Come funziona la par condicio

Nelle campagne elettorali entra in vigore una serie di complesse regole per garantire la pluralità dell'informazione, ma sono datate e spesso difficili da applicare

Il leader del M5S Giuseppe Conte. (Cecilia Fabiano /LaPresse)
Il leader del M5S Giuseppe Conte. (Cecilia Fabiano /LaPresse)
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Come succede in occasione di ogni elezione nazionale, in Italia si sta tornando in questi giorni a parlare della cosiddetta “par condicio”, l’insieme di complesse, datate e spesso criticate regole che garantisce la parità di accesso a determinati spazi nei mezzi di informazione alle varie formazioni politiche. Mercoledì l’AGCOM, uno dei due enti incaricati di applicarle, ha stabilito che un previsto confronto televisivo tra la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e il segretario del Partito Democratico Enrico Letta, fissato per il 22 settembre nella trasmissione di Rai 1 Porta a Porta, non potrà avere luogo nella forma concordata, proprio perché in violazione della par condicio.

Un unico confronto tra due soli leader politici, ha stabilito l’AGCOM, non rispetta infatti i principi della legge 28 del 2000, quella principale su cui si basa la par condicio, perché escluderebbe arbitrariamente i rappresentanti delle altre formazioni politiche. Il dibattito organizzato dal conduttore Bruno Vespa e concordato con Letta e Meloni «risulta non conforme ai principi di parità di trattamento e di imparzialità dell’informazione», dice il comunicato, perché la legge elettorale non permette in sostanza di individuare due liste o coalizioni principali.

Meloni e Letta erano evidentemente stati scelti perché sono i capi dei partiti più avanti nei sondaggi. Questo però non è un criterio contemplato dalla legge, che prevede che sia garantito lo stesso spazio a tutti i partiti in questo genere di trasmissioni, indipendentemente dal consenso.

Nei giorni dopo l’annuncio del dibattito, diversi altri leader politici avevano protestato per l’esclusione, in particolare Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle e Carlo Calenda del terzo polo, che infatti hanno festeggiato la decisione dell’AGCOM.

La decisione ha ravvivato il dibattito sulla par condicio, uno strumento che era stato introdotto nel 2000 in un contesto politico e mediatico molto diverso da quello attuale, e che da allora è stato poco aggiornato, motivo per cui risulta secondo molti obsoleto e da eliminare o sostituire. In realtà le regole puntuali su come i media devono gestire la comunicazione politica vengono pubblicate in occasione di ogni nuova elezione nazionale, anche se fanno riferimento sempre allo stesso vecchio impianto. Le decidono l’AGCOM per le emittenti radiotelevisive private, e la Commissione parlamentare di vigilanza per la Rai per le emittenti pubbliche.

La prima cosa da sapere è che la par condicio vale per i periodi di campagna elettorale e che si divide in sostanza in due parti principali.

La prima si riferisce a quella che la legge 28 del 2000 identifica come “comunicazione politica”: cioè i «programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche», come «tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazioni in contraddittorio di programmi politici, confronti, interviste e ogni altra trasmissione nella quale assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politiche».

I programmi che rientrano interamente in questa categoria in realtà sono pochi, anche se le concessionarie televisive nazionali pubbliche e private che trasmettono in chiaro li devono trasmettere per legge. Sulla Rai si chiamano generalmente tribune elettorali, e sono previsti dei criteri a cui devono rispondere. Per le emittenti private l’AGCOM non definisce quanti debbano essere i programmi e quanto debbano durare. Il tempo dedicato a ciascun partito, comunque, deve essere uguale per legge.

Ma la maggior parte dei programmi politici in realtà non rientra in questa categoria, e la ripartizione paritaria degli spazi non vale in questi termini per quelle trasmissioni dedicate «alla diffusione di notizie». Cioè di fatto quasi tutte le trasmissioni politiche, almeno secondo l’interpretazione più condivisa della legge, che le vincola però a essere riconducibili a una testata giornalistica regolarmente registrata.

La distinzione tra programmi di informazione e programmi di comunicazione politica comunque spesso è difficile da fare: un esempio sono gli stessi talk show, che sono in parte programmi in cui i politici fanno propaganda per i propri partiti, ma sono anche curati e gestiti da conduttori e giornalisti. Anche i telegiornali hanno una conformazione ibrida: ai servizi giornalistici sono sempre accompagnati spazi con interviste ai politici, che a volte sono più simili a piccoli comizi senza contraddittorio.

In ogni caso, ci sono regole diverse tra Rai ed emittenti private. Per i notiziari sulle reti pubbliche infatti è prevista «la presenza paritaria» dei partiti. Per le emittenti private sono previste solo più generiche raccomandazioni di imparzialità, pluralità e obiettività ma non viene previsto che tutti i partiti, anche i più piccoli, abbiano gli stessi spazi. Dice l’ultima versione delle regole dell’AGCOM che queste trasmissioni:

Si conformano con particolare rigore ai principi di tutela del pluralismo, dell’imparzialità, dell’indipendenza, dell’obiettività, dell’equilibrata rappresentanza di genere e dell’apertura alle diverse forze politiche assicurando all’elettorato la più ampia informazione sui temi e sulle modalità di svolgimento della campagna elettorale, evitando di determinare, anche indirettamente, situazioni di vantaggio o svantaggio per determinate forze politiche.

Un punto della legge vieta, durante le elezioni, di «fornire, anche in forma indiretta, indicazioni di voto o manifestare le proprie preferenze di voto». È evidente però che, nel caso delle indicazioni indirette, le eventuali infrazioni sono spesso difficili da individuare.

Dato che queste norme riguardano la libertà di cronaca e di espressione dei giornalisti, sono applicate con grande prudenza: «fermo il rispetto della libertà editoriale di ciascuna testata, i direttori, i conduttori, i giornalisti e i registi devono orientare la loro attività al rispetto dell’imparzialità» dice la normativa. In un altro passaggio, si fa riferimento al fatto che «resta salva per l’emittente la libertà di commento e di critica che, in chiara distinzione tra informazione e opinione, salvaguardi comunque il rispetto della persona». Un altro articolo dice:

Qualora il format della trasmissione preveda interventi a sostegno di una tesi rilevante ai fini dell’agenda politica, è necessario garantire uno spazio adeguato anche alla rappresentazione di punti di vista alternativi sugli stessi temi allo scopo di assicurare la completezza e l’imparzialità dell’informazione.

In linea generale, l’AGCOM interviene solo in caso di violazioni plateali, e spesso con semplici richiami a rispettare la legge. Gli eventuali provvedimenti di questo tipo arrivano generalmente dopo segnalazioni, che di solito sono fatte dalle parti politiche che si sono ritenute penalizzate da determinati programmi e conduttori.

A introdurre la legge sulla par condicio fu il governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema. Fu pensata per limitare il potere mediatico di Silvio Berlusconi, all’epoca leader del centrodestra, in possesso di un agglomerato mediatico che comprendeva, oltre a diversi giornali, le reti televisive Mediaset. L’espressione, che in latino significa “uguale condizione”, l’aveva introdotta qualche anno prima il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, auspicando proprio una legge che lui riteneva una «condizione vitale per uno Stato democratico», in riferimento al conflitto di interesse di Berlusconi.

Concretamente, la legge prevede due funzionamenti diversi per il periodo che va dalla convocazione delle elezioni al giorno del voto.

Nella prima parte della campagna elettorale, quella che finisce alla consegna delle liste che si presenteranno alle elezioni, a dover avere parità di accesso agli spazi politici in tv e in radio sono le formazioni politiche che costituivano un gruppo parlamentare alla Camera o al Senato, quelle che hanno almeno due rappresentanti al Parlamento Europeo, o quelle che rappresentano in parlamento una minoranza linguistica (è prevista una rappresentanza anche per le componenti del Gruppo Misto).

Dopo la presentazione delle liste dei candidati, sono tutelate dalla par condicio le forze che si presentano in abbastanza collegi da interessare almeno un quarto del corpo elettorale. Questi criteri servono a stabilire dei limiti, escludendo le forze politiche molto piccole o che non sono nemmeno virtualmente votabili per la maggioranza della popolazione.

La legge regola anche altro, per esempio la trasmissione degli spot elettorali, che in Italia però, proprio per come sono regolati, di fatto non esistono. La parte centrale comunque è quella che riguarda l’accesso agli spazi televisivi per i vari partiti, come ha dimostrato la questione del dibattito tra Letta e Meloni. Le redazioni dei programmi delle televisioni e delle radio riconducibili alla “comunicazione politica” devono insomma garantire lo stesso spazio a tutte le forze politiche, in modo che i loro candidati possano esporre i programmi e fare propaganda in vista delle elezioni. E gli autori dei programmi che non sono tecnicamente di “comunicazione politica”, cioè quasi tutti, devono principalmente cercare di non sbilanciarsi troppo, di evitare insomma quelle infrazioni plateali che possono provocare una protesta, una segnalazione e infine un richiamo.

Alcune multe negli anni ci sono state: durante la campagna elettorale del 2008 per esempio l’AGCOM multò per 100mila euro il TG4, nel 2011 fu la volta di TG1 e di nuovo di TG4 per oltre 250mila euro, mentre multe di 100mila euro furono fatte al TG2, TG5 e Studio Aperto. Sono comunque piuttosto rare, e sono molto più frequenti i semplici richiami, che spesso arrivano dopo lamentele e proteste specifiche di politici e partiti.

Nel primo mese di questa campagna elettorale, la Rai ha ricevuto un richiamo, per la rassegna stampa del TG1 del 3 agosto, nella quale la conduttrice Elisa Anzaldo e il condirettore del Corriere dello Sport Alessandro Barbano avevano fatto una battuta su Meloni, scherzando sul fatto che il suo cambio di fede calcistica non fosse il suo «peccato peggiore». Insieme all’intervento sul dibattito tra Letta e Meloni, quello è stato finora l’unico richiamo puntuale dell’AGCOM.

Ogni due settimane, l’AGCOM pubblica un dettagliatissimo resoconto delle analisi svolte sui telegiornali di tutti i principali canali tv e radio, in cui viene misurato al secondo il tempo concesso ai vari partiti, diviso per “tempo di parola”, cioè quello in cui parlano direttamente i politici, e in “tempo di notizia”, in cui cioè è un giornalista a parlare di un partito. Il rapporto illustra anche altri dati interessanti, come il tempo di parola attribuito dai tg ai vari partiti diviso per il genere dei politici coinvolti (ovviamente i maschi sono quasi sempre la stragrande maggioranza).

Sulla base del resoconto per il periodo dal 3 al 20 agosto, che ha evidenziato grandi disparità di tempo riservato ai partiti, l’AGCOM ha pubblicato un richiamo generico a tutte le emittenti. Era successo lo stesso in occasione della rilevazione precedente, dal 21 luglio al 2 agosto.

In tutti i programmi che non sono spot elettorali, comunicazioni politiche o di informazione, la legge vieta infine la presenza di candidati alle elezioni o di esponenti politici in senso lato, e proibisce di parlare di «vicende o fatti personali di personaggi politici». Per i programmi Rai c’è anche il divieto di parlare di «temi di evidente rilevanza elettorale».

La par condicio viene criticata per diversi motivi. Uno è che i quattro componenti del consiglio dell’AGCOM sono nominati dal parlamento (il presidente lo scelgono invece il presidente del Consiglio e il ministro dello Sviluppo economico) e i membri della Commissione di vigilanza sulla Rai sono parlamentari, e questo rende ovviamente le due autorità di garanzia indirettamente o direttamente legate alla politica. L’indipendenza e l’imparzialità dell’AGCOM sono state spesso messe in discussione, mentre la Commissione è per sua natura un organo politico.

L’altra grande critica alla par condicio riguarda il fatto che non contempla internet, che oggi è uno degli spazi principali, se non il principale, in cui avvengono le campagne elettorali. Nel 2000 il problema nemmeno si poneva, mentre oggi i regolamenti aggiornati sulla par condicio contengono delle appendici sui social network e sulle piattaforme di condivisione di video, che però sono praticamente una formalità. Dicono infatti che sono tenuti ad assumere «ogni utile iniziativa volta ad assicurare il rispetto dei principi di tutela del pluralismo della libertà di espressione, dell’imparzialità, indipendenza e obiettività dell’informazione», e che devono contrastare «i fenomeni di disinformazione».