Riepilogo della complicata giornata al Senato

Dal duro discorso di Mario Draghi in Senato alla decisione di centrodestra e Movimento 5 Stelle di non votare la fiducia

(AP Photo/Gregorio Borgia)
(AP Photo/Gregorio Borgia)
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Il presidente del Consiglio Mario Draghi non si è dimesso mercoledì sera, come in molti si aspettavano, ma la maggioranza che sosteneva il suo governo non esiste più: oggi in un atteso voto al Senato non hanno votato la fiducia la Lega, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle. La risoluzione su cui si è votato, che semplicemente approvava il discorso tenuto all’aula da Draghi mercoledì mattina, è tecnicamente passata: il governo quindi non è stato formalmente sfiduciato. Ma al momento sembra difficile che esista un esito diverso dalle dimissioni di Draghi, che potrebbero arrivare giovedì mattina, quando è regolarmente prevista anche la discussione alla Camera.

A essere certa in ogni caso è la fine della maggioranza di governo trasversale che si era formata nel febbraio del 2021 per gestire la campagna di vaccinazione, il PNRR e le diverse riforme approvate in questi mesi. Se Draghi, come sembra, ne prenderà atto e si dimetterà, sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a dover decidere cosa fare: l’ipotesi più plausibile è quella che indica le elezioni anticipate, che si terrebbero probabilmente a inizio ottobre.

La crisi politica era stata innescata la scorsa settimana dal Movimento 5 Stelle, che non aveva votato la fiducia al governo sulla conversione in legge del decreto Aiuti. A trasformarla in una crisi di governo vera e propria è stato però di fatto il centrodestra, che ha ritirato il sostegno al governo dopo un duro discorso di Draghi in Senato, molto critico specialmente verso la Lega. Il partito di Matteo Salvini non l’ha presa bene, e da lì ha deciso con l’alleato Forza Italia di chiedere un nuovo governo, con un nuovo programma e senza il M5S: condizione che non è stata accettata.

Nel tardo pomeriggio si è votata la fiducia sul discorso di Draghi, e il centrodestra è uscito dall’aula. Il M5S si è accodato, ma nel corso della giornata era diventato evidente che la crisi si era spostata altrove, e che la decisione del partito di Giuseppe Conte non era più la più rilevante.

Nel suo discorso, Draghi aveva criticato in più passaggi la Lega senza mai citarla. Aveva detto per esempio che era necessario un «sostegno convinto all’azione dell’esecutivo, non di un sostegno a proteste non autorizzate, e talvolta violente, contro la maggioranza di governo», riferendosi all’appoggio del partito di Matteo Salvini alle manifestazioni dei tassisti contro le riforme del settore. Aveva poi sostenuto l’importanza della riforma della concorrenza, che la Lega aveva criticato per la questione degli stabilimenti balneari. Aveva concluso in un modo piuttosto perentorio, sostenendo che «all’Italia non serve una fiducia di facciata, che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi», e chiedendo ai partiti se erano disposti a ricostituire il patto su cui si era fondata la maggioranza.

C’erano state critiche anche al M5S, ma era evidente che ad essere stata delusa e scocciata dal discorso era stata soprattutto la Lega, che quindi ha rimesso in discussione il sostegno al governo. Dopo ore di riunione con Forza Italia a casa di Silvio Berlusconi, il partito guidato da Salvini ha deciso di porre condizioni che sapeva sarebbero state inaccettabili per Draghi – un nuovo governo e un nuovo programma – senza le quali, si è capito, avrebbe ritirato la fiducia.

Draghi ha risposto nel pomeriggio, senza cambiare posizione, e chiedendo la fiducia su una risoluzione presentata da Pier Ferdinando Casini che diceva semplicemente: «Il Senato, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio dei ministri, le approva». La risoluzione ha ottenuto la maggioranza dei voti dei presenti (quelli del PD, di Liberi e Uguali e del centro), ma non era quello il punto: in ogni caso la crisi era avviata dopo l’uscita del centrodestra e del M5S.

In sostanza: Draghi è andato al Senato con un discorso duro e poco accomodante, probabilmente perché non voleva rimanere al governo con una maggioranza instabile e divisa. Sapeva con ogni probabilità che avrebbe creato scompiglio, e che avrebbe potuto provocare una reazione altrettanto dura nella Lega, col rischio di far cadere il governo. Ma evidentemente questo esito gli andava bene, se non era possibile governare alle sue condizioni.

Dall’altra parte, la Lega non si aspettava forse quei toni, ma già da martedì era scontenta di come si erano messe le cose, quando Draghi aveva incontrato il centrosinistra senza inizialmente fissare un colloquio anche con il centrodestra. Lega e Forza Italia hanno ritenuto probabilmente che Draghi si fosse sbilanciato troppo verso la parte di maggioranza che comprende il PD e il Movimento 5 Stelle: è un’accusa, questa, che ha fatto piuttosto esplicitamente il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo nel suo discorso al Senato. I due partiti hanno quindi deciso che fosse meglio far cadere il governo e provare ad andare alle elezioni anticipate.

La proposta di cambiare governo, evidentemente non realistica per quello che aveva detto Draghi, era in sostanza un tentativo di gestire la crisi alle proprie condizioni, in modo da poter attribuire al M5S e al centrosinistra le responsabilità della fine del governo.