Gli interpreti nelle istituzioni europee sentono malissimo

La qualità audio delle teleconferenze che devono tradurre è spesso pessima, e per questo stanno scioperando da settimane

(DAINA LE LARDIC/© European Union 2020)
(DAINA LE LARDIC/© European Union 2020)
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Da due settimane è in corso uno sciopero indetto degli interpreti delle istituzioni dell’Unione Europea, le centinaia di persone che ogni giorno traducono i discorsi di parlamentari, funzionari e leader politici che provengono da 27 paesi diversi, e permettono a tutti di capirsi fra loro. Lo sciopero è iniziato martedì 28 giugno e doveva durare due settimane, ma è stato prorogato perché gli interpreti ritengono che le istituzioni dell’Unione Europea non stiano venendo incontro alle loro richieste. Le ragioni dello sciopero arrivano da lontano e riguardano soprattutto la scarsa qualità dei collegamenti audio agli incontri in cui gli interpreti sono tenuti a fornire un servizio di traduzione, che causano problemi di salute gravi e potenzialmente invalidanti.

In estrema sintesi i suoni di bassa qualità a cui sono sottoposti per diverse ore al giorno stanno causando problemi uditivi agli interpreti, in alcuni casi anche molto gravi. Il sito di news specializzato in affari europei EUobserver ha scritto che negli ultimi tempi più di cento dei 250 interpreti assunti con contratto da funzionario dal Parlamento Europeo – l’istituzione che fa maggiore uso di interpreti – ha segnalato problemi fisici. Da settimane sono in corso dei negoziati fra due delegazioni degli interpreti e il Parlamento Europeo, che però al momento non hanno avuto ricadute concrete.

Gli interpreti segnalano inoltre che per coprire i turni di servizio causati dallo sciopero il Parlamento si è rivolto a un servizio di interpretariato esterno, che di norma non si occupa di tradurre incontri o riunioni delle istituzioni europee e non ha a disposizione interpreti qualificati.

«Il Parlamento non solo non ha fatto nulla per risolvere queste questioni, ma di recente ha anche ripristinato il normale orario di lavoro pre-pandemia che prevede circa 28 ore», ha spiegato al Post una fonte interna agli interpreti. «I problemi non potranno che aumentare».

Prima della pandemia, tenendo conto di tutte le sue istituzioni l’Unione Europea dava lavoro a circa 4.000 interpreti, 800 dei quali avevano contratti a tempo indeterminato e 3.200 erano freelance. Durante la pandemia i contratti con i freelance sono stati cancellati o accorciati, ma già da qualche mese con la ripresa delle attività legislative si stanno registrando numeri simili alla situazione precedente, anche se con differenze fra le varie istituzioni.

Le istituzioni garantiscono la traduzione simultanea della maggior parte dei lavori nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione. Nelle aule più grandi gli interpreti lavorano in apposite stanze sopraelevate, protette da pareti di vetro scuro. È un lavoro così impegnativo che ci si dà il cambio ogni mezz’ora, considerato il termine massimo anche per un interprete esperto: oltre quel limite, la lucidità cala ed è difficile tradurre bene. La mole di riunioni, assemblee e dibattiti che ogni giorno si tenevano nelle istituzioni rendeva necessario il lavoro di centinaia di interpreti per volta.

Il lavoro in cabina è solo la punta dell’iceberg delle loro mansioni. Per essere in grado di tradurre in tempo reale un discorso sul tipo di armi da inviare in Ucraina, o il comizio di un parlamentare che commenta le beghe interne di un partito estone, bisogna studiare molto ed essere pronti a improvvisare. Qualcuno lo ha paragonato al lavoro del cronista, che ogni giorno deve occuparsi di qualcosa di nuovo.

Già nei primi mesi della pandemia le istituzioni europee si erano attrezzate per utilizzare piattaforme che consentissero la cosiddetta Remote Simultaneous Interpretation (RSI), cioè la traduzione a distanza. Sono programmi che permettono all’interprete di lavorare con partecipanti che si collegano in videoconferenza e di poter tradurre da qualsiasi parte nel mondo. Le istituzioni avevano concesso una riduzione del numero di ore settimanali per ogni interprete: sia perché le riunioni e incontri erano effettivamente di meno, sia per ridurre la loro esposizione ad audio di bassa qualità.

Il guaio infatti è che la compressione cosiddetta “dinamica” dell’audio realizzata dai principali programmi per videoconferenze, anche quelli sviluppati apposta per gli interpreti, produce un suono a bassa qualità che gli addetti ai lavori ritengono «tossico», molto fastidioso per l’ascolto prolungato. Soprattutto se chi parla lo fa molto velocemente, tramite un dispositivo non professionale – come uno smartphone o un iPad – o da un posto che ha problemi di connessione.

«In questo periodo ne abbiamo viste di ogni: parlamentari che si connettevano dall’aeroporto, dall’automobile, dalla sagra di paese», racconta una fonte interna agli interpreti. Alla lunga i suoni di bassa qualità hanno condizionato la salute di molti interpreti: alle istituzioni europee sono arrivate decine di segnalazioni di acufene, cioè di un sibilo o ronzio continuo nelle orecchie, di iperacusia o perdita di udito, ma anche di mal di testa, nausea, insonnia, scarsa lucidità e capacità di concentrazione. Problemi simili – che condizionano duramente sia la vita personale che professionale – sono stati riscontrati anche dagli interpreti dell’ONU e del Parlamento canadese, per esempio. Al Parlamento Europeo è stata riconosciuta una invalidità a un interprete che ha riportato danni uditivi irreversibili.

Gli interpreti che hanno aderito allo sciopero – cioè quasi tutti – si sono rifiutati di tradurre gli interventi delle persone che si collegavano in remoto. In alcune sessioni è stato anche letto un messaggio di protesta al posto degli interventi dei partecipanti.

Secondo il Foglio giovedì 5 luglio, durante la conferenza stampa della Commissione Europea sulla riunione settimanale del collegio dei commissari, gli interventi dei giornalisti collegati da remoto non sono stati tradotti. Al loro posto gli interpreti hanno letto questo messaggio: «Gli interpreti in cabina italiana aderiscono all’azione sindacale in corso. Non verranno interpretati interventi da remoto a causa dell’impatto potenzialmente negativo sulla salute del suono non conforme e per il mancato rispetto delle condizioni di lavoro applicabili alla partecipazione da remoto».

In alcuni casi il Parlamento Europeo e la Commissione Europea hanno sostituito gli interpreti che hanno partecipato allo sciopero reclutando interpreti di Interactio, la piattaforma a cui le istituzioni europee si appoggiano da un paio d’anni per gestire le traduzioni sia in presenza sia in remoto. Ma la qualità dell’interpretazione di Interactio è inferiore rispetto a quella garantita da chi lavora quotidianamente nelle istituzioni europee, e che per farlo ha studiato anni e superato diversi test. Per lavorare nelle istituzioni sia interpreti freelance sia gli interpreti funzionari devono superare un esame giudicato molto difficile, oltre che seguire seminari tematici per tutta la carriera e seguire dei percorsi di formazioni continua.

In un comunicato stampa l’Associazione Internazionale degli Interpreti (AIIC), il principale sindacato transnazionale degli interpreti, ha criticato moltissimo l’uso di personale esterno per i servizi di interpretariato all’interno delle istituzioni europee, definendolo «una forma di dumping sociale». Cioè una forma di concorrenza sleale poco etica in cui i servizi vengono appaltati a persone meno competenti che però offrono lo stesso servizio a un costo inferiore. «Sottolineiamo che i servizi di interpretazione di alta qualità sono un prerequisito per proteggere il multilinguismo previsto dai trattati europei», aggiunge l’AIIC, «e che sono fondamentali affinché gli europarlamentari riescano a svolgere in maniera efficace le proprie funzioni».

Esternalizzando il lavoro degli interpreti, inoltre, le istituzioni hanno violato un accordo interistituzionale stipulato con AIIC che definisce le condizioni di lavoro degli interpreti freelance e di fatto proibisce queste pratiche.

Un portavoce del Parlamento Europeo ha detto a Politico che gli interpreti esterni sono stati usati in situazioni «estremamente limitate», e che il Parlamento sta lavorando per cercare di migliorare la qualità del lavoro degli interpreti, «cooperando con i loro rappresentanti». Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, in una lettera agli interpreti del Parlamento inviata il 26 giugno ha assicurato che «il dialogo, di cui mi faccio garante, è stato avviato».

Gli interpreti però ritengono che l’amministrazione delle istituzioni non abbia le risorse o la volontà di venire incontro alle loro proposte, e che stia sostanzialmente minimizzando il problema: per esempio sostenendo che la piattaforma Interactio non presenti alcun problema qualitativo, come emerge da alcuni documenti interni.

Una potenziale soluzione al problema dei collegamenti da remoto, per esempio, potrebbe essere obbligare i parlamentari a usare il microfono che è stato fornito loro dal Parlamento per le videoconferenze e delle buone cuffie, per migliorare la qualità del collegamento.

Per un politico però è estremamente comodo poter partecipare a riunioni formali e informali da remoto, mentre si trova nel suo collegio o in giro per iniziative politiche, portandosi dietro soltanto un tablet e un paio di auricolari bluetooth. Sembra complesso però che il Parlamento, i cui organi di vertice sono persone di nomina politica, renda obbligatorie queste indicazioni.

Non è chiaro come si possa trovare una soluzione che venga incontro sia alle esigenze degli interpreti sia dei parlamentari. Se lo sciopero dovesse estendersi e non limitarsi agli interventi da remoto potrebbe mettere a rischio, anche se solo temporaneamente, il buon funzionamento delle istituzioni.