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  • Venerdì 9 settembre 2022

I cactus non sono tutti uguali

Alcuni producono mescalina, una sostanza psichedelica, e Michael Pollan li ha raccontati nel suo nuovo libro "Piante che cambiano la mente"

Un cactus di San Pedro (Wikimedia Commons)
Un cactus di San Pedro (Wikimedia Commons)
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Michael Pollan è un esperto giornalista scientifico statunitense che nel corso della sua carriera ha scritto vari libri di successo sul cibo e la nutrizione. Negli ultimi anni però si è interessato a un modo di utilizzare certi vegetali che non c’entra con l’alimentazione: l’assunzione di sostanze psicoattive, più comunemente chiamate “droghe”. Dopo Come cambiare la tua mente (2019), dedicato alla storia degli psichedelici e alle più recenti ricerche che potrebbero portare a un loro uso in campo medico, è appena uscito in italiano Piante che cambiano la mente. Oppio, caffeina, mescalina che racconta più nello specifico delle tre sostanze citate nel sottotitolo (e delle esperienze personali di Pollan in merito).

Pubblichiamo un estratto della parte dedicata alla mescalina, la meno conosciuta delle tre: è uno psichedelico che viene prodotto da alcune piante grasse, tra cui una specie di cactus che a un certo punto Pollan ha scoperto di avere nel proprio giardino, senza saperlo.

***

Ed era proprio così: a quanto pare, non solo il San Pedro cresce in tutta Berkeley, ma per un fortunato caso, un esemplare del cactus cresce da diversi anni nel mio giardino, senza che il sottoscritto ne avesse la minima idea. Questo perché la persona che me ne diede una talea diversi anni fa non lo chiamò San Pedro. Lo chiamò con il suo nome quechua, wachuma.

Figlio di vecchi amici, Willee si era recato in Perù durante un anno di pausa dagli studi e lì si era imbattuto nel mondo dello sciamanesimo e della medicina vegetale. Aveva piantato una mezza decina di wachuma nel giardino dei genitori, e quando andammo lì a cena diversi anni fa, mi diede una talea da portare a casa. Willee mi spiegò che il wachuma è una pianta medicinale sacra in Perù, ma all’epoca non riuscii a ricollegarlo alla mescalina (anche gli scienziati per molto tempo non ci erano riusciti: solo nel 1960 la mescalina venne identificata come l’alcaloide psicoattivo presente nel wachuma). Sono sempre felice di presentare al mio giardino una nuova pianta psicoattiva, così fui contento di averla. Willee mi informò anche che il mio cactus discendeva da una pianta propagata in origine da talee prelevate in cui facciamo la conoscenza dei cactus
nel giardino di Sasha Shulgin. Il mio nuovo cactus aveva un pedigree illustre.

San Pedro, appresi in seguito, è il nome cristiano del cactus wachuma, chiamato come il santo che custodisce le chiavi delle porte del paradiso. Il nome allude al potere della pianta e, al contempo, serviva a rabbonire gli spagnoli, che in quanto cattolici non potevano accettare l’idea di un sacramento alternativo, per di più un sacramento vegetale (la Chiesa nativa americana fece una mossa simile alcuni secoli dopo, quando adottò diversi elementi cristiani, come il fatto di definirsi Chiesa, nel timore che la nuova religione apparisse troppo apertamente pagana).

Piantai la talea di cinque centimetri in un vaso di terriccio per cactus, la mantenni umida per alcune settimane finché non mise le radici e poi, in tempi rapidi per un cactus, cominciò a crescere un trio di eleganti colonne di diverse altezze – un candelabro. La superficie era liscia, verde opaco con una leggera sfumatura bluastra. Le colonne (o « candele », come dicono i cactologi) sono suddivise in sei costole verticali, ciascuna punteggiata ogni pochi centimetri da un’areola dalla quale sporgono esattamente cinque spine corte e appuntite. Le costole verticali si incontrano in cima a ogni colonna formando una stella a sei punte. È un bel cactus, imponente e architettonico, un po’ come il modello in miniatura di un grattacielo alla Gaudí.

Iniziai a interessarmi molto più attivamente al mio cactus da quando appresi che è impegnato a trasformare la luce del sole in mescalina proprio nel giardino di casa mia. Ma non avevo nessuna idea di come passare da una cosa all’altra, dalla pianta a un composto psicoattivo ingeribile; e non sapevo neppure se il mio cactus fosse pronto per il raccolto.

Mi rivolsi a Keeper Trout, uno dei maggiori esperti mondiali del San Pedro. Ahimè, pare che questo non voglia dire molto, col che non intendo offendere: Keeper Trout probabilmente sarebbe il primo a essere d’accordo. Nessuno ne sa granché, sulla tassonomia o la botanica del San Pedro, un nome comune che potrebbe o meno riferirsi a quattro specie completamente diverse di cactus colonnari originari delle Ande: il Trichocereus pachanoi (che è generalmente accettato come San Pedro) e forse, in modo più dubbio, il T. bridgesii, il T. macrogonus e il T. peruvianus, conosciuto anche come la torcia peruviana. E poi ci sono gli innumerevoli incroci di queste specie, ibridi che intorbidano ulteriormente le acque tassonomiche.

Keeper Trout è l’autore di Trout’s Notes on San Pedro & Related Trichocereus Species, un titolo giustamente dimesso per un libro nella cui introduzione si legge questo avvertimento: «Riconosciamo che l’opera che avete tra le mani non ha alcun titolo di autorevolezza». E quest’altro:

Ci permettiamo inoltre di suggerire che, qualora i nostri lettori dovessero incontrare qualcuno che si considera un esperto di questo genere, o qualcuno che pretende di sapere che cosa differenzia, per esempio, un peruvianus con le spine corte da un pachanoi con le spine lunghe, la miglior linea di condotta da tenere probabilmente è annuire, manifestando una mancanza di volontà di discutere, e lasciarlo alle sue convinzioni.

Dopo aver passato una o due ore frustranti sul libro di Trout, sfogliando centinaia di foto in bianco e nero di cactus colonnari molto simili tra loro trovati nei luoghi più disparati, dagli altopiani boliviani ai giardini pubblici di Berkeley al reparto vivaio di un negozio Target, ebbi l’opportunità di « incontrare » Keeper Trout via Zoom. Sulla sessantina, magro e dall’aspetto un po’ scarmigliato, Keeper mi parlava da una casetta di legno rustica nei boschi fuori Mendocino. Non avrebbe potuto essere più generoso nel condividere le sue conoscenze e il suo entusiasmo per tutto il genere Trichocereus. Ma sebbene in passato mi sia capitato di addentrarmi in intricati e oscuri labirinti linneani con alcuni botanici, non mi ero mai sentito tanto confuso al termine di un’intervista come quando Keeper Trout si disconnesse e scomparve dal mio schermo. Gli appunti che presi sono un guazzabuglio di tassonomia controversa che non vedo la necessità di infliggere al lettore. Ma c’erano alcune perle intelligibili che gettano un po’ di luce, per quanto fioca, sui misteri del San Pedro.

La cosa più intrigante che mi raccontò Keeper Trout è questa: qualche tempo dopo che gli scienziati ebbero accertato che diverse specie di Trichocereus contenevano quantità apprezzabili di mescalina, un noto e ricco collezionista di cactus conosciuto solo come DZ cercò di accaparrarsi ogni esemplare conosciuto della pianta in Nord America. Perché?

«Per impedire ad altri di averle» disse Trout. La guerra alla droga infuriava e le piante psicoattive come il peyote erano tra i suoi bersagli. Secondo Trout, DZ voleva evitare che il San Pedro fosse «catalogato», ovvero aggiunto all’elenco ufficiale delle piante che è illegale possedere e coltivare. Pensava che se i giovani americani fossero venuti a sapere quant’era facile coltivare il San Pedro ed estrarne la mescalina, il governo avrebbe preso serie misure contro i cactus e i collezionisti non avrebbero più avuto accesso al genere Trichocereus.

«Quando mi imbarcai in questa storia verso la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta, » ricordò Trout «era quasi impossibile trovare un peruvianus o un macrogonus», perché DZ aveva monopolizzato il mercato. La strategia ha funzionato? Be’, fino a oggi il San Pedro non è stato catalogato; chiunque può coltivare questa pianta
produttrice di mescalina senza infrangere la legge.

Alla fine DZ perse interesse per i cactus; Trout seppe che era passato a collezionare cappelli da cowboy. DZ si sbarazzò della sua collezione, inondando il mercato e,
alla lunga, il paesaggio americano con ogni sorta di Trichocereus. Nel corso degli anni successivi, una catastrofica concomitanza di classificazioni inesatte, tassonomia approssimativa da parte dei cosiddetti esperti (meglio non affrontare l’argomento con Trout) e dilagante ibridazione ha contribuito alla confusione che ora circonda ciò che è e non è «San Pedro». Eppure questa confusione non è priva di vantaggi: se il governo volesse sradicare il San Pedro, dovrebbe prima specificare i nomi delle specie da rendere illegali (come ha fatto con il Papaver somniferum). Tuttavia, come collezionista, avevo sperato di poter identificare le specie che avevo nel mio giardino.

Copyright © 2021 by Judith Belzer And Michael Pollan 2014 Revocable Trust
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© 2022 Adelphi Edizioni S.p.A. Milano

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