Dal futuro di questa raffineria dipende un bel pezzo dell’economia siciliana

Alla Isab di Priolo Gargallo serve trovare in fretta un'alternativa al petrolio russo, altrimenti tra sei mesi sarà costretta a chiudere

(AP Photo/Gaetano Adriano Pulvirenti)
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Per la seconda volta nel giro di pochi giorni i lavoratori della raffineria Isab di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, hanno organizzato una manifestazione davanti ai cancelli dell’azienda per chiedere al governo più attenzione sul futuro del grande polo petrolchimico siciliano. Tra i lavoratori e i sindacati c’è preoccupazione per via delle conseguenze dovute all’invasione russa in Ucraina: la raffineria Isab è di proprietà dalla società svizzera Litasco Sa, a sua volta controllata da Lukoil, la più grande azienda petrolifera russa. I timori riguardano soprattutto i prossimi sei mesi, il tempo concesso dall’Unione Europea agli stati membri per applicare l’embargo del petrolio importato dalla Russia: se non si troverà un’alternativa al petrolio russo, il polo petrolchimico di Siracusa rischia di chiudere.

L’impianto Isab fu costruito nel 1972 e apparteneva all’azienda energetica italiana ERG, che nel 2008 lo vendette a Litasco Sa. Al suo interno vengono lavorate 50 qualità differenti di petrolio trasformate principalmente in gasolio, ma anche benzina, oli combustibili, GPL e altri prodotti petrolchimici per le aziende. La capacità massima di produzione è di 19,4 milioni di tonnellate di greggio in un anno, pari al 22,2 per cento del totale nazionale. La maggior parte del carburante venduto nei distributori delle regioni del Sud arriva da qui.

I dipendenti diretti sono mille, mentre l’indotto conta circa duemila persone. Isab, tuttavia, è importante per tutte le altre raffinerie che fanno parte del polo petrolchimico, grazie a un costante passaggio di prodotti tra le diverse aziende. Nell’area industriale, che vale il 51 per cento del PIL della provincia di Siracusa, lavorano in totale circa diecimila persone. Il ridimensionamento o la chiusura di Isab avrebbe effetti anche sul vicino porto di Augusta, da cui nel 2021 sono passate 25 milioni di tonnellate di merci, di cui il 70 per cento erano prodotti petroliferi.

Negli ultimi mesi il problema di Isab non è stato la mancanza di petrolio russo a causa delle sanzioni, ma l’opposto: ha potuto disporre solo di quello. In condizioni normali, infatti, Isab compra il greggio da raffinare da produttori di tutto il mondo: una quota tra il 20 e il 30 per cento viene da Lukoil, la casa madre russa che ha anche ampie attività estrattive, mentre il resto da altri fornitori, soprattutto dal Mar Nero, dal Medio Oriente e dall’Africa. Le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, però, hanno cambiato le cose: benché Lukoil non sia sanzionata direttamente, tutte le principali banche mondiali hanno smesso di concedere a Isab il credito e le garanzie necessarie per comprare greggio dall’estero, per timore di rimanere coinvolte in attività finanziarie che potrebbero essere sanzionate. A partire da marzo, Isab è stata costretta a comprare petrolio esclusivamente dalla Russia. La necessità di mantenere gli alti livelli di produzione hanno fatto quindi aumentare in modo significativo le importazioni italiane di petrolio russo, destinate per la maggior parte a Isab.

Tra sei mesi, però, questa soluzione non sarà più percorribile per l’embargo deciso alla fine di maggio dal Consiglio europeo: il compromesso raggiunto prevede il blocco del petrolio russo importato nell’Unione europea via mare, quindi circa due terzi delle importazioni. L’Ungheria, che riceve il petrolio russo tramite oleodotto, potrà quindi proseguire con le importazioni godendo di una «esenzione temporanea». Gli stati hanno già iniziato a organizzarsi in vista dell’entrata in vigore dell’embargo attraverso nuove fonti di approvvigionamento, che non mancano. La situazione della Lukoil invece è piuttosto intricata perché al momento non può acquistare da altri paesi a causa del blocco dell’accesso al credito.

(AP Photo/Gaetano Adriano Pulvirenti)

Giacomo Rota, segretario siciliano della Filctem Cgil, la federazione dei lavoratori del settore chimico, dice che senza un’alternativa al petrolio russo Isab sarà costretta a fermarsi, producendo uno squilibrio con ripercussioni su tutto il polo petrolchimico di Siracusa, sull’economia della provincia e di parte della Sicilia. Nei giorni scorsi i sindacati hanno suggerito al governo di fare da garante a Isab, attraverso Cassa Depositi e Prestiti (CDP), la società finanziaria controllata dal ministero dell’Economia, per consentire alla raffineria di acquistare petrolio sugli altri mercati internazionali. «Non bisogna perdere tempo, perché sostituire completamente le forniture non è semplice», dice Rota. «Le sanzioni sono doverose, ma senza penalizzare i lavoratori italiani».

Durante un incontro organizzato dal Foglio, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha detto che tra le ipotesi per risolvere il problema della Isab c’è «una manovra simile alla nazionalizzazione», senza specificare i dettagli. Cingolani ha spiegato che sarebbe una mossa «in analogia con quanto ha fatto il governo tedesco», un riferimento esplicito alla nuova legge sulla sicurezza energetica approvata dalla Germania per introdurre la possibilità di espropriare le attività di Gazprom e Rosneft, tra le più grandi aziende energetiche russe.


L’alternativa, ha detto Cingolani, è che si faccia avanti un compratore disponibile a rilevare l’Isab. Entrambe le soluzioni, però, sembrano molto complicate e con tempi che non si conciliano con le scadenze introdotte con l’embargo. Alla fine di aprile, con una nota, il ministero dello Sviluppo economico aveva chiarito che «la nazionalizzazione della raffineria Isab di Priolo non è all’ordine del giorno».

Tra le altre cose, prima dell’invasione russa in Ucraina Lukoil aveva iniziato a discutere di come avviare la transizione energetica degli impianti. Era stato ipotizzato un progetto di conversione da 2 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi di euro garantiti dall’azienda, ma con l’inizio della guerra si è fermato tutto.

La transizione energetica di Isab è essenziale soprattutto dopo che il Parlamento europeo ha approvato il divieto per le case automobilistiche di produrre e vendere auto a benzina o diesel a partire dal 2035. «Se la transizione energetica sarà troppo veloce genererà un disastro occupazionale, se sarà troppo lenta il disastro sarà ambientale», dice Rota. «Purtroppo anche in questo caso il tempo stringe. In Sicilia siamo in condizioni di avere tutte le tipologie di rinnovabili, ma bisogna lavorarci fin da subito. La transizione energetica deve essere governata per accompagnare il settore verso il cambiamento, rispettando le scadenze».

La necessità di migliorare la sostenibilità ambientale del polo petrolchimico di Siracusa è percepita da molto tempo. Negli ultimi anni ci sono stati diversi sequestri a causa del mancato rispetto delle norme sulla gestione dei rifiuti inquinanti e pericolosi. L’ultimo è di pochi giorni fa: il nucleo ambientale della procura di Siracusa e la Guardia di Finanza hanno sequestrato l’impianto di depurazione delle acque reflue dell’area industriale siracusana e dei Comuni di Melilli e Priolo Gargallo. Gli inquirenti hanno indagato 26 soggetti tra persone e aziende a cui è contestato il reato di disastro ambientale colposo: le acque reflue industriali sarebbero state inviate a un depuratore che non era in grado di trattarle. Secondo le analisi del nucleo ambientale, a causa della mancata depurazione sarebbero state rilasciate nell’atmosfera 77 tonnellate di sostanze nocive, tra cui benzene, e oltre 2.500 tonnellate di idrocarburi nel mare, nel periodo tra il 2016 e il 2020.