Cos’è successo tra Calenda e il PD, in breve

Come si è sviluppata la rottura dell'accordo tra Azione e la coalizione di centrosinistra, per chi si è perso dei pezzi

(Mauro Scrobogna/LaPresse)
(Mauro Scrobogna/LaPresse)

Domenica pomeriggio il leader di Azione Carlo Calenda ha annunciato che uscirà dalla coalizione di centrosinistra, a cui aveva aderito soltanto cinque giorni prima dopo lunghe e travagliate trattative. È una decisione che occupa gran parte delle prime pagine dei quotidiani di lunedì e che ha causato e causerà diverse conseguenze nella campagna elettorale in corso.

Calenda ha attribuito la rottura dell’accordo all’inclusione nell’alleanza di Sinistra Italiana e dei Verdi, oltre che di Impegno Civico di Luigi Di Maio, gli altri partiti più piccoli coinvolti dal Partito Democratico nella coalizione che avrebbe dovuto affrontare la destra alle elezioni del 25 settembre, ma che secondo Calenda sarebbe diventata a questo punto «un’ammucchiata».

Il PD aveva firmato sabato un accordo elettorale con SI-Verdi e con Impegno Civico, che però di fatto si sapeva avrebbero fatto parte della coalizione già prima che Azione decidesse di aderirvi.

Calenda da giorni aveva ingaggiato un duro scontro a distanza con Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, e Angelo Bonelli, leader dei Verdi, portato avanti su Twitter e sui giornali. Il segretario del PD Enrico Letta e gli altri dirigenti avevano provato a mediare e a tenere insieme la coalizione, senza successo. La decisione di Calenda è stata comunque piuttosto sorprendente, per come è arrivata.

Calenda l’ha annunciata domenica pomeriggio alla trasmissione Mezz’ora in più di Lucia Annunziata, sostenendo che sia stata «sofferta» e spiegando in sostanza di non voler far parte di una coalizione che includa forze che hanno «votato 55 volte la sfiducia a Draghi», al cui governo invece secondo lui avrebbe dovuto ispirarsi il centrosinistra. A quel punto, secondo Calenda, tanto valeva mantenere l’alleanza con il Movimento 5 Stelle, che prima di contribuire alla sua caduta sosteneva il governo Draghi, e che nei sondaggi ha tre volte i consensi di SI-Verdi.

Ma anche se formalmente l’accordo di Letta con Fratoianni e Bonelli e con Di Maio è stato firmato sabato, l’alleanza tra PD e SI-Verdi era stata di fatto annunciata ancora prima che Azione decidesse di unirsi. Calenda evidentemente ha cambiato idea, dopo giorni in cui se ne era dette di ogni con i nuovi alleati che malsopportava. «È evidente che ha avuto un ripensamento. Lo rispetto. Ma non può dire che non sapeva», ha detto al Corriere della Sera Benedetto Della Vedova, segretario nazionale di +Europa, con cui Azione si era alleata alcuni mesi fa.

Le critiche di Calenda hanno riguardato soprattutto l’opposizione di Fratoianni e Bonelli ai rigassificatori e agli inceneritori, che invece lui sostiene. Più in generale, ha contestato a Sinistra Italiana e ai Verdi il fatto che non sostenessero quella che lui e altri in questi giorni hanno chiamato “agenda Draghi”, cioè un poco definito programma di governo – Draghi stesso ha detto che in realtà non esiste – che dovrebbe ispirarsi all’azione dell’esecutivo dimissionario.

Tra martedì e sabato, Calenda aveva scritto diversi tweet contro Fratoianni e Bonelli, accusandoli in sostanza di sostenere posizioni che contraddicevano il patto sottoscritto tra Azione e il PD. Oltre agli inceneritori e ai rigassificatori, Calenda ha citato altri elementi di questo accordo a cui Azione non avrebbe rinunciato: «revisione del reddito di cittadinanza, NATO, supporto all’Ucraina e revisione bonus 110%». Il patto tra PD e Azione citava tutti questi punti, tranne i termovalorizzatori, sui quali Calenda ha probabilmente ritenuto ci fosse un implicito accordo favorevole visto che il governo Draghi era a favore. Calenda ha scritto più volte che non era disposto a cambiare il patto, minacciando semmai di romperlo.

Venerdì lo scontro tra Azione e Sinistra Italiana e Verdi aveva raggiunto il suo culmine, con Fratoianni che aveva risposto alle critiche di Calenda invitandolo polemicamente ad andare «in cartoleria» a comprare un’agenda visto che perfino Draghi aveva negato esistesse la cosiddetta “agenda Draghi”. Fino a sabato pomeriggio, Calenda ha continuato a scrivere su Twitter, citando tra le altre cose un editoriale del direttore dello HuffPost Mattia Feltri che diceva: «Il PD decida che cosa intende diventare, se un partito di sinistra riformista, o un partito di sinistra dura e pura». Poi ha smesso di twittare per diverse ore, cosa che secondo i retroscena usciti oggi ha fatto capire ai dirigenti del PD che stava per succedere qualcosa.

Calenda ha spiegato che prima di annunciare la rottura dell’accordo in diretta tv aveva telefonato al dirigente del PD Dario Franceschini e informato +Europa. Lunedì mattina il capo della segreteria di +Europa, Giordano Masini, ha raccontato che Calenda in realtà si è limitato a «comunicarci, via WhatsApp, una decisione già presa».

L’accordo tra PD e Sinistra Italiana e Verdi annunciato sabato mattina non conteneva riferimenti precisi a un eventuale programma di governo, e serviva soprattutto a decidere la spartizione dei candidati nei collegi uninominali. Anzi, fin dall’inizio ribadiva più volte e con una certa enfasi che tra i partiti ci sono forti differenze di vedute, ma che l’alleanza era necessaria per contendere alla destra i circa 221 collegi uninominali previsti dalla legge elettorale, in cui viene eletto il candidato o la candidata che prende anche un solo voto in più degli avversari:

Siamo consapevoli delle differenze di posizioni che abbiamo espresso rispetto all’esperienza del Governo Draghi, che tra noi è stata sostenuta convintamente dal solo Partito Democratico. Ma sappiamo anche che per via della legge elettorale il prossimo Parlamento, in caso di mancato accordo elettorale tra le forze progressiste ed ecologiste rischia di essere dominato dalle destre.

(…) Per questo ci impegniamo attraverso questo accordo elettorale a eleggere il maggior numero possibile di parlamentari di orientamento progressista, democratico ed ecologista e ad evitare l’affermazione del blocco delle destre. Il nostro accordo è mosso dalla prioritaria volontà di difendere la Costituzione e la Democrazia.

Riguardo ai temi controversi citati da Calenda, il patto fra PD, Sinistra Italiana e Verdi sosteneva la necessità di «un piano ambizioso sulle energie rinnovabili e una legge sul clima finalizzati al raggiungimento degli obiettivi climatici europei al 2030 per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili». Un impegno, insomma, molto generico.

Calenda ha ritenuto comunque che un’alleanza e un accordo del genere non erano compatibili con Azione, e che per il suo partito fosse meglio uscire dalla coalizione nonostante avesse ottenuto condizioni molto favorevoli dal PD, per sua stessa ammissione. Secondo il patto firmato martedì Azione infatti avrebbe potuto esprimere il 30% dei candidati nei collegi uninominali per conto dell’alleanza, nonostante i sondaggi al momento diano il partito intorno al 5%, cioè a meno di un quarto dei voti del PD. SI-Verdi, che nei sondaggi è intorno al 4%, aveva invece ricevuto il 20% dei seggi restanti. Calenda aveva chiesto e ottenuto anche che i leader di partito e i candidati considerati «divisivi» non si candidassero nei collegi uninominali, bensì nelle liste bloccate della parte proporzionale: per evitare, insomma, che gli elettori di Azione dovessero esplicitamente votare per persone particolarmente sgradite – come Di Maio, aveva detto – in determinati collegi.

Ma il patto tra PD e Sinistra Italiana e Verdi evidentemente non è piaciuto a Calenda. «Eravamo anche disponibili a veder aderire Fratoianni e co. Ma le regole erano chiare tra di noi. No dichiarazioni contrarie a quanto appena firmato, no patti contrapposti. Perché altrimenti sarebbe uscita una coalizione manicomio. Letta e Bonino sapevano che così avremmo rotto», ha scritto su Twitter. In un’intervista al Corriere della Sera uscita lunedì, ha sostenuto inoltre che «all’inizio di questo percorso quello che avevo detto a Enrico era che io ero contrarissimo all’idea che entrassero tutti questi», aggiungendo che se fosse rimasto nella coalizione avrebbe dovuto «passare le mie giornate a difendermi dagli attacchi della sinistra».

Gli ormai ex alleati hanno criticato duramente la sua decisione. Letta ha scritto che «mi pare da tutto quel che ha detto che l’unico alleato possibile per Calenda sia Calenda», accusandolo di aver «deciso di aiutare la destra facendo quello che ha fatto». In un’intervista a Repubblica Emma Bonino, leader di +Europa, ha sostenuto che quelle di Calenda siano state «ragioni fumose, non convincenti e men che meno dirimenti», e sostenendo che «non sia serio cambiare opinione ogni tre giorni». Ha anche manifestato sorpresa per quanto avvenuto dopo la sottoscrizione del patto con il PD: «Cosa sia successo dopo di così stravolgente, non lo so. Non lo comprendo». +Europa faceva parte di una federazione con Azione, ma Bonino ha di fatto annunciato che il suo partito rispetterà l’accordo con il PD e rimarrà quindi nella coalizione di centrosinistra, nonostante formalmente lo deciderà in una riunione prevista per lunedì sera.

L’ipotesi più accreditata ora è che Calenda si allei con Matteo Renzi per formare quello che il leader di Italia Viva in questi giorni sta chiamando “terzo polo” di centro: quello che ancora non si sa, e che si vedrà alle elezioni, è se questa eventuale conformazione delle coalizioni penalizzerà di più il centrosinistra o la destra, in termini di voti sottratti. Sembra però probabile che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia avranno più facilità a vincere nei collegi uninominali con i propri candidati, che avranno come avversari probabilmente tre candidati principali: del centrosinistra, del Movimento 5 Stelle e del centro. Visto che all’uninominale vince chi prende anche solo un voto in più, i candidati della destra partiranno favoriti in gran parte dei collegi: a meno che il nuovo “terzo polo” presenti nei collegi uninominali dei candidati più vicini alla destra che al centrosinistra. Ma questo è ancora tutto da vedere (le liste elettorali vanno presentate entro il 22 agosto).

Per il PD la fine dell’accordo con Calenda è una grossa sconfitta politica e di immagine, perché Letta ci aveva investito moltissimo dedicando molti sforzi e risorse alle trattative e alle mediazioni. Da oltre una settimana di fatto tutte le attenzioni mediatiche rivolte al centrosinistra sono state dedicate agli altalenanti rapporti tra PD e Azione e ai bisticci tra Calenda e Fratoianni e Bonelli, senza che emergesse molto altro sui programmi e sulle intenzioni del centrosinistra. Programmi e intenzioni che a questo punto, senza Azione, potrebbero oltretutto essere rivisti per adattarsi a una campagna elettorale che sarà diversa da quella che aveva progettato Letta.