Le piattaforme di delivery sono qui per restare?

La grande crescita ottenuta durante la pandemia è rimasta, ma anche le difficoltà economiche

di Chiara Andreazza

(AP Photo/Luca Bruno)
(AP Photo/Luca Bruno)

Negli ultimi mesi le grandi aziende di consegne di cibo a domicilio come Deliveroo, Just Eat e UberEats sono riuscite a mantenere i tassi di crescita che avevano ottenuto in Italia durante la pandemia da coronavirus. Nel 2020 i lockdown avevano portato sempre più persone a ordinare cibo online: ricevere piatti pronti o la spesa direttamente a casa era diventata una delle soluzioni per ridurre gli spostamenti rischiosi. La graduale fine delle restrizioni non ha finora rallentato la crescita del fatturato, ma il percorso verso la sostenibilità economica delle grandi società di consegne continua a essere complicato: nella maggior parte dei casi, le spese sono ancora superiori alle entrate, una situazione che nel lungo termine non è sostenibile.

Durante la crisi economica generata dalla pandemia, il settore delle consegne alimentari ha avuto una crescita estremamente sostenuta. Secondo l’Osservatorio Netcomm-Politecnico di Milano, nel 2020 in Italia il valore del mercato ha quasi raggiunto i 3 miliardi di euro, con una crescita dell’84 per cento rispetto all’anno precedente. Una tendenza confermata anche nel 2021, con un aumento del 39 per cento delle consegne della spesa a domicilio (grocery delivery) e del 56 per cento degli ordini di piatti pronti.

«Non era scontato che le piattaforme fossero in grado di adeguarsi in tempi molto rapidi al cambiamento», ha detto Gian Luca Petrillo, direttore delle relazioni esterne di Deliveroo Italia e portavoce di Assodelivery (l’associazione di categoria italiana). «L’arrivo della pandemia ha obbligato tutto il settore del delivery ad adeguarsi alla situazione. Abbiamo introdotto delle misure di sicurezza, come la consegna senza contatto. Una volta messa in sicurezza l’industria si è osservato sul mercato un effetto di crescita, che era già presente prima della pandemia e che è continuato anche dopo».

Nel 2021 l’intero comparto ha visto un aumento dei clienti sulle app di ordinazioni e una grossa crescita del fatturato. Deliveroo ha registrato 301 milioni di consegne per oltre due miliardi di euro di ricavi, mentre Just Eat, che ha un modello di business lievemente diverso, ha chiuso l’anno con 1,1 miliardi di ordini processati in tutto il mondo per un valore di 5,3 miliardi di euro. Il successo ottenuto dalle piattaforme di consegne durante la pandemia non si è interrotto con la fine delle restrizioni, e i consumatori che inizialmente usavano il servizio per necessità ne hanno ormai fatto un’abitudine.

Ma le aziende di consegne ancora faticano a tradurre in utili i miliardi incassati in questi anni.

Negli ultimi tempi nessuna società del settore è riuscita a generare profitti, tranne UberEats, che nel quarto trimestre dello scorso anno ha dichiarato per la prima volta un piccolo guadagno di 25 milioni di dollari. Il resto delle aziende non è ancora in grado di coprire interamente le proprie spese, ma prevede di riuscire a farlo nei prossimi anni. Ad esempio l’amministrazione di Deliveroo ha dichiarato di aspettarsi una progressiva normalizzazione delle perdite e il raggiungimento del break even (cioè il pareggio tra entrate e uscite) tra la fine del 2023 e il 2024, mentre Just Eat spera di raggiungere una situazione di pareggio a partire dal prossimo anno.

La maggioranza delle difficoltà che il comparto incontra deriva dal modello di business adottato dalle app di consegne, basato sulle commissioni richieste ai ristoratori che usano il servizio e ai clienti che ordinano online. Con i soldi ricavati le società devono poi pagare i rider (i fattorini che fanno le consegne), le spese di gestione (compresi i rimborsi in caso di errore) e quelle di marketing. Il risultato è che alle aziende di delivery rimane un guadagno inferiore al 3 per cento per ogni ordine e che, a fine anno, i loro bilanci chiudono in perdita.

Le diverse società hanno cercato di rispondere ai problemi economici con una serie di soluzioni. Deliveroo ha sviluppato alcune iniziative separate dalla sua attività storica di consegna di piatti pronti: ha investito molto nella consegna della spesa a domicilio e ha annunciato la creazione di una piattaforma pubblicitaria in cui i ristoranti potranno promuovere la propria attività.

Just Eat ha invece un modello di business differente: buona parte dei ristoratori che usano il suo servizio ha fattorini propri e si appoggia all’app solo per ricevere le ordinazioni. In questo modo l’azienda ha ridotto le spese per la gestione dei fattorini e per il marketing, e ha eliminato gran parte dei rimborsi delle consegne sbagliate.

Un settore relativamente recente è invece quello del quick commerce: un servizio molto rapido, che prevede l’arrivo a casa del fattorino nel giro di dieci o quindici minuti e consente di allargare la propria clientela diminuendo i tempi di distribuzione. Tra le maggiori società che se ne occupano ci sono Glovo, Getir, Gorillas e Hop (di proprietà di Deliveroo).

Nel quick commerce il cibo che viene consegnato proviene da una rete capillare di magazzini all’interno delle città, i cosiddetti dark store e, solo in alcuni casi, da negozi tradizionali. Ogni ordine elaborato viene inviato al magazzino più vicino al cliente, per poi essere raccolto da un fattorino che lo porta a destinazione in dieci minuti.

Quest’anno, dopo il grande successo ottenuto durante la pandemia, il quick commerce ha dato i primi segnali di crisi. Il problema di fondo è lo stesso del delivery tradizionale: il fatturato dell’azienda non riesce a coprirne i costi. Le spese per il mantenimento dei magazzini e del personale sono molto alte, ma il margine di guadagno su ogni consegna è, al contrario, molto basso. A maggio Getir, società turca che si occupa solo di delivery rapido, ha annunciato un taglio del 14 per cento del suo personale in tutto il mondo. Mentre qualche settimana fa Gorillas, una startup nata nel 2020 in Germania, ha fatto sapere che si ritirerà dall’Italia, dove era presente in cinque città (Milano, Roma, Torino, Bergamo e Firenze).

Non tutte le aziende sono in difficoltà, anzi, molte di quelle che provengono dal delivery tradizionale ritengono che le consegne rapide siano un’iniziativa utile a portare i loro bilanci in pari: «Al momento Hop gestisce due magazzini su Milano, ma c’è un piano di espansione per altre città che è in corso di sviluppo», dice Petrillo di Deliveroo Italia. «Questa è una parte del nostro business che è in forte crescita, sulla quale stiamo investendo molto».

Questo e gli altri articoli della sezione Tra cultura e pandemia sono un progetto del workshop di giornalismo 2022 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.