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  • Venerdì 12 agosto 2022

L’impero del calcio che ora controlla anche il Palermo

Il City Football Group gestisce 11 squadre nel mondo, grazie agli investimenti decennali della ricchissima proprietà degli Emirati Arabi Uniti

L'amministratore delegato del City Football Group Ferran Soriano e il presidente del Palermo Dario Mirri (Antonio Melita/Pacific Press via ZUMA Press Wire)
L'amministratore delegato del City Football Group Ferran Soriano e il presidente del Palermo Dario Mirri (Antonio Melita/Pacific Press via ZUMA Press Wire)

Il 4 luglio del 2022, per la prima volta nella storia, la quota di maggioranza di una società calcistica italiana è stata acquistata da un gruppo arabo. Il City Football Group, guidato dallo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan, ha infatti comprato l’80% delle quote del Palermo Football Club, la cui squadra è appena tornata in Serie B grazie alla vittoria dello scorso 12 giugno nella finale dei playoff della Serie C giocata contro il Padova.

Il restante 20% del Palermo è rimasto di proprietà dell’imprenditore siciliano Dario Mirri, che nel 2019 aveva vinto il bando indetto dal Comune per l’assegnazione del titolo sportivo del club. Il Palermo era infatti dovuto ripartire dalla Serie D dopo l’esclusione dalla B per inadempienze economiche e il fallimento della società, dichiarato dal tribunale a ottobre del 2019.

La squadra è entrata così nel complesso di proprietà del City Football Group, che al momento controlla undici squadre in tutto il mondo: il Manchester City campione d’Inghilterra è il club più importante ed è stato il primo ad essere acquistato dal ricchissimo gruppo degli Emirati Arabi Uniti nel 2008. L’affare fu realizzato allora attraverso la holding Abu Dhabi United Group di proprietà dello sceicco Mansour. L’anno scorso la società è passata sotto il controllo della Newton Investment and Development LLC, guidata sempre da Mansour, che negli Emirati Arabi Uniti è vice primo ministro dal 2004 e ministro degli Interni. La nuova holding dello sceicco possiede il 77,22% delle azioni del City Football Group, mentre la società americana Silver Lake Partners ha una quota del 14,54%, e quella cinese China Media Capital ha acquistato l’8,24% delle azioni.

I festeggiamenti per la promozione in Serie B del Palermo (ANSA / IGOR PETYX)

Mansour appartiene alla famiglia reale di Abu Dhabi e gestisce un patrimonio che è stimato in 19 miliardi di euro. Suo fratello Mohamed bin Zayed Al Nahyan è il presidente degli Emirati, e una delle sue mogli è la figlia del primo ministro Mohammed bin Rashid Al Maktoum. Mansour è inoltre il cugino dell’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al-Thani, che è il proprietario della squadra francese del Paris Saint-Germain.

Si tratta quindi di una grandissima potenza economica internazionale, che ha deciso di investire parte dei suoi fondi pressoché illimitati nel calcio, affidandoli a Mansour. Il progetto del City Football Group è nato nel 2013 e punta a creare una serie di squadre-satellite del Manchester City in tutti i continenti – al momento con la sola eccezione dell’Africa – dove poter scoprire nuovi giovani calciatori di talento, spostarli tra i vari club del gruppo per favorire la loro crescita fino a farli giocare nella squadra inglese, oppure valorizzarli nei campionati meno competitivi e rivenderli per aumentare i ricavi della holding.

Il Palermo è stato quindi individuato dalla società araba come l’occasione migliore per entrare nel calcio italiano. La squadra, stabilmente presente in Serie A tra il 2004 e il 2013, periodo in cui raggiunse tre quinti posti in campionato, una finale di Coppa Italia e partecipò più volte alla Coppa Uefa, ha infatti uno dei bacini d’utenza più grandi del Paese e attira nelle sue giovanili la maggioranza dei ragazzi di talento che vivono in Sicilia. La squadra porta inoltre il nome di una città conosciuta in tutto il mondo, specialmente nel mercato americano grazie ai tanti emigrati siciliani negli Stati Uniti e alle loro discendenze. Inoltre il Palermo era privo di debiti ed era stato messo in vendita a un prezzo piuttosto basso – 12 milioni di euro – se paragonato a quello di altri club italiani che hanno cambiato proprietà di recente.

Fabio Grosso del Palermo festeggia un gol contro la Roma nel 2004 (Newpress/Getty Images)

Nel 2020, per esempio, la Roma era stata venduta a un gruppo texano guidato da Dan Friedkin con una valutazione di 591 milioni di euro, dei quali solo 199 milioni erano stati versati al proprietario uscente James Pallotta, mentre il resto dei soldi era servito a coprire i debiti della società. Il fondo d’investimento americano RedBird ha invece valutato il Milan 1 miliardo e 200 milioni di euro e nelle prossime settimane firmerà la chiusura dell’operazione con il fondo Elliott, dopo aver battuto la concorrenza di Bahrain Investcorp, che poteva diventare la prima proprietà araba nel calcio italiano.

Un obiettivo che invece è stato raggiunto dal City Football Group, sbarcato a Palermo oltre mille anni dopo gli arabi che conquistarono la città nell’831, dominandola per oltre 200 anni fino all’arrivo dei Normanni nel 1072. La città ha preso l’attuale nome proprio grazie agli arabi che pronunciavano “Balarm” il nome latino “Panormus” (a sua volta derivato dal greco col significato di “grande porto”). La città si chiamò quindi “Balermus” durante l’era normanna fino all’attuale “Palermo”.

Ma i nuovi proprietari della squadra di calcio non hanno citato motivazioni storiche quando sono arrivati in città per spiegare il loro progetto. «Dovremo andare avanti passo dopo passo e lavorare tanto, con ambizione e rispetto della grande storia del Palermo. Questo sarà il nostro lavoro, pensiamo di poterlo fare. Il futuro del Palermo è al sicuro per i prossimi 25 anni. Sogniamo di portare subito la squadra in Serie A ma intanto pensiamo di consolidare la nostra presenza in Serie B» ha detto nel giorno della presentazione ufficiale della nuova proprietà Ferran Soriano, il manager spagnolo ingaggiato dagli arabi nel 2012.

Ex vicepresidente del Barcellona, Soriano ricopre oggi la carica di amministratore delegato sia nel Manchester City sia nel City Football Group, e darà il suo contributo anche per la gestione del Palermo. La presidenza del club è stata lasciata a Mirri, mentre Giovanni Gardini, che in passato ha lavorato nel calcio con l’Inter, la Lazio e il Verona, ha svolto il ruolo di mediatore nella trattativa con gli arabi ed è stato nominato direttore generale.

L’entusiasmo a Palermo per l’arrivo della nuova proprietà e per il ritorno in serie B è mostrato dagli oltre diecimila abbonamenti comprati dai tifosi per il campionato che inizierà nel prossimo weekend. Il City Football Group ha dovuto però risolvere subito un problema imprevisto. Il 27 luglio si sono infatti dimessi dai rispettivi incarichi l’allenatore Silvio Baldini e il direttore sportivo Renzo Castagnini, nel bel mezzo della preparazione estiva della squadra. Entrambi hanno espresso dei dubbi sulle prime mosse effettuate dalla nuova proprietà nel calciomercato, senza spiegare gli specifici motivi che li hanno convinti a lasciare la società.

«Sento di non essere parte del progetto della proprietà e non ci sono i presupposti per migliorare quello che abbiamo fatto lo scorso anno. Abbiamo vinto i playoff perché eravamo il gruppo più forte, ma ora il gruppo non c’è più. Il mio obiettivo era di portare la squadra in Serie A, ma le condizioni non mi consentono di farlo. Mi sono tolto un peso perché mi sarei sentito un fallito in caso di mancata promozione» ha detto Baldini.

Nella stessa conferenza stampa Castagnini ha aggiunto: «Abbiamo provato a fare un determinato tipo di lavoro senza riuscirci. Baldini non ha avuto rapporti diretti con il City Football Group, né io né lui ci siamo sentiti al centro del progetto. Il calciomercato l’ho fatto io insieme alla proprietà, ma non siamo riusciti a lavorare con lo stesso ardore dello scorso anno. A un certo punto abbiamo perso il gruppo e quella forza che ci ha portato ad ottenere il grandissimo risultato della promozione in Serie B. Quando ci siamo accorti di questo, abbiamo deciso di rassegnare le dimissioni».

Il Palermo è stato quindi costretto a cercare subito un altro allenatore e dopo aver valutato diversi candidati, tra cui l’ex calciatore Daniele De Rossi alla ricerca della prima esperienza su una panchina, ha scelto il più esperto Eugenio Corini che ha giocato nel Palermo dal 2003 al 2007 e lo aveva già allenato per pochi mesi tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. Come direttore sportivo ad interim è stato invece nominato Leandro Rinaudo. La società è ancora impegnata nel calciomercato: tra le prime operazioni concluse ci sono l’acquisto a titolo definitivo dalla Juventus dell’attaccante Matteo Brunori, già a Palermo lo scorso anno, e di alcuni promettenti giovani come Salvatore Elia dall’Atalanta e Matteo Stoppa dalla Sampdoria, tesserati entrambi con la formula del prestito.

Rispetto alla squadra che ha sconfitto il Padova nella finale dei playoff, hanno lasciato il Palermo il terzino francese Maxime Giron, passato al Crotone, il centrocampista Jacopo Dall’Oglio, che giocherà nell’Avellino, e il mediano ghanese Moses Odjer, acquistato dal Foggia. Al momento non sono arrivati giocatori da altre squadre controllate dagli arabi, ma è probabile che questo possa accadere in futuro.

Oltre al prezzo basso di acquisto e al potenziale del suo marchio, il Palermo presenta altre caratteristiche interessanti per un possibile sviluppo imprenditoriale. Prima dell’arrivo del City Football Group, la società ha presentato al Comune il progetto di un nuovo centro sportivo nella zona di Torretta e il Credito Sportivo si è dichiarato disponibile a finanziare la costruzione dell’impianto. Esiste inoltre un progetto già avviato per la ristrutturazione dello stadio “Renzo Barbera” di proprietà del Comune e che al momento può ospitare oltre 36.000 spettatori.

Il piano di Mansour di estendere i propri interessi nel calcio oltre al Manchester City era iniziato nel 2013, quando gli stessi arabi avevano fondato negli Stati Uniti il New York City Football Club, che dal 2015 ha iniziato a giocare nella Major League Soccer, la Serie A americana. La seconda squadra di New York – l’altra sono i New York Red Bulls – ha vinto il suo primo campionato nel 2021 e, oltre ad avere la parola “City” nel nome, indossa una maglietta con gli stessi colori del Manchester City (azzurro e bianco) e ha un logo che ricorda quello della “casa madre”.

Il Manchester City vincitore della Premier League 2021/2022 (Michael Regan/Getty Images)

Contestualmente alla fondazione del New York City FC venne costituito il City Football Group, nato da un’idea di Soriano e divenuto nel corso degli anni una società internazionale sempre più strutturata. Nella sede di Manchester lavorano centinaia di dipendenti, sul sito ufficiale si legge che l’ambizione del gruppo è «aumentare la partecipazione nel calcio dentro e fuori dal campo, trovare e sviluppare i migliori talenti calcistici e offrire un gioco emozionante e d’attacco».

La terza società acquistata dagli arabi fu il Melbourne Heart in Australia, successivamente rinominato Melbourne City, a gennaio del 2014: anche in questo caso, oltre al cambio del nome, i colori e il logo della squadra sono stati uniformati con quelli del Manchester City. Nella stagione 2020-21 c’è stata la prima vittoria del campionato australiano. Il modello fu poi portato anche in Asia: pochi mesi dopo l’acquisto del Melbourne, il City Football Group comprò gli Yokohama Marinos in Giappone, che hanno vinto il campionato nel 2019.

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Lo sceicco Mansour ci ha preso gusto e ha continuato a comprare squadre in giro per il mondo. Nell’aprile del 2017 ha firmato l’accordo con gli uruguaiani del Club Atletico Torque, ribattezzato nel 2020 Montevideo City Torque. Anche qui sono cambiati il logo e i colori della maglietta. Ma la vera svolta nell’espansione del gruppo è arrivata pochi mesi dopo, ad agosto, quando il City Football Group ha abbinato il suo nome a un’altra squadra europea, con una discreta tradizione nel calcio spagnolo: il Girona. Una scelta non casuale, visto che l’operazione ha previsto l’acquisto del 44,3% delle quote del club da parte degli arabi e una medesima percentuale di azioni è andata alla società Girona Football Club, guidata da Pere Guardiola, che è il fratello dell’allenatore del Manchester City Pep Guardiola. 

Nel 2019 gli arabi hanno comprato il Sichuan Jiuniu Football Club, che gioca nella seconda serie cinese, e il Mumbai City Football Club in India, dove appena due anni dopo ha vinto il suo primo campionato. Nel 2020 si sono concluse altre due operazioni di acquisto in Europa: il Lommel Sportkring (seconda serie belga) e il Troyes in Francia, promosso nella massima serie, la Ligue 1.

Un’ascesa globale senza ostacoli fino allo scorso marzo, quando i tifosi del Nac Breda nei Paesi Bassi si sono opposti all’ingresso degli arabi in società. Le proteste sono arrivate fino a Manchester, dove sono stati esposti degli striscioni all’esterno dello stadio Etihad: gli olandesi non volevano che la loro squadra diventasse una sorta di succursale del gruppo. La proprietà araba ha comunque utilizzato dei criteri diversi per i club comprati in Europa, dove la tradizione calcistica è più radicata: non è stato cambiato il nome delle squadre, tantomeno i colori sociali.

Nel corso degli anni il City Football Group ha ricevuto diverse critiche da parte delle organizzazioni che si occupano di diritti umani. In un recente rapporto Amnesty International ha evidenziato che gli Emirati Arabi Uniti limitano la libertà di espressione attraverso l’incarcerazione di persone che criticano pacificamente il governo, conducono processi ingiusti e lasciano in prigione i cittadini oltre il termine della pena detentiva. L’organizzazione ha inoltre rilevato che «le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini secondo la legge degli Emirati».

Amnesty International definisce “un lavaggio sportivo” le operazioni di acquisto di società di calcio da parte dei fondi sovrani di Paesi come gli Emirati Arabi Uniti o l’Arabia Saudita, che attraverso gli investimenti nello sport cercherebbero di ripulire la loro immagine internazionale. L’organizzazione ha descritto il Manchester City come «uno dei tentativi più sfacciati di lavare l’immagine profondamente offuscata di un Paese attraverso il fascino del calcio», avvertendo i tifosi inglesi che «il successo del club implica una stretta relazione con un Paese che fa affidamento sul lavoro dei migranti sfruttati e rinchiude in prigione i critici pacifici e i difensori dei diritti umani».

Nonostante le critiche, Mansour continua a portare avanti il suo progetto. Dopo l’affare fallito nei Paesi Bassi, lo sceicco Mansour ha raggiunto l’accordo con Mirri per il Palermo. L’operazione è stata chiusa subito dopo la promozione in Serie B, ritenuta condizione fondamentale per l’acquisto del club, che non cambierà nome e continuerà a giocare con la maglia tradizionale rosanero. I siciliani sono l’undicesima società acquistata dagli arabi, che partecipano come soci di minoranza anche alla gestione del Club Bolívar in Bolivia.

La curva del Palermo nel 2019 (Tullio M. Puglia/Getty Images for Lega B)

L’unica altra realtà nel mondo paragonabile al City Football Group è il progetto della Red Bull. I produttori della nota bevanda energetica sono infatti i proprietari del Lipsia in Germania, del Salisburgo in Austria, dei New York Red Bulls negli Stati Uniti e del Bragantino in Brasile, a cui è stato cambiato il nome in Red Bull Bragantino. In passato il gruppo austriaco, che gestisce anche la vincente squadra di Formula 1, aveva già fondato in Brasile la squadra Red Bull Brasil, diventato ora un club minore affiliato al Bragantino, mentre è fallito dopo sei anni il progetto che era stato avviato in Africa con il Red Bull Ghana. La Red Bull ha un obiettivo ulteriore: le squadre acquistate sono un veicolo di promozione pubblicitaria del marchio della bevanda nei vari angoli del mondo. 

La FIFA e la UEFA consentono agli imprenditori di possedere più di una società. L’unico vincolo, che vale per le coppe europee e per tutte le singole federazioni che organizzano i campionati, riguarda il divieto di partecipazione alla stessa competizione per due club controllati o gestiti dalla medesima proprietà. Un problema che finora non ha riguardato gli arabi del City Football Group mentre è stato affrontato dalla Red Bull nel 2017, quando Lipsia e Salisburgo si sono entrambe qualificate per l’Europa League. In quell’occasione, però, la UEFA aveva ritenuto che l’influenza diretta della Red Bull nel Salisburgo si fosse ridotta, grazie alla rimozione dal consiglio d’amministrazione del club di alcune persone coinvolte nella gestione del Lipsia. Inoltre è stato modificato l’accordo di sponsorizzazione di Red Bull per la società austriaca, in modo da renderlo compatibile con la norma che regola l’“integrità” delle competizioni della UEFA.

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