Quel pomeriggio di quel giorno da cani di 50 anni fa

La storia della rapina che ispirò il celebre film di Sidney Lumet e che è per certi versi anche una storia d'amore

(AP Photo)
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Il 22 agosto 1972, cinquant’anni fa, era un martedì e a New York faceva molto caldo. Intorno alle tre del pomeriggio, la filiale di Brooklyn della Chase Manhattan Bank stava chiudendo, e una guardia giurata in uniforme ma senza pistola stava iniziando a chiudere le porte, mentre dentro la banca rimanevano gli ultimi clienti. Tra loro c’erano il 27enne reduce del Vietnam John Wojtowicz e il 18enne Salvatore Naturale, detto Sal.

I due si presentarono allo sportello con l’intenzione di rapinare la banca e Naturale puntò la pistola contro il direttore. Fu l’inizio di una famosissima e tragica rapina, peraltro raccontata in Quel pomeriggio di un giorno da cani, film del 1975 di Sidney Lumet, con Al Pacino che fa Wojtowicz (il cui nome nel film fu cambiato in Wortzik) e John Cazale che fa Naturale. Il film era stato a sua volta tratto da un articolo pubblicato dalla rivista LIFE e intitolato The Boys in the Bank.

Il piano di Wojtowicz e Naturale era semplice, essenziale: prendere il denaro e scappare il più in fretta possibile, chiudendo i dipendenti nella banca. Ma a causa di una telefonata di routine fatta da un dirigente di un’altra filiale della Chase Manhattan Bank, la polizia arrivò molto prima del previsto. Grazie a quella telefonata, infatti, il direttore della filiale di Brooklyn riuscì a far capire al suo interlocutore, pur senza dirglielo direttamente, che qualcosa stava andando storto.

Oltre a poliziotti e agenti dell’FBI, in poco tempo attorno alla banca dalla quale Wojtowicz e Naturale non avevano fatto in tempo a fuggire arrivarono anche curiosi e cronisti, e successe un po’ di tutto.

Wojtowicz uscì diverse volte sulla porta della filiale, mentre Naturale rimaneva all’interno a tenere sotto tiro il direttore della filiale e i pochi altri impiegati della banca, per la maggior parte donne. Disse, tra le altre cose, «ce ne stavamo andando, quando è arrivata una stupida macchina della polizia»: una frase che fu trasmessa in diretta dalle radio e dalle televisioni.

(AP Photo/Dave Pickoff)

Nelle sue uscite, fatte per mediare con gli agenti, Wojtowicz fu più volte ripreso e fotografato. Quando arrivò un fattorino per consegnare delle pizze ai rapinatori e agli ostaggi, Wojtowicz lo pagò gettando circa duemila dollari (pari a circa 12mila dollari di oggi) fuori dalla porta della banca.

In un’altra occasione Wojtowicz chiese, nella mediazione per il rilascio di un ostaggio, di poter vedere la sua compagna, che fu portata sul posto con indosso un camice del Kings County Hospital, dove era ricoverata a causa di un tentativo di suicidio. La compagna di Wojtowicz era una donna trans che avrebbe voluto sottoporsi a un intervento chirurgico per il cambio di sesso e soffriva di depressione per via della disforia di genere.

Chiedendo di vederla, Wojtowicz aveva detto: «Voglio che portino qui mia moglie [i due si erano sposati informalmente, con una cerimonia senza valore legale]. Il suo nome è Ernest Aron. È un uomo, sono gay» (questa parte della storia era rilevante per le motivazioni di Wojtowicz, come venne fuori successivamente).

Intanto, all’interno, dopo che l’FBI sembrò acconsentire alle richieste dei rapinatori (che tra le altre cose avevano chiesto un aereo), agli ostaggi fu fatta ascoltare per radio la partita di baseball tra i New York Mets e gli Houston Astros.

Dopo varie trattative, i rapinatori si diressero, a bordo di una limousine, accompagnati da sette ostaggi e scortati da una ventina di auto della polizia, verso l’aeroporto JFK. Fu durante quel trasferimento che l’FBI arrestò Wojtowicz e uccise Naturale.

Il convoglio di auto partì dalla filiale alle 4 del mattino del 23 agosto. Quando fu ucciso, Naturale si trovava insieme a un ostaggio, una donna di 48 anni, nell’ultima fila della limousine, che aveva 14 posti: quando la macchina si fermò vicino a una pista dell’aeroporto, l’agente dell’FBI alla guida si voltò e gli sparò, colpendolo al petto. La limousine venne circondata dagli agenti di polizia e gli ostaggi furono liberati.

John Wojtowicz il 23 agosto 1972 (AP Photo/Anthony Camerano)

Nel 1973 Wojtowicz fu condannato a venti anni di carcere. Ne scontò sette e fu liberato.

Nel dicembre del 1975, mentre ancora era nel carcere federale di massima sicurezza di Lewisburg, Pennsylvania, Wojtowicz scrisse una lunga lettera al New York Times in cui si lamentava di diverse cose a proposito del film, uscito nel settembre di quell’anno.

Per prima cosa, Wojtowicz diceva che era stato fatto un accordo con la produzione del film per avere una percentuale degli incassi e dei ricavi netti, ma che quella parte non gli era stata pagata. Wojtowicz passava poi a commentare il modo in cui le cose erano raccontate nel film, aggiungendo dettagli molto personali per spiegare meglio quelle che reputava sue mancanze (le maiuscole sono nell’originale).

La ragione principale per cui ho fatto quello che ho fatto il 22 e 23 agosto 1972 non è mai spiegata nel film, e voi spettatori siete invece lasciati con molte domande. Ho fatto quello che un uomo deve fare per salvare la vita di qualcuno che amavo parecchio. Il suo nome era Ernest Aron (ora noto come signora Liz Debbie Eden) ed era Gay. Voleva diventare una donna attraverso il procedimento del cambio di sesso e per questo era stato definito dai medici come sofferente di un Problema di Identità di Genere. Sentiva di essere una donna intrappolata nel corpo di un uomo. Questo gli causava indicibile dolore e problemi che gli causarono molti tentativi di suicidio.

Wojtowicz proseguiva raccontando la storia della sua relazione con Eden, che aveva conosciuto nel 1971, e accusava l’FBI di avere ucciso il suo complice anche se era già stato immobilizzato e non poteva nuocere, cosa che non veniva rappresentata adeguatamente nel film, «come succede in molte altre scene».

«Considero che il film sia vero solo al trenta per cento», scrisse Wojtowicz, aggiungendo diversi altri dettagli inesatti o inventati. La cosa che Wojtowicz trovava più falsa era “il sospetto” avanzato nel film che lui avesse stretto un qualche tipo di accordo con l’FBI per tradire il suo compagno in modo da potersela cavare.

Nonostante le proteste sull’inadeguato guadagno economico dal film, che andarono avanti per molti anni, Wojtowicz ottenne circa 7.500 dollari dai diritti del film. Ne investì almeno 2.500 per pagare l’operazione per il cambio di sesso di Eden.

Eden morì a 41 anni, nel 1987, mentre Wojtowicz, dopo aver vissuto a lungo con il sostegno della previdenza sociale a Brooklyn, morì nel 2006. Nei primi anni Duemila, con la sua collaborazione, vennero fatti due documentari sulla sua celebre rapina.

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Già poco dopo quella famosa rapina, e prima sia dell’articolo di LIFE che del film di Lumet, gli ostaggi dissero che i rapinatori li avevano trattati bene e presero le loro difese. Fu un caso di “sindrome di Stoccolma”, che deve però il suo nome a un’altra rapina, fatta nella capitale svedese il 23 agosto 1973, un anno e un giorno dopo “quel giorno da cani”.

A proposito, Quel pomeriggio di un giorno da cani è la traduzione del titolo inglese Dog Day Afternoon, che si sarebbe potuto tradurre con un meno efficace “Quel pomeriggio di un giorno di canicola”. In inglese, “dog days” si riferisce infatti ai giorni più caldi dell’anno, quelli che in italiano si chiamano “giorni di canicola”.

La parola italiana “canicola” viene dai diēs caniculārēs degli antichi romani, che duravano dal 23-24 luglio al 23-24 agosto, iniziando con il giorno in cui Sirio iniziava a sorgere insieme al Sole. Sirio è la stella più luminosa del cielo e fa parte della costellazione del Cane Maggiore, da cui il nome, e i “giorni del cane” erano considerati giorni di cattiva sorte per il caldo torrido mandato in terra da Sirio, nella mitologia greca e latina il cane del cacciatore Orione.