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  • Mercoledì 10 agosto 2022

Facebook ha dato alla polizia i messaggi privati di una ragazza riguardo a un aborto

È successo in Nebraska e ha creato vari timori su come le piattaforme digitali trattano i dati negli stati americani in cui l'aborto è illegale

(AP Photo/Jenny Kane, LaPresse)
(AP Photo/Jenny Kane, LaPresse)
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Meta, la società che controlla Facebook, ha permesso alla polizia del Nebraska di accedere ai messaggi privati tra una madre e una figlia in cui si parlava dell’aborto farmacologico compiuto da quest’ultima, che ha 17 anni. Entrambe sono accusate di alcuni reati, tra cui, per la madre, quello di aver procurato un aborto oltre le 20 settimane di gravidanza, illegale nello stato americano – come anche in Italia.

Il fatto che Meta abbia dato accesso a dati privati alla polizia, a prescindere dalle specificità di questo caso, ha riaperto un dibattito su come i dati digitali di donne e operatori sanitari potrebbero essere usati per incriminarli in relazione a casi di interruzioni volontarie di gravidanza negli stati americani in cui queste sono diventate illegali. Il tema era stato molto discusso dopo che a giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva eliminato il diritto all’aborto a livello federale, ribaltando la sentenza “Roe v. Wade” e di fatto rendendo le interruzioni di gravidanza illegali in più di dieci stati americani. Il presunto aborto di Celeste Burgess, la ragazza del Nebraska, precede la decisione della Corte Suprema (nel frattempo peraltro le leggi sull’aborto dello stato non sono cambiate), ma il coinvolgimento di Meta nelle indagini su di lei e sulla madre sembrano dare fondamento ai timori emersi negli ultimi mesi.

Un articolo di Vice ha spiegato nei dettagli la vicenda, a partire dalla documentazione presentata in tribunale dagli investigatori. Secondo la loro ricostruzione, Celeste Burgess e sua madre Jessica avrebbero acquistato online un farmaco per indurre un’interruzione di gravidanza, il Pregnot, che come la pillola RU486 contiene mifepristone.

Celeste, incinta di 28 settimane (cioè sette mesi), avrebbe assunto il farmaco e poi avrebbe partorito un feto morto. Lei e la madre, insieme a un uomo di 22 anni, avrebbero poi seppellito il feto. La polizia ha effettuato un’autopsia sui resti del feto per verificare che non fosse morto per asfissia: l’esame ha confermato che era nato morto. L’uomo che avrebbe aiutato le Burgess è accusato di aver cercato di nascondere la morte di un’altra persona, reato di cui è accusata anche Celeste, tra gli altri.

Meta ha ricevuto un mandato per i dati privati di Jessica e Celeste Burgess a giugno. La società ha detto in un comunicato che il mandato non citava un aborto, ma parlava di un’indagine criminale. Ha anche sottolineato che a giugno il presunto reato su cui la polizia stava indagando era la sepoltura di un bambino nato morto.

La polizia avrebbe poi trovato indizi sull’aborto proprio nei messaggi privati scambiati tra le Burgess e in particolare in questo scambio riportato da Vice:

Celeste: «Cominciamo oggi?»

Jessica:  «Possiamo se vuoi quello che ferma gli ormoni»

Celeste: «Ok»

Jessica: «La prima pillola ferma gli ormoni e poi devi aspettare 24 ore per la seconda»

Celeste: «Ok»

Celeste: «Ricorda di bruciare le prove»

I messaggi privati ottenuti da Meta hanno poi fatto ottenere agli investigatori un secondo mandato per sequestrare vari computer e smartphone alle donne.

Negli scorsi mesi sia Meta che le altre grandi società di servizi digitali hanno rifiutato di dire se avrebbero fornito informazioni personali alle forze dell’ordine in relazione a indagini su aborti. «Questo caso dimostra che almeno Facebook lo ha già fatto», ha commentato Vice.

A prescindere dalla vicenda che riguarda Celeste e Jessica Burgess, è probabile che il fatto che oggi una grande quantità di informazioni delle persone sia in mano ad aziende private renderà molto più facile per le forze dell’ordine degli stati americani in cui l’aborto è diventato illegale indagare su presunte interruzioni volontarie di gravidanza.

In precedenza Meta aveva detto che avrebbe bloccato gli utenti di Facebook che avessero scritto di avere intenzione di spedire farmaci abortivi negli stati in cui le interruzioni di gravidanza sono state vietate o molto limitate. Il mese scorso Alphabet, la società che controlla Google, aveva detto che avrebbe automaticamente cancellato i dati di localizzazione relativi alle visite a luoghi come cliniche abortive (ma anche strutture per la disintossicazione e centri per la fertilità) registrate dai suoi servizi, per proteggere la privacy degli utenti.

– Leggi anche: I limiti della legge 194 sull’aborto