I tassisti contro le liberalizzazioni, di nuovo

Se ne discute per via di un disegno di legge contro cui martedì è iniziato uno sciopero nazionale dei taxi di 48 ore

Taxi in piazza della Repubblica durante lo sciopero, Roma, 26 marzo 2021. ANSA/ANGELO CARCONI
Taxi in piazza della Repubblica durante lo sciopero, Roma, 26 marzo 2021. ANSA/ANGELO CARCONI
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Martedì a mezzanotte è cominciato uno sciopero nazionale dei taxi della durata di 48 ore. Lo sciopero, proclamato dalle 14 principali associazioni di categoria, segue settimane di proteste da parte dei tassisti, che in molti casi avevano organizzato scioperi senza l’autorizzazione dei sindacati e senza annunciarli in anticipo.

Le proteste delle scorse settimane, così come lo sciopero di martedì e mercoledì, si devono a un disegno di legge approvato dal Senato e in discussione ora alla Camera, il cosiddetto “ddl concorrenza”. Viene contestato in particolare un passaggio, l’articolo 10, che si sostiene possa porre le premesse per una liberalizzazione del settore, un tema a cui i tassisti si oppongono da molti anni e che nessun governo finora è mai riuscito ad affrontare concretamente.

Nell’articolo si delega al governo di adottare un decreto per modernizzare il settore del trasporto pubblico non di linea (ovvero i taxi e i servizi NCC, i servizi di noleggio con conducente) per migliorarne l’efficienza. Il testo è piuttosto vago e non introduce nell’immediato vere e proprie forme di liberalizzazione del settore, ma dice che il governo deve impegnarsi per garantire «una migliore tutela del consumatore».

Tra le altre cose, nell’articolo si dice che il governo dovrebbe adeguare «l’offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante l’uso di applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti» e promuovere «la concorrenza, anche in sede di conferimento delle licenze, al fine di stimolare standard qualitativi più elevati».

Nonostante la vaghezza del testo, i sindacati dei tassisti hanno accolto questo disegno di legge come una prima tappa verso una futura e più ampia liberalizzazione dei taxi, e perciò lo stanno contestando. In una nota, i sindacati hanno detto che non sono disponibili «a nessun passo indietro, a nessun tipo d’accordo» e che «la nostra battaglia è la lotta di 40 mila lavoratori contro la speculazione finanziaria, ma anche la difesa dell’utenza di un servizio pubblico contro meccanismi come algoritmi e libero mercato che li andrebbero a strangolare nel momento del bisogno».

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Le proteste dei tassisti sembrano aver trovato sostegno in diversi partiti: ci sono la Lega e Fratelli d’Italia, che come tutti i partiti di centrodestra e destra sono da sempre molto vicini alle istanze dei tassisti (che nelle grandi città sono stati in più occasioni fattori importanti nelle elezioni locali o nazionali), e che hanno proposto emendamenti soppressivi dell’articolo 10 durante l’esame del disegno di legge in commissione Attività produttive.

Ma lo stesso hanno fatto altre forze politiche: un emendamento soppressivo è stato presentato da Davide Gariglio e Umberto Del Basso De Caro del PD, e un altro da Stefano Fassina di Liberi e Uguali. Gli unici che hanno sostenuto apertamente l’articolo 10 e la necessità di una liberalizzazione del settore sono stati Azione, +Europa e Forza Italia.

La protesta di questi giorni non è una novità: i tassisti si oppongono da decine di anni a qualsiasi tentativo di liberalizzare il mercato, che possa per esempio aumentare il numero di licenze a disposizione. Ci avevano provato nel 2006 il ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani e nel 2012 il presidente del Consiglio Mario Monti, ma in entrambi i casi i tentativi erano falliti, anche per via della resistenza dei sindacati dei tassisti.

L’opposizione della categoria a qualsiasi liberalizzazione è diventata peraltro ancora più strenua dopo che negli ultimi anni sono arrivati in Italia vari servizi di noleggio con conducente (i cosiddetti NCC), tra cui il più famoso è senz’altro Uber. Servizi come quelli di Uber sono stati ampiamente contestati dai tassisti, che hanno accusato l’azienda statunitense di concorrenza sleale, incolpandola di voler sottrarre clienti, operando senza licenze e in assenza di regolamentazione specifica. Anche per via dell’opposizione dei tassisti, ad oggi Uber in Italia funziona in modo molto diverso rispetto ad altri paesi: in Italia è infatti illegale Uber Pop, il servizio in cui gli autisti non sono professionisti e che è molto diffuso all’estero (anche col nome UberX).

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