Una città costruita dove c’erano le paludi

90 anni fa fu posata la prima pietra di Littoria, oggi Latina, dopo complicate bonifiche e con la contrarietà iniziale di Mussolini

Littoria nel 1934 (Wikimedia Commons)
Littoria nel 1934 (Wikimedia Commons)
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Il 30 giugno 1932, novant’anni fa, Valentino Orsolini Cencelli posò la prima pietra della città di Littoria. Orsolini Cencelli era commissario all’Opera nazionale per i combattenti, un ente assistenziale creato dopo la Prima guerra mondiale, e seguì le bonifiche delle paludi laziali che avevano lo scopo di recuperare le terre per darle poi a contadini e reduci di guerra. Il nome di Littoria, oggi Latina, richiamava il fascio littorio, simbolo del regime fascista e molto prima di potere nell’antica Roma. Il nome dell’odierna Latina invece deriva dal popolo dei Latini che abitò la pianura pontina, dove fondarono la città di Satricum.

La posa della prima pietra fu accompagnata da una cerimonia molto partecipata che ricevette grandi attenzioni sia sulla stampa italiana che su quella estera, ma il dittatore e capo del governo Benito Mussolini si rifiutò di partecipare: aveva dato l’assenso alla costruzione di una nuova città solamente perché, poche settimane prima, aveva scoperto che i lavori preliminari per le fondamenta erano già in stato avanzato. Non era però d’accordo su alcuni aspetti del progetto, e avrebbe preferito che Littoria diventasse un borgo agricolo.

Orsolini Cencelli invece riteneva che la fondazione di una vera e propria città avrebbe dato lustro al regime fascista, e riuscì infine a convincere Mussolini dopo animate discussioni che rischiarono di far saltare tutto. Ad aprile Mussolini visitò il cantiere e approvò il numero di edifici previsti dal progetto di Orsolini Cencelli.

L’attenzione e gli entusiasmi intorno a Littoria irritarono Mussolini, almeno in una prima fase. Ai giornali italiani, che il giorno prima della posa della prima pietra avevano dato ampio risalto all’evento, venne ordinato di non trattare più la notizia nei giorni seguenti, mentre gli organi di stampa francesi e anglofoni continuarono a interessarsene. In particolare in Francia ritenevano di particolare interesse la politica di sfruttamento e riqualificazione dei terreni disabitati e incolti portata avanti dal regime fascista.

Dopo qualche tempo comunque Mussolini cambiò idea e cominciò a vederla come Orsolini Cencelli. Quando una parte dei lavori venne ultimata e la città venne inaugurata, il 18 dicembre 1932, Mussolini presenziò personalmente la cerimonia, parlando dal balcone del comune appena costruito e annunciando che sarebbero state costruite altre città nell’Agro romano e pontino: Pomezia, Sabaudia, Aprilia e Pontinia.


Oggi la pianura pontina è una vasta area a sudest di Roma discretamente urbanizzata, ma un tempo era invasa dalle paludi e disabitata per via dell’acqua stagnante e della massiccia presenza di zanzare portatrici di malaria. Nel 1927 il geografo Roberto Almagià la descriveva così:

Lungo la costa, dalla Torre d’Astura al Circeo, una serie di laghi allungati, dalle forme frastagliate e strane, chiusi verso il mare dai tumoleti, lunghi cordoni di dune sabbiose […]. Alle spalle di questa fascia costiera, un ripiano, alto da 20 a 40 metri, prodotto forse da una recente emersione, che a nord si salda alle estreme appendici dei Colli Laziali, mentre a sud si distende fino al Circeo, e, coperto in gran parte di boschi e di macchia, forma la parte meno accessibile, ma non certo la meno interessante per chi abbia il coraggio di penetrarla. […] Tra questo ripiano e i Lepini, che si levan ripidissimi coi loro dossi di calcare scabro e calvo, è la parte più depressa dell’Agro pontino, la palude vera e propria […] che fino oltre la metà del secolo XVIII era in gran parte coperta dalle acque ristagnanti, la palude pestifera, pel cui risanamento da secoli e secoli tante energie si consumarono, tante iniziative sorsero e caddero infrante di un subito, oppur si spensero a poco a poco come esauste da una lotta impari contro un nemico gigantesco.

L’idea di recuperare il territorio delle pianure pontine venne messa in pratica con la cosiddetta “legge Mussolini” del 1928 sulle bonifiche da fare in tutta Italia, con cui il regime iniziò quella che all’epoca veniva definita a scopo propagandistico la «guerra alle acque». L’obiettivo di Mussolini era di bonificare 8 milioni di ettari di terreni paludosi, circa un terzo di quelli presenti nel paese, ma a metà degli anni Trenta il governo si disse soddisfatto di aver raggiunto la metà dell’obiettivo iniziale.

In realtà, come racconta lo storico Francesco Filippi nel suo libro Mussolini ha fatto anche cose buone, la metà dei quattro milioni di ettari di bonifiche annunciati dal governo era da ricondurre a progetti avviati dai governi liberali dei primi due decenni del Novecento, prima dell’ascesa al potere di Mussolini. Inoltre altri 1,4 milioni di ettari erano conteggiati sulla base di progetti che erano appena avviati o ancora sulla carta. Una stima storicamente più accurata dell’estensione dei terreni bonificati dal regime fascista, quindi, si aggira più o meno sui 600mila ettari.

Circa 77mila di questi ettari bonificati facevano parte proprio dell’Agro pontino. Lì il regime fascista portò a compimento un processo che era stato avviato già in epoca medievale e portato avanti, con ritmi e successi alterni, dai papi dei secoli successivi. Si interessò all’area anche Leonardo Da Vinci: esiste un suo manoscritto con una mappa dell’Agro pontino e un disegno delle due opere idrauliche che si sarebbero dovute fare per la bonifica di una parte della zona. Fino al 1870, secondo il Consorzio di bonifica dell’Agro pontino, erano stati bonificati già circa diecimila ettari di palude, e altri settemila si allagavano solo in inverno.

Le depressioni del terreno maggiori, che avevano creato una gran quantità di acquitrini stagnanti, erano proprio nella zona dove oggi sorgono Latina, Sabaudia e Aprilia. Queste specie di piscine putride potevano essere profonde anche fino a 10 metri, cosa che rendeva l’opera di bonifica particolarmente complessa: come si legge sul sito del comune di Latina, «furono utilizzate 18 grandi idrovore, costruiti o riattivati 16.165 chilometri di canali, aperti 1.360 chilometri di strade, edificate 3.040 case coloniche e perforati 4.500 pozzi freatici o artesiani».


Le città nuove costruite nella pianura bonificata rientrano nella definizione di “città di fondazione”, cioè insediamenti urbani nati non spontaneamente ma per volontà politica, e hanno caratteristiche molto simili. Nel caso di Latina il progetto architettonico fu realizzato secondo i dettami del razionalismo in voga all’epoca e venne affidato a Oriolo Frezzotti, già autore di diversi progetti a Roma. Ma anche le altre città seguono lo stesso stile e la stessa struttura, caratterizzata dalla presenza delle torri dei tre edifici più importanti: il comune, la chiesa e quella che un tempo era la Casa del fascio, ossia la sede locale del Partito nazionale fascista.

Dopo la guerra, Littoria cambiò nome e passò da poche migliaia di abitanti a decine di migliaia (oggi ne ha poco meno di 130mila). Il suo legame storico con il regime fascista in qualche forma persiste, secondo molti, e i primi sindaci eletti direttamente in città provenivano in effetti dal Movimento Sociale Italiano. Nel 2016 vinse però Damiano Coletta, indipendente di centrosinistra, riconfermato l’anno scorso e tuttora sindaco.

Si trovano tracce del passato ancora più evidenti camminando per la città: sotto la torre del comune con l’orologio, per esempio, c’è una targa in pietra che riprende quella posta il giorno dell’inaugurazione di Littoria, poi tolta nel Dopoguerra. La targa venne messa lì nel 1999 quando era sindaco della città Ajmone Finestra, che in gioventù aveva aderito alla Repubblica di Salò. La targa recita:

I contadini ed i rurali / debbono guardare / a questa torre che domina la pianura / e che è un simbolo della potenza fascista / convergendo verso di essa / troveranno quando occorra / aiuto e giustizia / Mussolini

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