in Azione Studentesca, movimento politico universitario di ispirazione post fascista.

Anche Frosinone è storicamente un territorio di destra. La sua provincia, la cosiddetta Ciociaria, uscì molto impoverita e in grandissime difficoltà economiche dopo la Prima guerra mondiale. Il regime fascista creò la provincia di Frosinone staccando quei territori da quella di Caserta, avviò anche qui una serie di bonifiche e contribuì a creare una forte identità locale.

A Cassino, provincia di Frosinone, è nato Francesco Storace, uno dei principali leader della destra post fascista italiana e più volte parlamentare e ministro. A Fiuggi, sempre provincia di Frosinone, si tenne l’ultimo congresso del Movimento Sociale Italiano e la fondazione di Alleanza Nazionale col tentativo dell’allora segretario Gianfranco Fini di creare un partito di destra più moderno, atlantista ed europeista.

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Il discorso è molto diverso al Nord, dove la vicinanza ai partiti di destra è dovuta al legame fra i settori più produttivi dell’economia italiana e i politici più sensibili alle loro istanze: tradizionalmente, quelli di Lega, Forza Italia e solo di recente Fratelli d’Italia.

Forza Italia è tradizionalmente più forte in Lombardia: Milano è stata ed è tuttora la capitale dell’impero economico e mediatico del leader Silvio Berlusconi, che da qualche anno è anche proprietario della squadra di calcio del Monza, dopo esserlo stato per trent’anni del Milan. Nonostante quasi tutti i capoluoghi della Lombardia siano governati da sindaci di centrosinistra, le aree interne tendono a destra in maniera così schiacciante che ormai da trent’anni la presidenza della Regione non è di fatto contendibile e viene sempre vinta dalla destra.

Lombardia e Veneto sono tradizionalmente le regioni in cui è più radicata la Lega, che peraltro esprime entrambi i presidenti di Regione. In Veneto il centrosinistra è presente quasi solo nelle grandi città: le province votano sistematicamente a destra. Alle elezioni europee del 2019 in Veneto quasi un elettore su due, precisamente il 49,88 per cento, votò per la Lega. Oggi il partito è molto in difficoltà sia in Lombardia che in Veneto, ma i voti dei suoi elettori storici non sono andati lontano: secondo fonti interne al partito e osservatori esterni finiranno soprattutto a Fratelli d’Italia. La destra manterrà quindi un saldo controllo di questi territori, così come succederà probabilmente in Piemonte.

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Fino a pochi anni fa invece il Movimento 5 Stelle sembrava poter diventare il partito egemone al Sud: alle elezioni politiche del 2018 ottenne percentuali altissime. In Sicilia ottenne più seggi del numero di persone che aveva candidato, in Puglia, Basilicata e Calabria ottenne più del 40 per cento dei voti eleggendo decine di parlamentari. Negli anni però quel consenso si è sbriciolato: secondo le analisi degli istituti di sondaggi in tutti questi territori il partito dovrebbe ottenere percentuali in linea o inferiori sia alla coalizione di sinistra sia a quella di destra.