L’eterno ritorno dei loop temporali

Sono un espediente narrativo semplice ma efficace, soprattutto nel cinema e nella televisione, e ultimamente se ne vedono molti

(Netflix © 2022)
(Netflix © 2022)
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Il “loop temporale” è un espediente narrativo attraverso il quale a uno o più personaggi si fa rivivere più volte una stessa esperienza, in genere una giornata, senza che questi sappiano perché succede o come uscirne. È un meccanismo semplice, ma nonostante sia diffuso da tempo e risulti oggi poco originale non sembra destinato a sparire. Anzi, non bisogna sforzarsi granché per trovarne diversi esempi recenti nel cinema, nella serialità televisiva, nei videogiochi e anche nella letteratura.

I loop temporali funzionano perché permettono di avventurarsi oltre lo stretto realismo, però senza le eccessive complicazioni di ucronie (cioè mondi in cui la storia a un certo punto ha preso una piega diversa), intricati multiversi o paradossali viaggi nel tempo, e senza dover per forza di cose tirare in ballo implicazioni fisiche o filosofiche astruse tipiche dei film di Christopher Nolan, come Inception o Interstellar. E poi perché, nella loro intrinseca ripetitività, i loop temporali si adattano a contesti e generi tra loro parecchio distanti. E lo fanno ormai da decenni, da ben prima dal film Ricomincio da capo, forse il più famoso a raccontare un personaggio – interpretato da Bill Murray – intrappolato in un giorno che si ripete, nello specifico il “giorno della marmotta”.

Senza dubbio, l’utilizzo dei loop temporali nella narrativa è più vecchio del Novecento: già nel 1892, infatti, nella storia breve Christmas Every Day, lo scrittore William Dean Howells raccontò la storia di una ragazza per cui ogni giorno era il giorno di Natale. Ma è comunque probabile che un qualche espediente simile fu usato anche prima e altrove: di fatto, ogni storia che preveda il rivivere, anche solo una volta, un semplice istante o una vita intera, contiene un loop temporale.

– Leggi anche: Teoria e tecnica dei viaggi nel tempo

Nel cinema, uno dei primi usi attestati del loop temporale risale al 1933, nella “fantasy comedy” Turn Back the Clock, in cui dopo un incidente un uomo di mezza età si risveglia vent’anni più giovane, capendolo anzitutto quando scopre che il Roosevelt di cui vede il titolo su un giornale è Theodore (presidente statunitense di inizio Novecento) e non Franklin D. Roosevelt, che divenne presidente nel 1933.


Già prima di Ricomincio da capo, che è del 1993, ci furono altri usi cinematografici del loop temporale, per esempio nel cortometraggio 12:01 PM (poi diventato anche un film) o nel film sovietico Mirror for a Hero. Fuori dal cinema, il contesto in cui i loop temporali sono stati più frequenti è senz’altro quello della letteratura, dei manga o degli anime giapponesi: un primo celebre esempio è quello di The Girl Who Leapt Through Time, romanzo del 1967 di Yasutaka Tsutsui di cui nel tempo sono stati fatti diversi adattamenti per il cinema e la televisione.

Per quanto riguarda invece il cinema statunitense ed europeo, la maggior parte degli esempi cominciano dagli anni Novanta in poi, dal film d’azione e di fantascienza Edge of Tomorrow – Senza domani, con Tom Cruise, all’italiano È già ieri, rifacimento di Ricomincio da capo con protagonista Antonio Albanese. In questi anni diversi loop temporali si sono visti inoltre in alcune commedie romantiche, per esempio Palm Springs e La mappa delle piccole cose perfette, oltre che in un thriller come Boss Level. «Siamo in un loop temporale di film sui loop temporali», scrisse The Ringer nel 2021.


Di recente, come ha fatto notare il Guardian, i loop temporali fanno parte anche di una «sempre più affollata categoria televisiva». Sono infatti presenti nelle due stagioni di Russian Doll su Netflix, ma anche – seppur in forma un po’ meno canonica – in The Time Traveler’s Wife e in The Lazarus Project, da poco uscita nel Regno Unito e non ancora in Italia. E già nel 1992, quindi un anno prima di Ricomincio da capo, l’episodio “Causa ed effetto” della serie Star Trek: The Next Generation aveva a che fare con una navicella spaziale che finiva sempre con il saltare in aria, e con i suoi occupanti che, accortisi del loop temporale in corso, si ingegnavano per uscirne (nel loro caso facendo arrivare di volta in volta al loop successivo pezzi di informazioni utili ad uscirne).

Fatta eccezione per alcuni casi più fantascientifici o talvolta anche horror, e al netto delle tantissime sfaccettature possibili, in genere le storie con loop temporali hanno comunque molte cose in comune: qualcuno vive una giornata e va a letto (o muore), per poi risvegliarsi realizzando – di solito attraverso uno o più dettagli, come per esempio un annuncio alla radiosveglia – di essersi cacciato in un loop.

All’inizio sembra un déjà-vu, però poi diventa una certezza. Solitamente, si alternano momenti di panico e smarrimento ad altri in cui i protagonisti di turno provano a ribaltare a loro vantaggio quella stramba situazione, provando ad agire in funzione di quello che già sanno accadrà, oppure sperimentando alternative.

Quasi sempre, però, arriva la frustrazione, talvolta persino il terrore, derivante dal sentirsi bloccati. Segue quindi il tentativo di uscirne, talvolta in collaborazione con qualcun altro che si scopre essere a sua volta bloccato in quel loop.

Non esiste un solo motivo che spieghi il successo dei loop temporali, ma sono state fatte diverse ipotesi. Da un paio di anni a questa parte, una consistente parte degli articoli che se ne occupano accenna per esempio al fatto che i loop temporali potrebbero avere a che fare con la sensazione, sperimentata da molti durante i vari lockdown, di essere in parte bloccati e costretti a vivere giornate tutte piuttosto simili tra loro. In questi termini, i loop temporali narrativi sarebbero da intendersi sia come un modo creativo di replicare quella ripetitività sia come una forma di reazione, con storie che, seppur drammatiche e sfinenti per i loro protagonisti, permettono anche un grande livello di sperimentazione e libertà.

Basta però guardare quanto i loop temporali fossero già in voga prima della pandemia per capire che questa teoria è quantomeno traballante. Un’altra, temporalmente più solida, dice che sebbene esistessero già prima come stratagemma narrativo, i loop temporali si sono diffusi davvero più o meno di pari passo con il successo dei primi videogiochi, nei quali – proprio come in un loop temporale – si può in genere sbagliare, perdere o morire sapendo che comunque si potrà ricominciare e riprovare.

C’è inoltre chi fa notare come negli ultimi anni sia accaduto anche il contrario: cioè che in conseguenza del successo cine-televisivo dei loop temporali anche certi videogiochi si sono strutturati sempre più su questo formato. Il caso più noto ed esemplare è rappresentato dal videogioco del 2021 Twelve Minutes, un «thriller interattivo con minutaggio in tempo reale» il cui protagonista è per l’appunto intrappolato in un loop insieme alla moglie. Forse non a caso, Twelve Minutes è tra l’altro un gioco molto cinematografico: con personaggi doppiati da James McAvoy, Daisy Ridley e Willem Dafoe e parlando del quale il Guardian scrisse che era «chiaramente ispirato ai thriller di Hitchcock, Kubrick e Verhoeven».


Probabilmente, nonostante alcuni ottimi esempi videoludici o letterari (per esempio il giallo del 2018 Le sette morti di Evelyn Hardcastle), i loop temporali si addicono di più al racconto audiovisivo. Con le immagini e con il montaggio si può infatti bilanciare meglio la fastidiosa sensazione per lo spettatore di trovarsi in un loop temporale. Che è un espediente narrativo attraverso il quale a uno o più personaggi si fa rivivere più volte una stessa esperienza, in genere una giornata, senza che questi sappiano perché succede o come uscirne.