Perché in Italia si dona lo sperma anche su Facebook

Per molte donne single o lesbiche, ricorrere a vie informali e poco sicure può essere l'unico modo per avere un figlio

di Alessandra Pellegrini De Luca

Un campione di sperma in un laboratorio australiano (AP Photo/Wong Maye-E)
Un campione di sperma in un laboratorio australiano (AP Photo/Wong Maye-E)

In Italia chi vuole avere figli ma non riesce ad averli per via naturale può, in alcuni casi, ricorrere a centri e cliniche autorizzate che offrono trattamenti di procreazione assistita. Uno dei trattamenti possibili è quello che prevede la donazione esterna di gameti (le cellule riproduttive, spermatozoi o ovociti): si chiama “fecondazione eterologa”, in Italia è legale dal 2014 ed è soggetta a una serie di norme.

Eppure in Italia ci sono donne che non potendo avere figli naturalmente scelgono di ricorrere a metodi alternativi: tra questi, a gruppi sui social network, siti e forum in cui gli uomini si propongono per donare il proprio sperma all’infuori delle norme e delle tutele previste dalla legge. Molte donne lo fanno per via del divieto, ancora in vigore in Italia, di accedere alla fecondazione assistita per single o coppie omosessuali.

Online si trovano gli annunci di moltissimi uomini che sono principalmente in cerca di sesso, e si offrono quindi di avere rapporti non protetti con le donne interessate, e altri che dicono invece di essere realmente intenzionati a donare, proponendosi di farlo in modi che non prevedano intimità. Anche se potrebbero donare il proprio sperma legalmente e in modo più sicuro, spesso questa possibilità è poco conosciuta perché poco pubblicizzata dalle istituzioni, e sono perciò in molti tra donatori e riceventi a ricorrere ai diversi sistemi disponibili online per accordarsi privatamente e informalmente. Ma esistono rischi sanitari e legali per entrambe le parti.

Sono molte le pagine e i gruppi italiani che su Facebook raccolgono annunci di uomini che si propongono come donatori di sperma – come questo, questoquesto – o pagine gestite da singoli donatori, come questa. Spesso sono etichettate per area geografica, e possono essere aperte o chiuse, come questa. Ci sono anche siti appositi, come Co-Genitori, che esiste dal 2008 in più lingue e, benché sia strutturato principalmente come sito per incontrare persone interessate a condividere un progetto di co-genitorialità (cioè avere un figlio e prendersene cura insieme ma senza considerarsi una coppia), ospita di fatto anche inserzioni di uomini che vogliono donare lo sperma.

Gli aspiranti donatori hanno età molto diverse, e possono andare dai 20 agli oltre 50 anni. Alcuni di loro si propongono come donatori con “metodo naturale” – cioè, in altre parole, cercano rapporti sessuali – altri con “metodo artificiale”, cioè donando il proprio seme in un contenitore. In quest’ultimo caso può succedere che l’aspirante donatore e la ricevente si mettano in contatto online e si incontrino fisicamente in un luogo in cui l’uomo si possa appartare per eiaculare in una provetta. Poi viene consegnata alla donna, che si inietta il liquido seminale in modo autonomo.

Una donna che ha preferito restare anonima racconta che lei e la sua compagna stanno tentando di avere un figlio e incontrano lo stesso donatore ogni mese. Dice che la donazione avviene gratuitamente e in modo artificiale, e che ormai si conoscono: «spesso andiamo tutti e tre a bere qualcosa, anche se non sappiamo né il suo vero nome né dove abita, perché la sua famiglia non sa delle sue donazioni».

Luca (nome di fantasia), 30 anni di Milano, è un donatore di sperma online. Racconta di non avere mai voluto rivelare la sua identità prima, durante e dopo gli incontri con le riceventi, che ha sempre visto indossando un passamontagna: non vuole essere identificabile e rischiare di subire rivendicazioni legali future da parte dei nati. Luca dice che dona da circa due anni e che a lui si sono rivolte finora sei donne: tranne un caso, tutte donne single o coppie omosessuali.

Ci sono anche donatori che raccontano di non avere problemi a rendersi visibili: come Luigi (nome di fantasia), donatore di 46 anni di Bologna, che però ha aggiunto di non avere mai voluto fornire i propri dati anagrafici completi. Luigi dice di donare da oltre 10 anni, e che si sono rivolte a lui molte coppie, sia di donne omosessuali che coppie eterosessuali.

Luigi dice che sua moglie sa delle sue donazioni: «non condivide questa scelta, la sopporta». Luca, invece, spiega che la sua famiglia non sa nulla: ne è al corrente solo un suo caro amico, e lui, che è ancora single, ogni tanto teme che una futura compagna (a cui avrebbe piacere di dirlo) non accetti che lui è «uno che ha figli in giro».

Tra gli aspiranti donatori online c’è chi si offre di donare il proprio sperma a titolo completamente gratuito e chi chiede un rimborso spese per lo spostamento. Può anche succedere di trovare uomini che chiedano più o meno direttamente un compenso.

I donatori e le riceventi sentiti dal Post, che tranne in un caso hanno raccontato di aver fatto ricorso esclusivamente a inseminazioni artificiali, sostengono però di aver effettuato e ricevuto donazioni di sperma gratuitamente. Il contrario sarebbe un reato: la commercializzazione di gameti è vietata in tutta l’Unione Europea, e in Italia dall’articolo 12 della legge 40 del 2004, il testo di riferimento per la fecondazione assistita. Chi in qualsiasi forma realizzi, organizzi o pubblicizzi la vendita di gameti rischia di incorrere in multe di centinaia di migliaia di euro o nel carcere fino a due anni.

È impossibile avere dati precisi: le donazioni di sperma online non passano dai canali istituzionali, i quali sono monitorati e regolamentati. I gruppi Facebook hanno centinaia di utenti iscritti, mentre il sito Co-Genitori quasi 120mila. Il Post ha raccolto le storie di tre donatori e due riceventi: il loro racconto non è rappresentativo di questo fenomeno nel suo insieme, ma è abbastanza a farsi un’idea di alcuni dei motivi per cui esiste.

Moltissimi donatori online cercano sesso, come conferma anche uno di loro sentito dal Post che ha voluto rimanere anonimo. Altri sostengono di tenere in considerazione il valore sociale della donazione. Luigi, per esempio, dice: «Ho iniziato a donare una decina di anni fa, quando la fecondazione eterologa era ancora vietata, e ho continuato anche dopo: io considero la donazione di seme al pari di una donazione di sangue. Non mi costa nulla, ma è preziosa per chi la riceve». Anche Luca dice di essere mosso da motivazioni simili: «per me poter aiutare qualcuno in una cosa così grande ha un valore enorme».

Sugli aspiranti donatori le due donne che hanno raccontato la loro esperienza hanno avuto impressioni miste. Giulia (nome di fantasia), che si è rivolta al sito Co-Genitori come donna single, dice che quella delle donazioni online le sembra una realtà vastissima, in cui è difficile parlare di motivazioni comuni per tutti. La sua sensazione è che alcuni uomini vi si rivolgano perché non riescono ad avere figli con le mogli e le compagne, mentre sostiene che altri provino soddisfazione e realizzazione nel sapere di avere donato il proprio seme per procreare, pur non cercando alcun rapporto con la donna o col nato.

Giulia racconta anche che per lei l’interazione coi molti uomini in cerca di sesso è stata molto frustrante: «Ti senti dire che la donazione “al naturale” funziona meglio, che ha maggiori possibilità di riuscita, che “da una provetta non può nascere un figlio”: in quel momento tu sei molto fragile, sai che non puoi perdere tempo, e tutto questo è estremamente faticoso dal punto di vista psicologico», dice.

Donare online comporta rischi, per chi dona e per chi riceve. Anzitutto di tipo sanitario: «nelle cliniche autorizzate [qui c’è la lista completa] le donazioni di liquido seminale passano al vaglio di una serie di esami e screening prima dell’inseminazione: oltre alla qualità e alla quantità degli spermatozoi, vengono valutati alcuni aspetti medici essenziali, a tutela della salute di chi nascerà», spiega Laura Rienzi, biologa esperta in embriologia clinica e direttrice scientifica del gruppo GeneraLife.

«Oltre alla compatibilità dei gruppi sanguigni ci sono aspetti infettivi, legati all’eventuale presenza di infezioni virologiche, come ad esempio epatite o HIV, e genetici: si valuta che non ci siano mutazioni genetiche trasmissibili», dice Rienzi, che aggiunge che per fare queste verifiche oggi esistono tecnologie molto avanzate e affidabili. Nelle cliniche di PMA, tra l’altro, i dati necessari per la tracciabilità anche clinica delle donazioni devono essere conservati per almeno 30 anni. Online non esiste nessun obbligo né tutela di questo tipo, con rischi per la propria salute e per quella di chi eventualmente nasce.

Ci sono anche rischi legali. La legge 40 prevede che non ci sia nessun rapporto giuridico tra donatori e nati. Significa che il donatore non può rivendicare legami di parentela col nato, e che il nato non può, ad esempio, reclamare diritti sul patrimonio del donatore, cosa altrimenti fattibile dopo averlo scoperto magari con un semplice test del DNA. Sono tutti rischi a cui ci si espone invece con le donazioni informali, perché a differenza di quanto accade nei centri di procreazione assistita non è prevista alcuna tutela legale per evitarli. Per le coppie di donne che decidano di avere un figlio in questo modo, poi, può essere ancora più complicato ottenere il riconoscimento del legame di parentela con la madre non biologica.

Ci sono anche rischi per l’incolumità delle donne: casi di violenze sessuali subite da donne che avevano incontrato donatori trovati su internet sono stati raccontati in Male Order, un podcast di BBC sulle donazioni di sperma online nel Regno Unito e negli Stati Uniti.

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Al di là degli uomini che cercano rapporti sessuali, sembrano esserci almeno due fattori che in Italia incentivano l’esistenza delle donazioni di sperma online: uno riguarda le riceventi, uno i donatori.

Il divieto di accedere alle fecondazione assistita per le donne single e le coppie omosessuali è il primo. Il Post ha parlato con due donne che per avere un figlio hanno scelto di ricorrere alle donazioni online: una era una donna single, l’altra una donna lesbica unita civilmente a un’altra donna. In quest’ultimo caso, la donna che ha raccontato la sua esperienza ha detto che lei e la sua compagna si sono rivolte a una pagina Facebook dopo aver tentato di restare incinte andando all’estero, in Spagna, dato che in Italia non ne avevano diritto: «i tentativi non erano andati a buon fine, poi è arrivata la pandemia, all’estero non era più possibile andare, e su internet abbiamo cercato una scappatoia».

Il racconto dei donatori sembra confermare l’esistenza di altri casi simili. Luca dice di aver donato a sei donne: «due erano donne single e tre erano coppie lesbiche: solo una era una coppia eterosessuale». Luigi, che dice di donare da oltre dieci anni, fa invece una stima: «il 40 per cento delle donne a cui ho donato era in una coppia omosessuale», dice.

In Italia possono accedere alla fecondazione assistita solo le coppie eterosessuali, sposate o conviventi. «È uno dei motivi per cui esistono queste donazioni informali, assolutamente rischiose e tassativamente sconsigliate: quando c’è un divieto si sfocia nel clandestino, come in tanti altri casi», spiega il dottor Filippo Maria Ubaldi, direttore clinico dei centri Genera e presidente della Società italiana fertilità e sterilità (SIFES).

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L’altro problema è che in Italia, anche se la fecondazione eterologa è legale ormai da quasi 10 anni, c’è una pressoché totale assenza di informazione e sensibilizzazione sulla possibilità di donare i gameti, cioè sul gesto su cui si basa la fecondazione eterologa e che ne permette l’esistenza.

Dal 2014 a oggi, su scala nazionale, l’unica campagna informativa sulla possibilità di donare i gameti è stata realizzata dall’Associazione Luca Coscioni, che si oppone da molto tempo ai divieti contenuti nella legge 40. Ci sono state campagne locali, come quella della regione Emilia-Romagna, o di singoli enti, ma nulla da parte del ministero della Salute o dell’Istituto superiore di sanità.

La mancanza di informazione su come si può donare in modo sicuro traspare anche dalla testimonianza di Luca, che attribuisce la sua decisione di continuare a donare il proprio sperma online al fatto che in Italia non ci sono banche del seme per farlo in altro modo. In realtà non è così: «per donare il seme basta andare in un qualsiasi centro di PMA [i centri di PMA sono considerati banche di tessuti] e dire che si vuole donare: ci sono una serie di procedure mediche e sanitarie e si dona il campione», spiega il dottor Ubaldi, che tra le altre cita la banca del seme del Policlinico Umberto I di Roma. Questa è una lista dei centri di PMA in Italia.

Secondo alcuni l’assenza di informazione è dovuta anche all’avversione che ancora persiste nei confronti della procreazione assistita in Italia. Tra gli altri è di questo parere il dottor Ubaldi. «La fecondazione assistita, e ancora di più quella eterologa, viene ancora vista con sospetto, ed esistono coppie che la affrontano e spesso non lo dicono per vergogna», dice la dottoressa Giulia Scaravelli, responsabile del registro nazionale della PMA in Italia.

In Italia non è nemmeno previsto un rimborso spese per i donatori, come invece avviene in altri paesi europei. Secondo Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, andrebbe introdotto esattamente come avviene all’estero, anche perché ora, quando i centri italiani importano i gameti dall’estero (dove il rimborso è previsto), devono pagare il corrispettivo speso dai centri stranieri per il reperimento dei gameti.

In Italia, in altre parole, la donazione dei gameti non è né pubblicizzata né incoraggiata: esiste, perché la fecondazione eterologa è diventata legale dopo molte battaglie, ma è come se persistesse una certa resistenza a farla funzionare fino in fondo.

Una delle conseguenze è che in Italia ci sono pochissimi donatori, e che la maggior parte dei gameti deve essere importata dall’estero, con complicazioni burocratiche e costi. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità del 2019 dicono che sul totale dei trattamenti di eterologa fatti con donazione di seme, il 90,9 per cento era importato. E secondo l’ultimo rapporto annuale del Centro nazionale trapianti, dal 2015 al 2021, cioè in pratica l’intero periodo successivo alla legalizzazione della fecondazione eterologa, i donatori di spermatozoi in Italia sono stati appena 93.

Le donazioni di sperma online non sono comunque una cosa solo italiana: oltre che nel Regno Unito e negli Stati Uniti, sono state raccontate anche in Francia, dove a suo tempo era in vigore il divieto di accedere alla fecondazione assistita per donne single e coppie omosessuali (divieto poi rimosso). Recentemente un’università britannica ha avviato il più grosso studio mai commissionato finora sul fenomeno, che racchiude esperienze e storie molto diverse tra loro, e che almeno in Italia, tra divieti e disinteresse delle istituzioni, non sembra destinato a sparire a breve.

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