Come si controlla quello che arriva in un porto

Sui 22 km di banchine di quello di Genova passano ogni anno 2,8 milioni di container: scegliere quali aprire non è facile

Trasporto di container nel porto di Genova. (ANSA/LUCA ZENNARO)
Trasporto di container nel porto di Genova. (ANSA/LUCA ZENNARO)
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Ogni anno nel porto di Genova arrivano 7.220 navi che trasportano in totale 64 milioni di tonnellate di merci, in gran parte contenute in 2,8 milioni di container. Numeri più o meno simili sono quelli del porto di Trieste e, un po’ più bassi, a Gioia Tauro, Cagliari e Livorno. Si tratta, parlando sempre di Genova, di quasi venti navi e oltre 7.600 container in arrivo ogni giorno. 

Su alcune di quelle navi che attraccano ci sono merci contraffatte, strumenti elettronici e materiale di ogni tipo su cui non sono stati fatti i controlli necessari, tabacchi di contrabbando, stupefacenti in arrivo dal Sudamerica. Individuare le cose illegali in mezzo a questa enorme quantità di merci non è un lavoro semplice: controllare tutti i container in arrivo nei porti italiani è ovviamente impossibile e avrebbe poco senso ed efficacia sceglierli a caso. Per farsi un’idea di quale sia l’entità del problema, il porto di Genova si estende su 7 km quadrati, con 22 km di banchine e un traffico di passeggeri che supera i 3 milioni all’anno. 

Ma proprio i porti di Genova e Gioia Tauro sono gli snodi fondamentali per lo spaccio internazionale. Lo scorso febbraio nel porto di Genova la Guardia di Finanza aveva sequestrato 445 kg di cocaina, contenuti in 14 borsoni all’interno di un container scaricato dalla nave cargo Msc Adelaide, proveniente dal Brasile. Quella cocaina avrebbe fruttato circa 30 milioni di euro. Antonino Maggiore, generale della Guardia di Finanza a capo della DCSA, Direzione Centrale dei Servizi Antidroga, spiegò in quella occasione che «il traffico di grandi carichi di cocaina che arrivano nel Mediterraneo sulle navi dal Sudamerica è in aumento costante. Nel 2020 i sequestri sono cresciuti del 62% e il 2021 si è attestato su un ulteriore incremento». Questo aumento non dipende dalla ripresa del mercato dopo il lockdown, secondo Maggiore, bensì da «una rimodulazione delle direttrici del traffico che interessano il nostro Paese, diventato sempre più snodo di passaggio verso gli altri mercati di consumo».

A gestire le attività illecite sono le cosche calabresi della ’ndrangheta, ma anche, come risulta dalle indagini della Guardia di Finanza, organizzazioni criminali albanesi, serbe e montenegrine. Si avvalgono spesso della complicità di persone che lavorano nei porti a cui offrono tangenti ingenti.

La cocaina sequestrata in un container a Genova lo scorso febbraio. (Foto GDF)

«Con una tale quantità di persone e merce che arriva ogni giorno nel porto», dice al Post il tenente colonnello Massimiliano Zechender, comandante della Guardia di Finanza nel porto di Genova, «i controlli sui container non possono essere casuali, ma devono essere mirati. Altrimenti sarebbe come giocare alla lotteria e sperare di prendere il numero vincente. E devono essere fatti in modo da non rallentare il flusso di merci in transito che poi, una volta arrivate in porto, prendono le strade d’Europa. Le prime verifiche avvengono a livello informatico, tutti i dati ovviamente sono informatizzati. È fondamentale individuare quali container controllare». 

Il lavoro di controllo iniziale viene fatto dalla Guardia di Finanza in collaborazione con i funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Va considerato che il mare della Liguria è molto profondo e consente l’attracco a Genova di navi di notevole grandezza, che raggiungono i 300 metri di lunghezza e possono trasportare anche 7mila container. «Bisogna individuare il metro quadrato esatto da controllare», spiega Zechender.

Quelli che vengono chiamati “alert di rischio” sono attivati in seguito allo studio nel “manifesto”, il documento consegnato dalle compagnie di navigazione in cui viene indicato quali siano le merci sia in arrivo sia in partenza. Il primo studio per individuare eventuali elementi di rischio viene effettuato su quel documento: «per fare un esempio banale», dice Zechender, «si verifica se quell’azienda che dichiara di importare un tipo di prodotto si occupi realmente del commercio di quel prodotto».

Al di là di questo primo controllo, Guardia di Finanza e Agenzia delle Dogane verificano tutti i dati contenuti del manifesto, iniziando dal peso della merce che viene confrontato con il peso di carichi analoghi arrivati sia nel porto di Genova sia in altri porti italiani ed europei. Anche in questo caso vale un esempio banale: se arrivano in porto mille banane che pesano mezza tonnellata e si verifica che un altro carico di mille banane pesava un quarto di tonnellata, il controllo scatta automaticamente.

Il controllo viene fatto anche sulla reale costituzione societaria di chi importa e di chi vende, sul tragitto effettuato dalla nave, sul porto di provenienza e su quello di destinazione una volta lasciato lo scalo italiano. «Ci sono aree del mondo», dice ancora Zechender, «più attive magari nella produzione di cocaina e allora ovviamente a quelle navi si guarda con maggiore attenzione. Ma anche se un carico di caffè parte dal Brasile e prima di arrivare a Genova si ferma in Inghilterra può generare sospetti. Bisogna capire perché quei container di caffè si sono fermati in quel punto. Magari è conveniente, per chi spedisce, fare quel tragitto. Ma se non lo è, allora forse c’è qualcosa di anomalo. Poi ovviamente ci sono i dati e le segnalazioni che arrivano da altri porti europei. Se una determinata società ha già commesso violazioni altrove noi ovviamente lo sappiamo».

La circolazione di informazioni tra i vari porti europei è determinante anche per capire come agiscono le organizzazioni criminali che sono alla ricerca di metodi sempre nuovi per nascondere i carichi illegali, soprattutto di stupefacenti. Spesso la cocaina è nascosta tra i carichi di banane o caffè provenienti dal Sudamerica, ma anche tra il pesce surgelato o tra i carichi di fiori. A gennaio le autorità colombiane sequestrarono un container nel porto di Cartagena de Indias e diretto a Genova con 19.780 noci di cocco il cui contenuto naturale era stato sostituito con cocaina liquida.

Una volta individuato un container “a rischio” avviene l’ispezione: vengono utilizzati scanner o l’unità cinofila addestrata all’individuazione di stupefacenti. I controlli avvengono anche sui container segnalati da polizie di altri paesi, o in seguito all’attività di agenti sotto copertura infiltrati nelle bande criminali. Un’operazione durata due anni per esempio ha recentemente permesso, grazie ad agenti infiltrati, l’individuazione di 4,3 tonnellate di cocaina passate per il porto di Trieste. Si è trattato di cosiddette “spedizioni controllate”: la Guardia di Finanza sapeva del transito della droga ma l’ha sequestrata in un secondo momento, giunta a destinazione, per poter arrestare anche chi aveva effettuato gli acquisti dai narcotrafficanti.

Secondo i dati forniti dalla Guardia di Finanza, nel periodo che va dal 1° gennaio 2021 al 31 maggio 2022 sono state sequestrate in tutto, non solo via mare, 97 tonnellate di sostanze stupefacenti e 249 mezzi utilizzati per spostare la merce, e sono state arrestate 1.896 persone. 

Il problema per quanto riguarda i controlli nei porti italiani però non riguarda solo gli stupefacenti. Sempre secondo il rapporto annuale della Guardia di Finanza, tra il 1° gennaio 2021 e il 31 maggio 2022 sono stati sequestrati, non solo nei porti, 565 milioni di prodotti industriali contraffatti, indicati falsamente come “made in Italy” o non sicuri, oltre a grandi quantitativi di prodotti alimentari con marchi industriali falsificati o con indicazioni non veritiere. Sono state denunciate 6.980 persone. 

Container nel porto di Genova (ANSA/LUCA ZENNARO)

Per fare qualche esempio dei tipi di contraffazione, nel porto di La Spezia, il 6 giugno, sono state sequestrate dalla Guardia di Finanza e dai funzionari dell’Agenzia Dogane e dei Monopoli 282 mila pezzi di rulli per spazzole adesive prodotti in Cina ma etichettati come “made in Italy”. Il 9 giugno nel porto di Ancona sono stati sequestrati 26.880 prodotti per la casa falsificati allo stesso modo, e a febbraio nel porto di Genova erano stati sequestrati 2.878 pezzi di essiccatori elettrici per alimenti, anche questi provenienti dalla Cina, con false attestazioni di regolarità tecnica. Il 1° febbraio a essere sequestrata era stata un’auto Lamborghini Urus del valore di 260 mila euro che proveniva dalla Tunisia e stava per essere introdotta in Italia evadendo Iva, dazi e oneri fiscali per 90 mila euro.

Negli ultimi mesi poi, in tutta Italia, la Guardia di Finanza ha sequestrato quasi 130 milioni di mascherine e dispositivi di protezione individuale e circa 14 mila litri di igienizzanti, venduti come disinfettanti (non sono la stessa cosa: gli igienizzanti puliscono, i disinfettanti uccidono i microbi).

Oltre a stupefacenti e merci contraffatte, nel porto di Genova arrivano grandi quantità di tabacchi di contrabbando. In tutta Italia, sempre nel periodo dal 1° gennaio 2021 al 31 maggio 2022, sono state sequestrate 649 tonnellate di tabacchi lavorati esteri, 1.165 persone sono state denunciate, e di queste 155 arrestate. 

Nel porto di Genova e in generale nei porti italiani, oltre ai sequestri di merce in entrata, avvengono molti sequestri “in uscita”. «Si tratta soprattutto di valuta italiana che viene portata illegalmente all’estero, in particolar modo verso Tunisia e Marocco» dice Zechender. Si tratta di quantitativi non altissimi, 30-40mila euro a sequestro, ma molto numerosi: cittadini italiani che lavorano in Italia e che portano i soldi nel loro paese d’origine. Per esportare denaro dai 10mila euro in su serve compilare una dichiarazione doganale.