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  • Martedì 19 luglio 2022

Il canale televisivo indipendente russo che riprenderà a trasmettere dalla Lettonia

Si chiama Dozhd, i suoi programmi erano stati sospesi lo scorso marzo dal regime di Putin, dopo anni di minacce e intimidazioni

Alcune riprese in un programma sul canale televisivo russo indipendente Dozhd, ad agosto del 2021 (AP Photo/Denis Kaminev)
Alcune riprese in un programma sul canale televisivo russo indipendente Dozhd, ad agosto del 2021 (AP Photo/Denis Kaminev)
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Il canale televisivo indipendente russo Dozhd (“Pioggia”), sospeso lo scorso marzo per ordine del procuratore generale della Russia, riprenderà la propria programmazione dalla Lettonia: lo ha annunciato lunedì Natalya Sindeyeva, la direttrice del canale. Come altri media indipendenti russi, Dozhd era stato colpito dalla censura imposta dal presidente Vladimir Putin, che negli ultimi mesi si è intensificata per controllare l’informazione sull’invasione russa dell’Ucraina.

Sindeyeva ha detto che la programmazione di Dozhd riprenderà in autunno, in tempo per attrezzare e rendere pienamente operativa la nuova sede del canale; lo scorso giugno l’ente lettone che regola media e trasmissioni televisive aveva dato al canale la licenza per operare nel paese.

Secondo Reuters e il Moscow Times, Dozhd opererà anche da altre tre sedi europee: una a Parigi, una ad Amsterdam e una a Tbilisi, la capitale della Georgia, dove molti critici del regime russo si sono trasferiti a partire dallo scorso febbraio. La programmazione di Dozhd sarà visibile anche su YouTube: il sito non è ancora stato censurato in Russia, e a meno di decisioni diverse sarà quindi l’unico mezzo con cui i russi potranno riprendere a guardare il canale.

– Leggi anche: I media russi che chiudono perché non raccontano la guerra come vorrebbe il governo

La programmazione di Dozhd era stata sospesa a causa delle «nuove condizioni» dei media in Russia, come aveva detto a suo tempo Sindeyeva, riferendosi alla legge sui media approvata in quei giorni dal governo russo. La norma impone fino a 15 anni di carcere per chiunque diffonda ciò che il regime di Putin considera “notizie false” sulla guerra in Ucraina, cioè qualsiasi versione dei fatti diversa da quella proposta dal suo governo.

Tra le altre cose, Dozhd aveva definito l’invasione dell’Ucraina una «guerra»: è un termine vietato dal regime di Putin, che continua a definirla «operazione militare speciale» e obbliga i media a fare lo stesso. Dozhd era quindi stata accusata di «incitare l’estremismo e oltraggiare i cittadini russi». Il giorno prima della sospensione del canale, due suoi giornalisti avevano deciso di lasciare il paese, preoccupati per la propria sicurezza: non si hanno molti altri dettagli al riguardo, ma è ragionevole pensare che, come in altri casi, ci fossero state minacce provenienti dal governo russo.

Dozhd era uno dei pochi media indipendenti rimasti in Russia, dove negli ultimi anni le politiche di Putin hanno progressivamente ristretto la libertà d’informazione.

Era stato fondato nel 2010 da Sindeyeva e da suo marito Alexander Vinokurov, imprenditore: iniziò a trasmettere da uno studio piuttosto scalcagnato della zona industriale di Mosca, diventata col tempo una zona alla moda e frequentata dai più giovani. Fin dall’inizio, dedicò la propria programmazione a tematiche trascurate dai canali televisivi statali russi: tra le altre cose, nel 2013 ospitò Nadezhda Tolokonnikova e Maria Alyokhina, parte delle Pussy Riot, collettivo di dissidenti femministe perseguitato da Putin.

Dozhd trasmetteva anche dibattiti di politica, economia e cultura: era «lontano anni luce dagli strillati moralismi della propaganda sfacciata» dei due canali statali russi, scrisse il Guardian nel 2015.

Dozhd cominciò ad avere problemi col governo russo già in quel periodo. Nel 2014, anno dell’invasione e dell’annessione russa della penisola di Crimea, il canale fece per esempio un implicito paragone tra il governo russo e quello nazista. Nel giro di pochi giorni tutti i principali fornitori di servizi via cavo dissero che avrebbero smesso di trasmettere la programmazione di Dozhd, che poco dopo venne anche sfrattato dalla sua sede di Mosca. Masha Makeeva, allora vicedirettrice del canale, disse che come in tanti altri casi il governo russo stava cercando di «rendere loro la vita impossibile», per costringerli a chiudere. Dozhd però continuò a trasmettere da un monolocale di proprietà di Sindeyeva, per poi trasferirsi in una nuova sede.

Ci sono stati altri episodi di pressioni e intimidazioni, fino a quando lo scorso agosto il governo russo arrivò a classificare Dozhd come «agente straniero»: è una dicitura che identifica le entità che in un paese ricevono fondi dall’estero, ma che il regime di Putin ha usato in molte occasioni per limitarne la libertà di espressione e informazione.

Seppur con molte difficoltà, Dozhd e altri media indipendenti russi erano comunque riusciti a resistere alle pressioni del governo e a continuare a fare il proprio lavoro. Con l’invasione dell’Ucraina, però, Putin ha imposto un’ulteriore – e in alcuni casi definitiva – stretta alla libertà d’informazione.

Tra le altre cose, negli ultimi mesi è stata chiusa Novaya Gazeta, il principale giornale indipendente russo, quello per cui scriveva Anna Politkovskaja, giornalista e attivista per i diritti umani russa uccisa nel 2006; e sono state anche sospese le attività di alcune emittenti internazionali. Dozhd non è l’unico canale d’informazione indipendente ad aver spostato la propria sede in Lettonia: lo aveva fatto tempo fa anche Meduza, sito indipendente con una versione in inglese.